25 Ottobre 2022
Fonte: Festa del Cinema di Roma
Recensione
Film in CONCORSO PROGRESSIVE CINEMA, vincitore del Premio speciale della Giuria per la fotografia assegnato a Marine Atlan; menzione speciale della Giuria all’attrice LILITH GRASMUG; menzione speciale come MIGLIORE OPERA PRIMA BNL BNP PARIBAS insieme a "Ramona" di Andrea Bagney
Quando un regista, in questo caso una regista, vuol far sì che il pubblico lo osanni, e forse anche la critica, per aver fatto riprese ravvicinate, ripetute, di un dettaglio della guancia dei personaggi o di un insetto su una foglia e pensa che una successione di ‘quadri’ con una consecutio temporis che, in sala, bisogna intuire a tutti i cambi scena, visto che chi dirige il film non si abbassa a mostrarli, sia sufficiente a chiamare lungometraggio il suo prodotto e, d’altra parte, vince la possibilità di essere invitato alla Festa del Cinema di Roma e poi menzioni e premi, c’è da mettersi le mani nei capelli, anche se si è pelati, e da chiedersi quali siano i veri criteri di selezione. La storia inizia con lo sguardo fisso della giovane protagonista, Lilith Grasmug, cui viene detto che la sorella maggiore è morta. La novizia, cui viene riferito di essere divenuta lei la sorella più grande, torna a casa. Lì ha due genitori e due sorelline, gli uni severi ed emotivamente distaccati, le altre affascinate da Elisabeth e, man mano, sinceramente affezionate a lei, al punto da sostenerla, liberandola da assurde corde che la tengono legata al letto, quando questa viene punita dagli adulti del paese, padre e madre inclusi, per avere allegramente intrattenuto 3 ragazzi tutti insieme, anch’essi sui 19 anni. Facciamo un passo indietro: Elizabeth scopre, cucendo un grande lenzuolo, delle pagine, nascoste fra le cuciture, scritte dalla sorella morta e le legge con avidità; ne viene influenzata fortemente, tanto da volere proseguire il modo di vivere della defunta e incarnarne quelle stesse convinzioni che l'avevano allontanata dalla gente del paese, capace di ghettizzarla e accusarla di essere il diavolo in persona. Proprio per scongiurare questa credenza infondata, Elizabeth inizia a comportarsi come la sorella persuasa di avere scoperto - testuali parole del personaggio - “Dio nella carne”, invece che nell’anima. La regia, ambiziosa, non è riuscita nell’intento di catturare l’attenzione e l’approvazione di un pubblico, quello dell’Auditorium, il cui applauso è stato giustamente calmierato dall’incertezza dell’emozione, se ce n’è stata, provata. Forse, se uno è alla sua prima opera, tanto più se il ruolo che ricopre è quello registico, deve iniziare da una costruzione elementare della storia che andrà a raccontare. Quanto al cast, di conseguenza non aiutato, simbolicamente parlando, dal capitano della nave, non è male, ma la protagonista non è affatto all’altezza degli infiniti primi piani che Carmen Jacquier le dedica nel girato, poiché manca di profondità e, appunto, di una guida. Per l'impegno e la bravura dei giovani attori, aventi a che fare con una sceneggiatura di poco supporto, il voto è la sufficienza: 6.
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