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Israele oltre la barbarie medievale, non basta la pena di morte, adesso Ben Gvir propone carceri per i palestinesi circondate da coccodrilli

La proposta della "Alligator Alcatraz israeliana" non è un'eccentricità isolata: si inserisce in un quadro coerente di misure sempre più repressive contro i palestinesi

23 Dicembre 2025

Israele oltre la barbarie medievale, non basta la pena di morte, adesso Ben Gvir propone carceri per i palestinesi circondate da coccodrilli

Itamar Ben-Gvir, fonte Facebook, @Rassegna internazionale sulla Palestina

Ci sono momenti nella storia in cui la realtà supera persino le più crudeli fantasie del passato. Il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir propone la costruzione di un carcere per detenuti palestinesi "circondato da coccodrilli", ennesima manifestazione di una politica di disumanizzazione sistematica che trova i suoi precedenti più inquietanti non nel diritto penale moderno, ma nelle pratiche punitive del Medioevo e dell'epoca romana.

Dal Colosseo alle Alture del Golan: La Zoologia come Strumento di Tortura

Nel mondo antico, gettare i condannati in fosse popolate da leoni o altri animali feroci non era solo un metodo di esecuzione: era uno spettacolo pubblico, un dispositivo di terrore psicologico, una negazione della dignità umana così totale da ridurre l'essere umano a preda. I martiri cristiani gettati alle belve nell'arena del Colosseo, i condannati medievali esposti agli animali selvatici come monito pubblico: queste pratiche furono abbandonate secoli fa perché considerate incompatibili con qualsiasi nozione di civiltà giuridica. Eppure oggi, alla vigilia del 2026, un ministro di uno Stato che si autodefinisce "l'unica democrazia del Medio Oriente" propone esattamente questo: utilizzare animali predatori come componente attiva di un sistema detentivo. La localizzazione ipotizzata nelle Alture del Golansiriano occupate - territorio illegalmente annesso secondo il diritto internazionale - dove esisterebbe uno zoo da cui prelevare i coccodrilli, aggiunge un ulteriore livello di perversione: la militarizzazione della natura stessa al servizio dell'occupazione.

Ben-Gvir e la normalizzazione dell'indicibile

Itamar Ben-Gvir non è un politico marginale. È il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, responsabile della polizia e del sistema carcerario. La sua storia personale è significativa: seguace del rabbino Meir Kahane, il cui movimento Kach fu definito organizzazione terroristica anche da Israele stessa, Ben-Gvir, fanatico estremista di destra, ha collezionato ben otto condanne da parte dello stesso Stato di Israele per incitamento al razzismo e sostegno a organizzazioni terroristiche. Nel suo ufficio, fino a poco tempo fa, campeggiava un ritratto di Baruch Goldstein, l'uomo che nel 1994 massacrò 29 palestinesi in preghiera nella moschea di Hebron.

Che un simile personaggio occupi quindi una delle più alte cariche dello Stato israeliano, dice molto sulla deriva autoritaria del governo Netanyahu. Ma la proposta della "Alligator Alcatraz israeliana" non è un'eccentricità isolata: si inserisce in un quadro coerente di misure sempre più repressive contro i palestinesi.

Il contesto: torture, stupri e pena di morte

Secondo rapporti di organizzazioni per i diritti umani, tra cui B'Tselem e Amnesty International, i detenuti palestinesi nelle carceri israeliane sono già sottoposti a torture sistematiche, abusi sessuali, stupri da parte delle guardie carcerarie, detenzione amministrativa senza processo e condizioni disumane. Testimonianze raccolte da avvocati e familiari descrivono un sistema che viola sistematicamente la Convenzione di Ginevra e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. A questo si aggiunge la legge che Ben-Gvir sta promuovendo: pena di morte obbligatoria per tutti i palestinesi condannati per aver pianificato o compiuto attacchi contro israeliani. Non si tratta di giustizia: si tratta di vendetta istituzionalizzata, di un sistema giuridico a due velocità dove l'appartenenza etnica determina la punibilità e la severità della pena. Il carcere circondato da coccodrilli si inserisce perfettamente in questa logica: non è solo un deterrente contro le evasioni, come sostiene cinicamente Ben-Gvir. È un simbolo, un messaggio di terrore, un modo per dire ai palestinesi: "Non siete nemmeno umani ai nostri occhi. Siete prede".

L'ispirazione americana: Trump e le Everglades

Non sorprende che Ben-Gvir tragga ispirazione dalla "Alligator Alcatraz" voluta dall'amministrazione Trump nelle Everglades della Florida per detenere migranti senza documenti. La connessione ideologica è evidente: entrambi i progetti condividono una visione punitiva estrema, una retorica della deterrenza che si spinge oltre ogni limite del diritto umanitario, una deliberata spettacolarizzazione della crudeltà. Ma c'è una differenza sostanziale: mentre negli Stati Uniti la proposta ha suscitato immediate proteste e sollevato questioni costituzionali che ne hanno limitato l'applicazione, in Israele la proposta di Ben-Gvir viene "formalmente valutata" dal Servizio carcerario. Il dibattito pubblico israeliano, sempre più spostato a destra, sembra ormai incapace di tracciare linee di civiltà invalicabili.

Il silenzio complice dell'Occidente e l'ipocrisia di Von der Leyen

Di fronte a questa proposta, degna delle peggiori distopie, l'Occidente tace. L'Unione Europea, che pure si erge a paladina dei diritti umani, non ha emesso alcuna condanna ufficiale. Gli Stati Uniti, che continuano a fornire a Israele miliardi di dollari in aiuti militari ogni anno, non hanno battuto ciglio. I media mainstream internazionali hanno liquidato la notizia come una "proposta controversa", usando un linguaggio neutralizzante che nasconde l'enormità morale di quanto proposto. Ma è sul silenzio della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen che occorre soffermarsi con particolare scandalo. Infatti mentre la stessa continua a insistere in modo del tutto sguaiato e lontano dalla realtà sull'invio di ulteriori miliardi di euro a un'Ucraina sempre più corrotta e ormai palesemente perdente sul campo, mentre martella quotidianamente sulla necessità di "difendere i valori europei" e i "diritti umani" nel conflitto ucraino, su queste "belle" iniziative dei suoi amici sionisti, Von der Leyennon riesce a pronunciare una sola parola. Il doppio standard è talmente evidente da risultare osceno. La stessa von der Leyen che si precipitò a Tel Aviv immediatamente dopo il 7 ottobre 2023 per abbracciare Netanyahu e dichiarare il suo "incondizionato sostegno" a Israele, la stessa che ha continuato a tacere sul genocidio in corso a Gaza - dove oltre 45.000 palestinesi, in maggioranza donne e bambini, sono stati massacrati in 15 mesi - la stessa che non ha mai pronunciato una sola parola sull'appropriazione del tutto illegale della Cisgiordania da parte di Israele e sull'espansione criminale degli insediamenti coloniali, quella stessa Von der Leyen oggi tace anche di fronte alla scandalosa, disumana e criminale proposta medievale di circondare con coccodrilli una struttura penitenziaria dove vi sono rinchiusi degli esseri umani.

L'ipocrisia ha raggiunto livelli parossistici. Quando si tratta di Russia, ogni violazione - reale o presunta - del diritto internazionale viene amplificata, condannata, trasformata in casus belli diplomatico ed economico. Quando si tratta di Israele, invece, anche le proposte più barbare, che evocano le torture medievali, vengono accolte con un silenzio assordante. Nessuna dichiarazione, nessuna condanna, nessuna minaccia di sanzioni. Nulla. La verità è che per Von der Leyen e per l'establishment europeo che rappresenta, i diritti umani sono selettivi, applicabili solo quando conviene politicamente, utilizzabili come arma retorica contro i nemici designati, ma del tutto irrilevanti quando a violarli sono gli alleati strategici. I palestinesi circondati da coccodrilli, evidentemente, non meritano la stessa indignazione dei cittadini ucraini. Il loro sangue vale meno, la loro dignità non conta. Questa doppia morale corrode alla radice qualsiasi credibilità dell'Unione Europea come difensore dei valori democratici. Quando i principi vengono applicati in modo selettivo, cessano di essere principi e diventano semplici strumenti di propaganda. E Von der Leyen, con il suo silenzio complice su ogni crimine israeliano, si conferma non come una statista europea, ma come una portavoce acritica degli interessi atlantisti e sionisti, incapace di distinguere tra alleanza strategica e complicità morale nel crimine. Questo silenzio è complice. Quando un ministro di uno Stato alleato propone di circondare esseri umani con animali predatori, non siamo di fronte a una "questione controversa": siamo di fronte a una violazione palese della dignità umana, a una proposta che contravviene alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, alla Convenzione di Ginevra, a ogni standard internazionale di trattamento dei detenuti. E il fatto che Von der Leyen e i leader europei non trovino nemmeno le parole per condannare questa barbarie rivela la bancarotta morale di un'Unione Europea che ha tradito i suoi stessi principi fondativi.

La logica del campo: oltre Gaza, l'arcipelago carcerario

La proposta di Ben-Gvir va letta anche alla luce della più ampia politica israeliana nei Territori Occupati. Come ha osservato il filosofo Giorgio Agamben, Gaza è da anni un esperimento di controllo biopolitico, un "campo" nel senso più inquietante del termine: uno spazio di eccezione dove le normali garanzie giuridiche sono sospese, dove una popolazione viene ridotta a "nuda vita" amministrabile e sacrificabile. Il carcere circondato da coccodrilli rappresenta l'estensione di questa logica: la creazione di spazi sempre più estremi di eccezione, dove i palestinesi possono essere sottoposti a qualsiasi trattamento senza che questo sollevi obiezioni internazionali efficaci. L'uso di territorio occupato (il Golan) per costruire questa struttura aggiunge un ulteriore livello di illegalità: non solo violazione dei diritti dei detenuti, ma anche appropriazione illegale di territorio straniero per fini repressivi.

La banalità del male contemporaneo

Ciò che colpisce nella proposta di Ben-Gvir è la sua presentazione burocratica, quasi tecnica. Non si parla di punizione crudele, ma di "deterrente contro le evasioni". Non si menziona la disumanizzazione, ma si discute della "fattibilità logistica" del trasferimento di coccodrilli da uno zoo. La barbarie viene normalizzata attraverso il linguaggio amministrativo, resa banale attraverso la procedura.

È qui che riconosciamo la lezione di Hannah Arendt sulla "banalità del male": l'orrore più grande non necessariamente grida, non sempre si presenta con l'evidenza delle camere a gas o dei forni crematori. A volte si presenta come una proposta ministeriale, discussa in riunioni, valutata da funzionari, inserita in iter burocratici. E proprio questa normalizzazione è ciò che dovrebbe allarmarci di più.

Oltre l'indignazione: La necessità dell'azione

Non basta più indignarsi. Non basta più denunciare. Quando un governo propone di circondare esseri umani con animali predatori, siamo oltre ogni possibile giustificazione di "sicurezza" o di "lotta al terrorismo". Siamo nel territorio della barbarie pura, e questa barbarie richiede una risposta internazionale ferma e immediata. È tempo che l'Unione Europea smetta di finanziare, attraverso vari canali, uno Stato che tollera simili proposte ai vertici del suo governo. È tempo che la Corte Penale Internazionale estenda le sue indagini non solo ai crimini di guerra a Gaza, ma all'intero sistema di trattamento dei detenuti palestinesi. È tempo che i cittadini di tutto il mondo richiedano ai propri governi di condannare esplicitamente questa deriva e di adottare sanzioni concrete. Perché se permettiamo che alla vigilia del 2026 si possa anche solo discutere seriamente di circondare esseri umani con coccodrilli, allora abbiamo fallito come civiltà globale. Allora non abbiamo imparato nulla dalle lezioni del passato, dai secoli di lotta per affermare i diritti umani universali, dall'orrore del Novecento.

La proposta di Ben-Gvir è un test. Un test per la comunità internazionale, per i governi occidentali, per ogni singolo cittadino. Di fronte alla proposta di usare animali predatori come strumento di detenzione, non esistono posizioni intermedie. O si condanna con fermezza, o si è complici. Il silenzio, in questo caso, è una scelta. E la storia giudicherà duramente chi, potendo parlare, ha scelto di tacere. Perché quando si supera la linea che separa la punizione dalla crudeltà deliberata, quando si propone di riportare in vita le pratiche più oscure del Medioevo, ogni pretesa di civiltà crolla. E con essa, crolla la legittimità di qualsiasi governo che tolleri o promuova simili aberrazioni.

Di Eugenio Cardi

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