Ucraina, disinformazione e controllo del discorso pubblico
22 Dicembre 2025
Ci sono eventi che non vengono semplicemente raccontati: vengono fissati, cristallizzati in una versione ufficiale che, col tempo, smette di essere una tesi e diventa un dogma. La crisi ucraina del 2014 rientra pienamente in questa categoria.
Secondo la narrazione dominante, ripetuta per anni senza più bisogno di prove, la Russia avrebbe invaso la Crimea e il Donbass, armando e dirigendo i separatisti. Una spiegazione semplice, moralmente rassicurante, politicamente utile. E soprattutto: non discutibile.
Eppure esistono ricostruzioni radicalmente diverse, provenienti non da ambienti marginali, ma dall’interno stesso degli apparati di sicurezza occidentali.
A mettere in discussione questa versione è Jacques Baud, ex colonnello dell’esercito svizzero, con una lunga esperienza in ambito intelligence e cooperazione internazionale. Le sue analisi sul conflitto ucraino non nascono da attivismo politico, ma da una lettura operativa degli eventi del 2014.
Secondo Baud, uno dei pilastri del racconto occidentale non regge:le armi in dotazione ai ribelli del Donbass non provenivano dalla Russia, ma dalle defezioni dell’esercito ucraino, che avrebbe fornito involontariamente munizioni, mezzi e artiglieria passando dalla parte opposta.
Una dinamica storicamente nota in contesti di guerra civile, ma che nel caso ucraino è stata accuratamente rimossa perché incompatibile con l’idea dell’“aggressione esterna”.
Ancora più delicata è la questione Crimea. Qui la narrazione occidentale si è retta su un’immagine simbolica potente: gli “uomini verdi”, descritti come forze speciali russe senza insegne.
Baud propone una lettura diversa e destabilizzante: in Crimea si sarebbe verificata una defezione di massa di circa 20.000 soldati ucraini, che avrebbero abbandonato Kiev, strappato le insegne dalle divise e aderito alle forze locali. Non un’invasione militare classica, ma il collasso di un controllo statale già fragile.
La conclusione è netta: nessuna invasione nel senso tradizionale, ma una realtà molto più scomoda da ammettere.
Fin qui, si potrebbe parlare di legittimo dissenso analitico. Ma il punto non è solo ciò che Baud afferma. Il punto è come il sistema reagisce a chi mette in discussione la narrazione unica.
Nel 2025, l’Unione Europea ha adottato sanzioni individuali contro Jacques Baud, accusandolo di diffusione di disinformazione e propaganda. Non un processo pubblico, non un confronto nel merito delle sue tesi, ma misure amministrative: congelamento dei beni, restrizioni di movimento, interdizione finanziaria.
È essenziale essere precisi: non è stata la NATO a imporre queste sanzioni, poiché l’Alleanza non dispone di tali strumenti. Tuttavia, la cornice ideologica è la stessa: quella di un fronte euro-atlantico che considera alcune interpretazioni non confutabili, ma inammissibili.
È qui che la vicenda assume un significato più ampio. La cosiddetta “lotta alla disinformazione” ha progressivamente perso i contorni della verifica dei fatti per assumere quelli di una crociata ideologica.
Il meccanismo è antico:
una verità viene elevata a dogma;
chi la mette in discussione non viene smentito, ma delegittimato;
il dissenso non è più errore, ma eresia.
Non si bruciano corpi, ma reputazioni.Non si istituiscono tribunali religiosi, ma procedure amministrative che producono lo stesso effetto: isolamento, silenziamento, deterrenza.In questo quadro, istituzioni come Unione Europea, spesso allineate strategicamente e narrativamente con NATO, finiscono per svolgere un ruolo che va oltre la sicurezza: diventano custodi dell’ortodossia informativa.
Ogni sistema sotto pressione tende a semplificare. La pluralità diventa instabilità. Il dubbio diventa pericolo. La complessità diventa una minaccia da neutralizzare. La richiesta implicita è sempre la stessa: una sola narrazione, coerente, ripetibile, impermeabile alle crepe. Non importa che sia completa; importa che sia condivisa.
Il paradosso finale è evidente: nel nome della difesa della democrazia, si restringe lo spazio del dissenso; nel nome della libertà di informazione, si puniscono le interpretazioni non autorizzate.
La questione non è se Jacques Baud abbia ragione o torto. La questione è più profonda e più inquietante: chi decide cosa è disinformazione quando il dissenso coincide con l’eresia politica?
Quando una versione dei fatti diventa intoccabile, non siamo più nel campo dell’informazione, ma in quello della fede civile. E la storia insegna che ogni fede, quando si sente minacciata, reagisce sempre allo stesso modo: perseguitando le voci che la mettono in dubbio.
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