21 Novembre 2025
Sette associazioni italiane hanno portato Leonardo S.p.A. e lo Stato italiano davanti al Tribunale civile di Roma, accusandoli di continuare a sostenere militarmente Israele mentre a Gaza si consuma quella che molti organismi internazionali definiscono senza mezzi termini un genocidio. L’obiettivo della campagna “In nome della legge. Giù le armi, Leonardo” è chiaro: bloccare tutte le forniture militari a Tel Aviv, passate, presenti e future, e ristabilire il rispetto dell’Articolo 11 della Costituzione e della legge 185/1990 che vieta l’export di armi verso Paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani.
A firmare l’azione legale sono AssoPacePalestina, A Buon Diritto, ATTAC Italia, Arci, Acli, Pax Christi e Un Ponte Per, insieme a Hala Abulebdeh, cittadina palestinese residente in Scozia che ha perso l’intera famiglia nei bombardamenti israeliani su Khan Younis nel 2023. La sua storia, resa nota da un blog che ha documentato giorni di silenzio, angoscia e poi la conferma della strage, è ora parte integrante del ricorso. Le associazioni ricorrono ai tribunali perché la politica, denunciano, "ha scelto l’inerzia". Le mobilitazioni spontanee in tutta Italia e l’appello di decine di diplomatici – primo firmatario l’ambasciatore Pasquale Ferrara – chiedevano da mesi la sospensione di ogni cooperazione militare con Israele. Il governo Meloni, tuttavia, non ha dato seguito alla faccenda. Secondo Italo Sandrini (Acli), lo Stato italiano "aveva tutti gli strumenti per interrompere questi contratti, ma ha scelto di non farlo", mentre Raffaella Bolini (Arci) denuncia che "produrre armi è redditizio ma devono essere consumate: così la guerra diventa un obiettivo economico". Per Luisa Morgantini (Assopace Palestina), il senso dell’iniziativa è semplice "Denunciare ciò che Leonardo ha fatto, ciò che sta facendo e ciò che intende continuare a fare. Fermare questa complicità è un dovere morale e giuridico". La campagna “In nome della legge. Giù le armi, Leonardo” punta a riportare il tema all’attenzione dell’opinione pubblica: non come una questione tecnica, ma come un crocevia decisivo tra Costituzione, responsabilità collettiva e il dovere di non essere complici del genocidio in corso.
La documentazione portata dalle associazioni e dagli avvocati è vasta. Leonardo compare in numerosi contratti con Israele, fra cui:
Nel rapporto “From economy of occupation to economy of genocide” della Relatrice Speciale ONU (giugno 2025), Leonardo viene citata in maniera esplicita - non solo per l’hardware militare - ma anche per la cooperazione accademica con istituzioni coinvolte nello sviluppo di tecnologie d’attacco. Nonostante ciò, il governo italiano ha sostenuto che alcune forniture – come quelle degli M-346 – fossero solo “materiale residuale”. In un’altra inchiesta è stato evidenziato che le relazioni negoziali non sono state davvero sospese dopo l’inizio del genocidio a Gaza.
A questa denuncia si aggiunge una lettera aperta firmata da lavoratori Leonardo, partita dalla sede di Grottaglie e poi diffusasi ad altri stabilimenti nella quale i dipendenti chiedono lo stop immediato alle forniture belliche a Israele; la sospensione di ogni relazione commerciale o di ricerca con istituzioni israeliane coinvolte nelle operazioni militari; e l'applicazione effettiva delle norme etiche della stessa azienda. Molti di loro non vogliono essere “l’anello della catena” che porta bombe e tecnologie in zone dove gli organismi internazionali documentano crimini di guerra e attacchi indiscriminati contro civili.
Se il Tribunale civile di Roma accoglierà il ricorso, i contratti saranno dichiarati nulli e lo Stato italiano, insieme a Leonardo, non potrà più fornire armi, tecnologie e collaborazione militare a Israele.
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