Sabato, 20 Dicembre 2025

Seguici su

"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Idf, la storia dell'"esercito più morale al mondo": dagli spari contro i palestinesi affamati alla devastazione di Gaza con i bulldozer

E tutto questo senza alcuna conseguenza. Nessuna incriminazione. Nessun processo. Nessuna sanzione. Ci siamo chiesti: com’è possibile? Com’è possibile assistere a tutto questo e non provare indignazione, non vedere una reazione politica, culturale, mediatica all’altezza? Una spiegazione, purtroppo, esiste

20 Dicembre 2025

Idf, la storia dell'"esercito più morale al mondo": dalla devastazione di Gaza con i bulldozer agli spari contro i palestinesi affamati

Idf

Oggi proverò a narrarvi la storia quello che viene chiamato “l’esercito più morale al mondo”. Così lo definiscono, con orgoglio, nei comunicati ufficiali, nelle interviste, nelle conferenze. L’IDF: le Forze di Difesa Israeliane.

Idf, la storia dell'"esercito più morale al mondo": dagli spari contro i palestinesi affamati alla devastazione di Gaza con i bulldozer

E se lo dicono loro, dev’essere vero, no? Negli ultimi anni, però, abbiamo avuto modo di vederla da vicino, questa “moralità”. Li abbiamo visti registrare video su TikTok mentre deridevano famiglie palestinesi rimaste senz’acqua e senza pane. Li abbiamo visti avanzare con i bulldozer travolgendo tutto, persone comprese. Li abbiamo visti sparare contro civili in fila per ricevere un sacco di farina. Li abbiamo visti provocare fame, sete, devastazione, epidemie. Anche la poliomielite è tornata. Scene che sfiorano l’immaginario apocalittico, e no, non è un’esagerazione.

E tutto questo senza alcuna conseguenza. Nessuna incriminazione. Nessun processo. Nessuna sanzione. Ci siamo chiesti: com’è possibile? Com’è possibile assistere a tutto questo e non provare indignazione, non vedere una reazione politica, culturale, mediatica all’altezza? Una spiegazione, purtroppo, esiste.

Quello che accade non è una deriva momentanea, non è un’anomalia.

Non è, come molti cercano di far credere, una reazione impulsiva ai fatti del 7 Ottobre 2023. È un male strutturato. Endemico. Sistemico. È un male che ha radici profonde. Non è un effetto collaterale dell’IDF: è il suo cuore pulsante. Ed esisteva prima ancora che l’IDF si chiamasse così. Ed esisteva prima ancora che Israele fosse Israele. Prima dell’IDF c’erano Haganah, Irgun, Lehi. Sigle che in Occidente non si studiano, non si conoscono. Ma sono l’anima vera di quello che oggi viene venduto come un moderno esercito democratico. Ecco perché oggi non vi parlerò solo della storia dell’IDF. Cercherò di ricostruire come la genesi di un odio. Come si trasforma in identità, come si arma e si legittima.

Cos'è l'Idf, Israeli Defence Forces

Nonostante tutto quello che oggi è impossibile ignorare, per gran parte dei media occidentali continuano ad essere un modello. Esempio di efficienza, disciplina, innovazione tecnologica. Vengono presentati come un baluardo della democrazia. E così, anche i loro crimini diventano… “necessari”. Necessari per combattere il terrorismo, dicono. La propaganda si è data da fare. Ha lavorato bene. Ha installato nella testa della gente un’idea tossica: che tutto questo serva. Ma allora, chi sono davvero? Com’è nato l’IDF? Cosa c’è dietro quell’uniforme? Ogni volta che si parla di un crimine, ogni volta che si mostra un massacro, la risposta è sempre la stessa: “Eh, ma il 7 ottobre?” Come se tutto cominciasse lì. Come se la storia non esistesse. E invece no. La storia c’è. E va raccontata. Ma questa storia non comincia il 7 ottobre. E non comincia nemmeno nel 1948, quando Israele si autoproclama Stato. Comincia molto prima. Alla fine dell’Ottocento. E comincia con un ragazzo. Un ebreo polacco. Nasce nel 1886, in una Polonia che all’epoca è ancora sotto l’Impero russo. È un giovane universitario, attivissimo politicamente. Antizarista, antifondamentalista. Siamo in un’Europa dove l’antisemitismo comincia a farsi sistemico. I pogrom aumentano. Le discriminazioni diventano legge. E così, molti giovani ebrei iniziano a temere seriamente per la propria sopravvivenza. In tanti iniziano a coltivare un’idea: che serva uno Stato ebraico. Che serva un luogo in cui essere “al sicuro”. Lui ci crede davvero. Così tanto che nel 1906 parte. Destinazione: Palestina, all’epoca territorio ottomano. Lui è convinto che quella sia la “terra promessa”. La base su cui costruire il futuro Stato d’Israele. Si chiama David Grün. Ma forse lo conoscete con un altro nome. Perché lui, quel nome, lo cambierà. Lo farà diventare più ebraico, più solenne, più epico. Sceglierà di chiamarsi David Ben-GurionFiglio del leone”. Nome ispirato a un leggendario combattente ebreo dell’epoca romana, citato anche da Giuseppe Flavio. Non è il solo. Tutta una generazione di giovani ebrei europei cambia nome, identità, progetto di vita. Tutti arrivati in Palestina per costruire qualcosa che ancora non esiste. Sono i “Nuovi Yishuv” – le nuove comunità ebraiche insediatesi in Palestina. Da non confondere con i “Vecchi Yishuv”, gli ebrei già presenti sul territorio prima delle ondate migratorie sioniste.

I vecchi Yishuv vivevano una vita semplice: coltivavano, pregavano, e non avevano mire politiche. Vivevano in armonia con l’Impero Ottomano, senza problemi. I nuovi Yishuv, invece, sono di un’altra pasta: giovani, politicizzati, rabbiosi. Molti come Ben-Gurion vengono dall’università, da ambienti rivoluzionari, e hanno trovato nel sionismo una risposta netta all’antisemitismo europeo. Una risposta attiva.

Arrivati in Palestina, si mettono a costruire. Colonie agricole, insediamenti, infrastrutture, scuole. Si organizzano in modo autonomo, rigettano ogni forma di dipendenza politica o economica. Ma soprattutto: hanno un obiettivo chiaro. Costruire Israele. E per costruire uno Stato, si parte dalle fondamenta. Prima ancora della politica, prima ancora dell’economia, serve la difesa. Serve proteggere quello che si sta edificando. Soprattutto da chi in quella terra già viveva. Perché è chiaro fin da subito: le popolazioni arabe locali non vedono affatto di buon occhio questi nuovi arrivi. E i numeri iniziano a crescere in fretta. I primi ebrei sionisti in Palestina erano circa 25.000. Nel giro di pochi anni diventano 40.000. Nel 1909 si stima siano già 60.000, cioè tra l’8% e il 10% della popolazione. È nel 1909 che nasce anche la prima organizzazione paramilitare ebraica: si chiama Hashomer -in ebraico, “i guardiani”. All’inizio sono semplici sentinelle. Difendono le colonie agricole, le fattorie, dalle incursioni. Ma il salto ideologico è dietro l’angolo. L’idea è chiara: solo il popolo ebraico può difendere il popolo ebraico. È questo il seme. L’autodifesa diventa principio, poi valore, poi dottrina. Hashomer è ancora piccola, embrionale, ma è il punto di partenza. Poi arriva la Prima Guerra Mondiale. Nel 1920 l’Impero Ottomano si dissolve. E la Palestina passa sotto mandato britannico. Una terra già abitata da due popoli, ora ne vede arrivare un terzo: Gli inglesi. Nel frattempo, l’immigrazione ebraica cresce. Gli ebrei in Palestina diventano circa 85.000. La tensione sale e la convivenza è sempre più forzata, gli scontri aumentano. La comunità ebraica si sente in pericolo, ma anche sempre più determinata.

La milizia evolve. Non sono più semplici guardiani: nasce la Haganah – il nucleo vero e proprio della futura forza militare israeliana. Haganah in ebraico significa “difesa”. Ma difesa da chi? Da cosa? La Haganah è l’ossatura armata dei nuovi Yishuv. Non più solo sentinelle nei campi: adesso c’è un progetto politico e militare coordinato. E a guidarlo, c’è proprio lui: David Ben-Gurion.

Il ruolo di David Ben-Gurion

Diventato leader riconosciuto della comunità sionista, assume il controllo diretto delle milizie. E ha idee chiarissime. Lui l’ha sempre detto: per costruire uno Stato serve una base solida, e quella base è militare. Ma serve anche una strategia politica. E per lui la linea è chiara: collaborare col Mandato britannico in cambio di un impegno, più o meno esplicito, verso la creazione di uno Stato ebraico. È convinto che il sogno sionista si possa realizzare solo così: con pazienza, diplomazia e alleanze tattiche. Ma non tutti sono d’accordo. Nel 1929 esplodono gli scontri arabo-ebraici, quelli che passano alla storia come il massacro di Hebron. Sessantasette ebrei vengono uccisi. L’evento scuote profondamente tutta la comunità sionista in Palestina e innesca una crisi interna alla Haganah. In molti iniziano a mettere in discussione la linea morbida di Ben-Gurion. Per alcuni, la sua strategia è un’illusione. Collaborare con gli inglesi, restare moderati, evitare lo scontro diretto? Follia. Secondo le frange più radicali, lo Stato ebraico non si costruisce con le promesse. Si costruisce con il sangue. È qui che nasce la frattura. La Haganah si scinde. I più intransigenti se ne vanno e danno vita all’Irgun (o Etzel), sotto la guida di Vladimir Jabotinsky, ideologo del sionismo revisionista. Un sionismo duro, centralizzato, dichiaratamente nazionalista. La parola d’ordine è una sola: espansione. Per l’Irgun, gli arabi non sono semplicemente un ostacolo da gestire: sono un nemico da eliminare. Non basta costruire uno Stato ebraico in Palestina. Bisogna includere anche Libano, Siria, Sinai. Un progetto di conquista. Un progetto di forza. Un progetto che si riassume nel concetto simbolico di “Iron Wall” - il muro di ferro che gli ebrei devono erigere: invalicabile, inaccessibile, eterno. Solo quando questo muro sarà completato, dicono, potrà esserci pace. Non prima. E quel muro, tra l’altro, finisce anche nel simbolo dell’Irgun.

Di Alessandra Giulia

Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.

Commenti Scrivi e lascia un commento

Condividi le tue opinioni su Il Giornale d'Italia

Caratteri rimanenti: 400

Articoli Recenti

x