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Francia, i 4000 gitani catalani di Sant Jaume di Perpignano: disprezzati e dimenticati, nel cuore della povertà e dell'abbandono transalpino

A metà mattina non c’è un’anima per le strade, né a mezzogiorno, perché a Sant Jaume la gente ha l’abitudine di alzarsi tardi

22 Ottobre 2025

Festa a Sant Jaume

Festa a Sant Jaume, fonte: Wikipedia

A metà mattina non c’è un’anima per le strade, né a mezzogiorno, perché a Sant Jaume la gente ha l’abitudine di alzarsi tardi.

Al crepuscolo (con Nick Giménez)

Sant Jaume è un quartiere gitano nel cuore di Perpignano, ed è uno dei luoghi più poveri della Francia. Le strade sono strette e in salita, e le facciate colorate: sarebbe bellissimo se non fosse così sporco e abbandonato a se stesso. Si capisce di essere arrivati a Sant Jaume proprio per quella trascuratezza, e anche perché lì si sente parlare solo catalano: un catalano melodico, punteggiato di arcaismi e gallicismi.

Perpignano è territorio francese da quando il Trattato dei Pirenei spezzò la Catalogna nell’anno 1659. Tre secoli e mezzo di dominio francese hanno trasformato il catalano in una lingua minoritaria nella Catalogna Nord (cioè la Catalogna francese, equivalente all’attuale Dipartimento dei Pirenei Orientali). Le leggi hanno relegato il catalano in casa, e già nel XX secolo il disprezzo sociale, le punizioni a scuola e l’arrivo dei pieds-noirs hanno fatto il resto. E così, la bassa scolarizzazione dei gitani e, in generale, il loro isolamento, sono stati fattori decisivi per preservare la lingua all’interno della comunità. Nel resto della regione il catalano è ora molto debole, ma il suo prestigio è crescente e ci sono varie iniziative per farlo rivivere. Tuttavia, il baluardo più solido del catalano nella Catalogna Nord resta la comunità gitana.

A Sant Jaume vivono circa 4.000 gitani. Le strade sono affollate: i bambini giocano a bocce nel terreno incolto, le donne stanno sedute al fresco e gli uomini si riuniscono nella piazza del Puig. È un luogo caotico ed eccitante. C’è però immondizia in molti angoli, alcune facciate sono molto rovinate e i panni sono stesi ai balconi. Un bambino siede sulla soglia di una porta, indossa una maglietta del Barça e tra le gambe ha una gabbia con un pappagallino; più in alto, due ragazzi indicano dove trovare Nick Giménez, uno dei leader della comunità.

Giménez sporge la testa dalla finestra, scende e si siede su una sedia davanti a casa sua. Non ci sono più patriarchi a Sant Jaume, dice: quelli che c’erano sono morti e, inoltre, si sta perdendo il rispetto per gli anziani: “Non è come prima, il mondo è girato”. Ha lavorato trentacinque anni al municipio, e faceva da consulente e da mediatore su questioni relative al quartiere, soprattutto sulla pulizia. Non dà la colpa all’amministrazione: “La sporcizia è dei gitani. La buttano dalla finestra, non scendono (a raccoglierla). Sono le persone che sono sporche... non tutti, eh”. Giménez parla della sua identità (“Sono catalano. Non sono francese!”) ma chiarisce che a Sant Jaume non esiste una mobilitazione politica intorno a questo sentimento: “L’80% della gente non segue queste cose, non ci badano e non lo sanno, non gliene interessa. Parliamo catalano perché siamo catalani, è la nostra lingua, ma non siamo gente da andare a manifestare. Perché te lo dico: la Catalogna non potrà avere l’indipendenza, non la avranno mai, la Spagna non darà mai la libertà”. E poi, parlando dei due pilastri della sua identità, ne mette uno al di sopra dell’altro: “Ci sentiamo per quello che siamo: gitani. Parliamo catalano ma siamo gitani”. Disprezzati dalle istituzioni francesi e dimenticati dai catalani del sud, si sentono abbandonati: “I politici catalani di qui non ci vogliono per niente, non sono mai venuti, e ancora meno quelli di Barcellona, non ci conoscono proprio. Siamo dimenticati da tutti, nessun altro ci vuole”.

Poi, Giménez difende lo stile di vita dei gitani (è forse una vestigia del nomadismo?): “Non siamo come i non gitani”, dice Giménez; “viviamo all’aperto, facciamo tutto per strada, è sempre stato così. Qui vieni a qualsiasi ora, a mezzanotte o all’una o alle due o alle tre di notte, e c’è sempre gente fuori, anche i bambini piccoli”. Non vanno a scuola? “Non troppo. Perché? Per ricevere un certificato? Per un lavoro non li vorranno. Non serve a nulla”. La disoccupazione tra i giovani raggiunge il 90%, e sono molti nel quartiere, giovani e vecchi, che vivono degli aiuti pubblici. Solo tra il 25 e il 50% dei bambini va regolarmente a scuola, e così molti bambini (e adulti) del quartiere non sanno scrivere. Queste circostanze (bassa scolarizzazione e analfabetismo) sono ancora più diffuse tra le bambine e le donne. D’altra parte, quelli che sanno scrivere lo fanno solo in francese. “Il catalano è proibito”, dice Giménez; “non vogliono il catalano qui”. Ci sono solo due scuole catalane in tutto Perpignano e non sono vicine. Quindi, quando si scrive su Whatsapp o si pubblica qualcosa sui social o si affigge un cartello o quanto altro, lo si fa sempre in francese. A Sant Jaume nessuno sa scrivere nella propria lingua.

Due notti d’estate (la fede)

Alla fine della piazza, ci sono i pastori e i musicisti. Davanti, sulle sedie, siedono le donne; la maggior parte degli uomini sta al perimetro della piazza, vicino alle facciate colorate. Poiché è mercoledì, c’è assemblea, e visto che il tempo è bello, oggi è all’aperto. Assemblée (lo dicono così, in francese, non in catalano) è come chiamano qui il culto evangelico. Ci sono i discorsi dei pastori e le testimonianze di chi vi si raduna: quasi tutto è in francese. Di tanto in tanto c’è rumba e flamenco, rispettivamente in catalano e in castigliano, ma spesso mescolando stili e lingue: “La parola di Dio è viiiiva. Le promesse al mio Dio sono viiiive. Il profeta profetizaaaava, profetizava il Figlio di Dio [...] ¡Y volaréeee! ¡Y volaréeee! (Allez-y! Sí, signore!) ¡Y volaréeee! ¡Y volaréeee para estar contigoooo!”. Pochi di loro parlano castigliano, ma conoscono canzoni in castigliano. Ma perché i discorsi sono in francese? Nene, uno dei pastori evangelici, diceva che il culto è aperto alla gente fuori dal quartiere, ma all’assemblea non si vedeva nessun forestiero. Qualcuno diceva che è per non sollevare sospetti tra le autorità francesi, perché capiscano cosa si dice se mai si affacciassero.

Una delle questioni più controverse, quando i non gitani parlano del popolo gitano, è la prova del fazzoletto: prima del matrimonio, un’anziana della comunità introduce un fazzoletto bianco nella vagina della sposa e, dal colore delle secrezioni, si sa se la donna conserva l’imene o no, se è mai stata penetrata; il fazzoletto poi viene mostrato a tutti. “È una usanza, è una cosa nostra che tramandiamo di generazione in generazione”, dice Nene; “ed è per dare una garanzia alle famiglie che ha mantenuto la verginità. È un onore. La famiglia lo vuole, la ragazza lo vuole, il padre vuole che sia fatto così anche lui”. Dall’esterno, molti ritengono che questa pratica umili le donne, che sia un’invasione della loro intimità: “Direi loro di voltarsi e andarsene. Di non guardare, è tutto. La gente non deve entrare nella nostra intimità, di ciò che è sacro per noi. Voilà. Qui in Francia, questo non ci ha mai portato in tribunale, e se ci portassero, lo faremmo nascondendoci”. E se una ragazza non è vergine? “Il matrimonio non si fa”. Nene parla un catalano più vicino allo standard barcellonese.

Due giorni dopo, venerdì, c’è di nuovo assemblea. Pioviggina, così la tengono al chiuso, in un locale ampio e sobrio, con luce bianca e uniforme. È più o meno come quella della piazza ma con meno musica e più testimonianze, e con imposizioni di mani e momenti di catarsi collettiva. Il locale è nella parte bassa del quartiere, dove i gitani vivono mescolati ai magrebini, che sono una minoranza in un quartiere di una minoranza. Qualcuno dice che si può capire dove vivono i gitani e dove vivono i magrebini perché i magrebini non stendono i panni ai balconi. Tra loro (gitani e magrebini) parlano francese. La convivenza è buona, ma non è sempre stata così: il momento più critico fu nel 2005 quando gli scontri violenti tra le due comunità lasciarono due morti. Ma è passato tempo, e infatti, nel 2018 e 2019, le due comunità hanno camminato fianco a fianco nella lotta contro i piani urbanistici che il municipio aveva per il quartiere. I vicini capivano (e capiscono) che una riforma era necessaria, ma si fidavano poco dell’amministrazione. Volevano demolire interi isolati e mandare via una quinta parte della gente del quartiere; volevano un quartiere meno denso e più misto, dicevano, e così porre fine all’insalubrità e al ghetto. I residenti di Sant Jaume si sono opposti: molte famiglie avrebbero dovuto abbandonare il quartiere e temevano che la loro cultura si sarebbe diluita. Così, hanno rotto con il loro apoliticismo e isolamento atavici, si sono mobilitati e hanno trovato sostegno fuori dal quartiere: hanno fatto barricate e fermato gli escavatori. “Sono molti anni che ci vogliono cacciare di qui”, diceva Nick Giménez; “non possono, no”. Nel 2020, Louis Aliot, del Rassemblement National, vinse le elezioni a primo cittadino. Pur essendo di estrema destra e nazionalista francese, ha ottenuto molto sostegno a Sant Jaume: ha sospeso completamente le demolizioni. Sulla stampa alcuni parlarono di clientelismo, di acquisto di voti, ma questi sospetti e accuse c’erano già prima, con altri candidati e sindaci.

A tarda notte le strade sono ancora più piene, sembra una festa patronale. Ci sono grigliate e altre partite a bocce, ci sono bambini che corrono su e giù, alcuni in motorino; ci sono adulti seduti davanti a casa e in piazza. È strano, esuberante, affascinante.

Tre settimane dopo (le droghe)

Si avvicinano due ragazzi (un gitano e un magrebino) e dicono che non vogliono nessuno con una macchina fotografica nella loro via. Non dicono perché, ovviamente, ma è perché lì si vendono droghe. Il quartiere ha i problemi già menzionati come l’insalubrità, la bassa scolarizzazione, la disoccupazione e il clientelismo politico, ma tutti a Sant Jaume concordano che la droga è il loro male maggiore. La vendita, ma soprattutto il consumo dei giovani. Alcune testimonianze alle assemblee trattavano proprio di questo, e Nene diceva: “La chiesa accoglie il tossicodipendente, ma un venditore non lo vogliamo, a meno che questa persona non cambi”.

Di notte, una famiglia accende un fuoco davanti a casa ai piedi di un muro mezzo crollato e sostenuto da travi che fungono da contrafforti, vestigia delle demolizioni del 2018. Il padre dice questo, riguardo all’incidente del pomeriggio: “Tutti lo sanno, che vendono droga, dove sono e chi sono. Lo sa la polizia, e li prendono e in un’ora sono fuori. Gli prendono i soldi e la droga... loro sapranno cosa ne faranno”. Si lamenta anche che lo fanno proprio qui vicino, che ci sono bambini per le strade, che si sta rovinando un’intera generazione di giovani e che prima c’erano negozi e artigiani e non c’è più niente di tutto questo. E concludeva: “A loro va bene che siano qui così non danno fastidio al centro. Il municipio ha ucciso il quartiere”.

Autunno (epilogo)

Non avrà ancora 30 anni; siede su una panchina in piazza del Puig: “Sono molto razzisti qui, eh. Enti in un negozio e tutti ti stanno guardando. Parlo francese solo quando vado in centro. A Sant Jaume parliamo catalano. Il francese l’ho imparato a scuola, ma a casa non parliamo francese. Quando parliamo francese abbiamo accento, ci costa. Gitano e catalano vanno insieme. Il gitano non parla il caló, questo si è perso. [...] Mi sento più vicino a un ragazzo [‘paio’ nel senso di non gitano] di Barcellona che a uno di Perpignano, perché se vado là mi capiranno, qui non mi capiscono. Qui non ci sono molti non gitani che parlino catalano, nei paesi sì. È un catalano non gitano, non è un catalano come il nostro, lo parlano come a Barcellona. [...] Io vorrei che la Catalogna fosse tutta una, tutta unita. Insieme a tutta la Spagna, tutti. A Madrid non parlano catalano, ma ci sono anche gitani. [...] I giovani non comandano nel quartiere, a comandare sono gli anziani: se dicono questo, fai quello. Li devi rispettare... Ti picchiano qui, eh! È come con mio padre: se mio padre mi dice di non fare questo, non lo farò. Se facessi altro, mio padre mi ucciderebbe. Agli anziani si deve rispetto. Se un anziano ti dà un consiglio è perché lui l’ha passato, lo sa. [...] Problemi non ce ne sono qui, eh. Non ci sono mai stati problemi, perché ce li risolviamo tra di noi. Qui... non entra gente qui. Se qui entra un non gitano e non si comporta bene, lo facciamo andare, ‘vattene via’. Il primo giorno che sei venuto qui tutti dicevano chi è questo. Dopo abbiamo visto che parli catalano e che è per il reportage, ora tutti ti conoscono. Ti conoscono un po’ qui, eh? Non ti diranno niente”.

Di Alfons Cabrera

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