09 Settembre 2025
Nel carcere si può rinascere. A volte succede tra i fornelli. È questo il cuore pulsante del volume “Sprigiona il Valore. Made in Carcere e la rivoluzione del Benessere Interno Lordo”, a cura di Luciana Delle Donne e Micol Ferrara (Franco Angeli Editore), un viaggio corale tra storie di riscatto, bellezza e umanità che si fanno largo anche tra le sbarre. Il libro raccoglie voci e volti che parlano di lavoro, formazione, salute, cibo e dignità. E ci insegna che dietro ogni pena può esserci una nuova partenza. Non una favola, ma esperienze concrete dove la creatività diventa strumento di libertà. Tra queste, anche la voce di Filippo La Mantia, chef che ha scelto di portare la cucina dentro il carcere per restituirne il valore fuori. Con il suo progetto “L’ALTrA cucina”, ci ricorda che un piatto può sfamare, emozionare, educare. E perfino a redimere.
Filippo La Mantia, palermitano, sorriso schietto e talento inconfondibile, è un volto noto della gastronomia italiana. La sua cucina mediterranea – fresca, profumata, istintiva – affonda le radici nella tradizione siciliana, ma è capace di reinventarsi con sensibilità contemporanea. Piatti che parlano di casa, di memoria, ma anche di libertà. Un concetto che per lui non è solo un’idea astratta, ma un vissuto personale.
“Ho trascorso sei mesi all’Ucciardone per un errore giudiziario” racconta con la sincerità di chi ha trasformato una ferita in una forza. “Un’esperienza durissima, che ha cambiato il mio modo di vedere il mondo. E la cucina.”
Da lì nasce il suo impegno nelle carceri, prima in punta di piedi, poi con forza. Da anni è protagonista di “L’ALTrA cucina – per un pranzo d’amore”, evento solidale che porta, ogni Natale, grandi chef e artisti a cucinare e condividere un pranzo con i detenuti. Un’esperienza che è insieme festa, formazione e gesto d’amore.
Per La Mantia, cucinare in carcere è una missione. Non solo per offrire un momento di gioia, ma per attivare processi di cambiamento reale. “Cucinare ti mette in gioco. Ti insegna disciplina, collaborazione, rispetto. Ti fa sentire parte di qualcosa. E quando questo succede dentro un carcere, è un atto potentissimo.”
Il cibo, spiega, non è solo nutrimento. È simbolo di dignità, di cura, di relazione. Per questo promuove la cucina anche come strumento educativo, capace di generare competenze professionali e crescita personale. “Quando un detenuto vede che il suo piatto viene apprezzato, succede qualcosa. Lo vedi negli occhi. Si sente riconosciuto, utile, capace. È una piccola rivoluzione.”
Il suo progetto – portato avanti in collaborazione con Prison Fellowship Italia – è oggi alla undicesima edizione, e ogni anno raccoglie nuove adesioni, nuove storie, nuovi volti.
Nel suo modo di raccontare – come nei suoi piatti – convivono concretezza e poesia. I pranzi organizzati in carcere non sono solo performance culinarie, ma atti di rottura. Scardinano stereotipi, rimettono al centro la persona.
E mentre serve una caponata o un couscous, La Mantia continua a ribadire il suo messaggio:
“La cucina può cambiare il destino delle persone. Anche dove la speranza sembra essersi spenta.”
In un mondo che spesso alza muri, lui costruisce tavole. E invita tutti a sedersi. Anche dietro le sbarre.
di Micol Ferrara
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia