20 Maggio 2020
Adriano Trevisan è tristemente noto per essere stato il primo morto di Covid-19 in Italia. È deceduto all’età di 78 anni lo scorso 21 febbraio, dunque ad inizio epidemia, nel comune di Vo’, in provincia di Padova. Solo ora emergerebbe una scoperta sulla sua morte. Come riporta La nuova bussola quotidiana, dall’autopsia richiesta dalla Procura di Padova ed eseguita negli scorsi giorni, risulta che Trevisan presentava gravi patologie cronico-degenerative pregresse e dunque il suo decesso non sarebbe direttamente riconducibile al virus. Gli esperti hanno sottolineato più volte la necessità di distinguere fra morti per Coronavirus e morti con Coronavirus. Lo stesso Istituto Superiore di Sanità ha ritenuto la distinzione fondamentale anche per comprendere meglio la malattia. Tuttavia, scrive La nuova bussola quotidiana, "il premier Conte aveva messo immediatamente a tacere i vertici dell’Istituto: questa distinzione non andava fatta. I numeri dei morti dovevano levitare per aumentare la paura".
Non solo la distinzione non è stata fatta, non sono state eseguite nemmeno le autopsie. I riscontri autoptici tuttavia sono fondamentali per capire le cause di un decesso. “I morti non mentono” dice un detto noto ai medici legali. Se le autopsie fossero state effettuate sin dall’inizio, avrebbero fatto comprendere prima come agisce il virus, come danneggia l’organismo e come porta alla morte. Si sarebbe scoperto subito che il primo effetto del Covid 19 sarebbe la CID, Coagulazione Intravascolare Disseminata, ossia la formazione di “grumi” nel sangue e di trombosi, e che la polmonite interstiziale doppia si verificherebbe solo in seguito. Le autopsie avrebbero inoltre permesso di individuare subito i migliori percorsi clinici e terapeutici.
I pazienti gravi ricoverati in terapia intensiva venivano inizialmente trattati con la ventilazione meccanica. Tuttavia tale sistema non era risolutivo e il numero dei morti aumentava di giorno in giorno. Come ha spiegato il professor Valerio De Stefano, Professore Ordinario di Ematologia all’Università Cattolica, l’infiammazione in generale, le infezioni dell’albero respiratorio, l’ospedalizzazione e il ricovero in terapia intensiva sono tutti fattori di rischio per trombosi. Solo dopo aver preso atto di questo si sarebbe cominciato a somministrare ai malati di Covid-19 l’eparina, un anticoagulante che si sarebbe rivelato piuttosto efficace. Grazie all’utilizzo di questo farmaco, la mortalità da Covid sarebbe diminuita. Solo conoscendo i danni che provoca il virus è possibile agire per bloccarli.
Se le autopsie sono fondamentali per capire le cause di un decesso e trovare la terapia migliore, perché in Italia non sono state eseguite e i cadaveri sono stati inviati immediatamente alle cremazioni? La risposta – scrive La bussola quotidiana - è "perché le aveva vietate il Governo. Il tutto è nero su bianco nella circolare 'Indicazioni emergenziali connesse ad epidemia Covid-19 riguardanti il settore funebre, cimiteriale e di cremazione' della Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, firmata dal segretario generale Giuseppe Ruocco e inviata a tutti i destinatari competenti, dalla Protezione civile, all’associazione dei Comuni, dagli ordini dei medici e delle professioni infermieristiche e dei farmacisti alle Regioni. Al punto C, intitolato Esami autoptici e riscontri diagnostici, si legge al paragrafo 1: 'Per l’intero periodo della fase emergenziale non si dovrebbe procedere all’esecuzione di autopsie o riscontri diagnostici nei casi conclamati Covid 19, sia se deceduti in corso di ricovero presso un reparto ospedaliero sia se deceduti presso il proprio domicilio'. La circolare limita addirittura l’intervento della legge. Al punto 2, infatti, con riferimento a un eventuale interesse e intervento della magistratura si prescrive che 'l’autorità giudiziaria potrà valutare, nella propria autonomia, la possibilità di limitare l’accertamento alla sola ispezione esterna del cadavere in tutti i casi in cui l’autopsia non sia strettamente necessaria'". La sola ispezione esterna tuttavia non può fornire indicazioni precise sulla causa del decesso, come al contrario è in grado di fare un’autopsia.
Perchè dunque “non si dovrebbe procedere” a tali importantissimi riscontri? Motivi precauzionali? A tal proposito, La nuova bussola quotidiana sottolinea che con il decesso cessano le funzioni vitali e si riduce nettamente il pericolo di contagio (infatti la trasmissione del virus è prevalentemente per droplets e per contatto) e che il paziente deceduto, a respirazione e motilità cessate, non è fonte di dispersione del virus nell'ambiente. Il risultato dell’esame eseguito sul primo morto di Vo’, il signor Trevisan, "può far capire all’opinione pubblica di essere stata ingannata". Se fossero state effettuate le autopsie sin da subito, sarebbe stato possibile scoprire prima il modo di agire del Coronavirus e, di conseguenza, sarebbero state salvate molte più vite.
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