"UN SILENCE", il film
L'avvocato Schaar è un rispettabile e noto professionista tutto d'un pezzo. Sì, fino a quando non viene imputato di pedofilia. E' la sua famiglia, ma in particolare i suoi figli, ad iniziare una crociata per ottenere giustizia; una giustizia difficile da intuire, specie quando viene alla luce un fatto realmente accaduto diversi anni prima con un nipote. Astrid è la moglie dell'avvocato e, dopo un silenzio durato venticinque anni, si lascia trasportare non volente dalla marea che sta per far crollare l’equilibrio del suo nucleo famigliare. Anche i media giocano un ruolo importante: tv e radio assediano la casa di Schaar, prima di allora considerato un paladino dei diritti dell’infanzia e un nemico dei criminali. Ma, fra segreti e silenzi, verrà fuori anche un'abitudine disgustosa e mal tollerabile del protagonista, evidentemente malato. La moglie siamo noi, ossia il suo scoprire e vivere l'andamento delle cose è il nostro mentre guardiamo il film. Ad essere colpito è, poi, un certo atteggiamento borghese, poco verboso e molto adatto a celare.
IL REGISTA
RECENSIONE
Il film ruota, dunque, su un argomento che, anche a livello cinematografico, molti definirebbero scomodo: i reati di pedofilia. Ma, forse, ancora più importante in "Un silence" è, come dice il titolo stesso, il silenzio, quello che aleggia nella famiglia di Schaar; è un silenzio che copre un terribile abuso famigliare compiuto nel passato.
Le interpretazioni di Daniel Auteuil e di Emmanuelle Devos sono minimaliste, ma ricche di sfumature e, in quei silenzi fra loro, potenti.
La regia è affidata a Joachim Lafosse, che, invece, rallenta il corso del film, anche se il suo modo di girare è intimo, stando a dei suoi precedenti lavori. Le relazioni sentimentali ed affettive sono fatte di espressioni, silenzi, momenti, condivisioni e contraddizioni, ed è ciò su cui il regista cerca di indagare, anche, in questo film.
Il problema della comunicazione, soprattutto, fra persone in coppia e fra membri famigliari resta serio e, cinematograficamente, già "Closer" - film di Mike Nichols, uscito nel 2004 e tratto dall'omonima pièce di Patrick Marber - metteva in luce, una luce fredda e cinica, l'incapacità di relazionarsi, ponendo il quesito sulla verità: dirci sempre tutto ci allontana o ci avvicina ("closer" appunto)? Nell'opera, l'unica che ama davvero, quando dice la verità, perde l'uomo per cui darebbe la vita e, poco dopo, muore investita, forse suicida, mentre gli altri 3 personaggi continuano le loro esistenze fatte di una solitudine profonda.
Nel film di Lafosse, rompere un silenzio di 25 anni in cui si è creduto di vivere bene, seppure fingendo di non sapere o non sapendo affatto, è come morire. Tutto ciò fa riflettere.
Ma il film non funziona fino in fondo, soprattutto, perché la storia non è retta da un buon ritmo, perché lo spettatore finisce per colpevolizzare il protagonista, non avendo alternative, pur sperando fino a un certo punto di venire sorpreso da un colpo di scena, e perché, come risultato, il film è percepito troppo lungo, a dispetto degli appena 101 minuti, nei quali alcune riprese sono pure ripetute. Peccato, perchè con due attori come i protagonisti il prodotto sarebbe dovuto e potuto essere migliore. Voto: 6,5
Il film "Un silence", presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma lo scorso 23 ottobre, anche per il pubblico, non ha (ancora) date di uscita ufficiali.