01 Settembre 2020
La commissione nominata dalla Regione Veneto ha svelato il mistero del batterio killer che ha ucciso quattro bambini tra il 2018 e quest’anno, ricoverati presso l’Ospedale della Donna e del Bambino di Borgo Trento a Verona, portando alla completa chiusura della struttura. Il Citrobacter sarebbe stato trovato nel rubinetto dell’acqua utilizzata dal personale di Terapia intensiva neonatale dell’ospedale.
Sono durissime le accuse contenute nella relazione di 59 pagine consegnata dalla commissione ispettiva della Regione Veneto. La presenza del batterio sarebbe attribuibile ad un mancato o parziale rispetto delle misure d’igiene. Verrà pertanto aperta un’inchiesta dalla Procura della Repubblica, a cui spetterà il compito di individuare gli eventuali responsabili. Oggi, dopo la completa sanificazione, è stato riaperto il reparto di Ostetricia-Punto nascite dell’ospedale.
Tra i passaggi più significativi della relazione, quelli relativi alla presunta sottovalutazione dell'epidemia, al presunto mancato rispetto delle norme di igiene, ai presunti ritardi nell'attivazione dell'unità di crisi, ad una presunta carenza di cultura infettivologica.
“Queste osservazioni suggeriscono che il reparto si sia trovato di fronte ad una contaminazione a partenza ambientale - si legge - che ha portato ad una diffusione del patogeno, con comparsa di infezioni invasive, con una iniziale sottostima e con il riconoscimento tardivo del problema da parte dei medici della Terapia Intensiva Neonatale con conseguente scarso coinvolgimento del Comitato Infezioni Ospedaliere almeno fino al 1° trimestre del 2020”. “La mancanza di una coerente visione multidisciplinare clinica ed epidemiologica del problema è indirettamente testimoniata, dalla valutazione dei protocolli di terapia forniti. L’ultima versione degli stessi si riferisce al 2017… Analizzando tale documento, molto generico, si coglie al suo interno una sostanziale carenza di cultura infettivologica e di conseguenza di programmi di antimicrobial stewardship. Tale carenza è correlata verosimilmente all’assenza di una attività consulenziale strutturata e consolidata di tali specialisti all’interno della unità operativa. Ciò potrebbe avere avuto un ruolo non indifferente nella iniziale sottostima dell’evento epidemico che si andava sviluppando”.
“Considerando il periodo, a partire dall’apertura dell’Ospedale Donna Bambino (01/04/2017 al 17/07/2020), sono stati identificati 91 soggetti positivi per Citrobacter koseri (88 positivi alla ricerca diretta dell’agente microbico, 2 casi con positività su indagini molecolari ed 1 positivo ad entrambe le indagini). Complessivamente 9 pazienti hanno sviluppato una patologia invasiva causata da Citrobacter koseri classificabile come certa o altamente probabile. Il 72,8% dei pazienti positivi per Citrobacter koseri sono pazienti ricoverati in Terapia Intensiva Pediatrica o in Terapia Intensiva Neonatale”.
“Le analisi ambientali nell’ultima settimana di giugno 2020 hanno rilevato la presenza di Citrobacter koserisui nei rompigetto di alcuni rubinetti all’interno della Terapia Intensiva Neonatale e Terapia Intensiva Pediatrica e sulle superfici interne ed esterne dei biberon, utilizzati da due neonati risultati precedentemente positivi per Citrobacter koseri. Inoltre, le indagini di caratterizzazione molecolare hanno evidenziato una correlazione tra gli isolati dai pazienti coinvolti e quelli ambientali su rompigetto e biberon, definendone l’appartenenza ad un unico cluster”. Inoltre, “in due campioni risultati positivi, il prelievo sulla parte esterna del biberon dovrebbe essere stato effettuato prima del contatto con il bambino (che presentava già positività per Citrobacter koseri). Si ipotizza pertanto una contaminazione secondaria dei biberon, verosimilmente correlata a procedure non corrette di gestione degli stessi”.
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