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Gideon Levy e la denuncia di un'Israele che ha "perso l'anima", il giornalista israeliano più "scomodo" parla di società trasformata da odio e razzismo

Nelle sue ultime analisi, Levy non usa mezzi termini: Israele è "un Paese impazzito", che "ha perso la sua anima". Per il giornalista, ciò che sta accadendo oggi a Gaza è il culmine di un processo iniziato settantasette anni fa con la Nakba del 1948, la catastrofe che vide l'espulsione di circa 750.000 palestinesi dalle loro terre durante la creazione dello Stato di Israele

06 Ottobre 2025

Gideon Levy e la denuncia di un'Israele che ha "perso l'anima", il giornalista israeliano più "scomodo" parla di società trasformata da odio e razzismo

Gideon Levy è probabilmente il giornalista israeliano più discusso del suo stesso Paese. Columnist di punta del quotidiano Haaretz da decenni, Levy ha dedicato la sua carriera a documentare l'occupazione dei territori palestinesi e le sue conseguenze, guadagnandosi l'odio di gran parte della società israeliana e minacce continue alla sua incolumità.

"Un paese impazzito"

Nelle sue ultime analisi, Levy non usa mezzi termini: Israele è "un Paese impazzito", che "ha perso la sua anima". Per il giornalista, ciò che sta accadendo oggi a Gaza è il culmine di un processo iniziato settantasette anni fa con la Nakba del 1948, la catastrofe che vide l'espulsione di circa 750.000 palestinesi dalle loro terre durante la creazione dello Stato di Israele.

L'odio verso Gaza, secondo Levy, non è un fenomeno spontaneo ma il risultato di decenni di sistematico lavaggio del cervello. La narrativa dominante nella società israeliana dipinge tutti i palestinesi come terroristi, creando una disumanizzazione che rende possibile l'impensabile.

"The Killing of Gaza": l'ultimo atto d'accusa

Nel suo ultimo libro, The Killing of Gaza, Levy documenta quella che definisce una tragedia annunciata. Ma ciò che più lo colpisce non sono solo gli eventi sul campo: è l'indifferenza, anzi il rifiuto attivo degli israeliani di voler sapere cosa fa il loro esercito a Gaza. "Gli israeliani non vogliono sapere", ripete Levy nelle sue interviste. È un meccanismo di negazione collettiva che permette alla società di non fare i conti con la realtà dell'occupazione e della violenza.

La deriva fascista

Israele sta cambiando in modo drammatico, avverte Levy. Non si tratta più solo di politiche discutibili o di governi di destra: "Sta diventando una società fascista". Il problema, insiste il giornalista, non è solo nei leader o nelle istituzioni, ma è nella società stessa. L'odio razzista verso i palestinesi ha raggiunto, secondo Levy, livelli mai visti prima. Quello che una volta poteva essere considerato un conflitto territoriale si è trasformato in qualcosa di più profondo e più pericoloso: un odio viscerale, alimentato quotidianamente da politici, media e sistema educativo.

Una voce nel deserto

Levy paga personalmente il prezzo della sua testimonianza. È considerato un traditore da molti suoi connazionali, riceve minacce di morte, viene insultato per strada. Eppure continua a scrivere, a documentare, a gridare nel deserto dell'indifferenza israeliana. La sua è una battaglia solitaria per la memoria e la coscienza di un Paese che, secondo lui, ha smarrito entrambe. Un Paese che un tempo si definiva "luce tra le nazioni" e che oggi, nelle parole di uno dei suoi figli più critici, è diventato irriconoscibile a sé stesso.

La voce dell'"altra Israele" a Presa Diretta

Ieri sera, domenica 5 ottobre, Levy è stato tra i protagonisti della puntata speciale di Presa Diretta su Rai3, condotta da Riccardo Iacona e intitolata "La guerra totale". Una serata-evento di 160 minuti dedicata al conflitto israelo-palestinese, con testimonianze dall'interno di Gaza e le voci dell'"altra Israele": quella che dice NO alla guerra di Netanyahu. Accanto a Levy, la trasmissione ha dato spazio anche a Guy Poran, ex pilota dell'aeronautica militare israeliana che oggi guida un movimento di migliaia di militari e civili contrari alle azioni del governo. "A Gaza stanno facendo cose immorali, è un crimine contro l'umanità quello che sta succedendo", ha dichiarato Poran. A Presa Diretta, insieme agli altri rappresentanti dell'"altra Israele" – dai familiari degli ostaggi che protestano davanti alla Knesset, ai professori universitari che chiedono alternative di pace, dagli attivisti di Standing Together agli editoriali di denuncia - Levy ha rappresentato quella minoranza israeliana che ancora osa opporsi alla deriva autoritaria del Paese.

In un'intervista recente al Manifesto, Levy ha spiegato che "la maggior parte degli israeliani pensa che Israele abbia il diritto di fare ciò che vuole e che non ci siano palestinesi innocenti. Sente di avere non solo il diritto ma il dovere di compiere un genocidio e una pulizia etnica".

Un'opposizione inefficace

Secondo Levy, anche l'opposizione interna a Israele è concentrata principalmente sulla questione degli ostaggi e sulla sostituzione di Netanyahu, non sul genocidio in corso. "La maggior parte di chi protesta per gli ostaggi ritiene che Israele possa fare quel che vuole a Gaza", sottolinea il giornalista. "Israele è molto più unito di quanto appaia in superficie: quando si arriva alle questioni chiave, si vede davvero quanto consenso oggi abbia l'ultradestra e quanto il 7 ottobre sia percepito come un'opportunità da sfruttare" («Israele è più unito di quanto appaia, si vede nel consenso all’ultradestra», Il Manifesto).

Guardando al futuro, Levy è pessimista: "C'è una tendenza molto chiara: Israele va sempre più verso posizioni fondamentaliste, nazionaliste e razziste. Tra dieci, vent'anni sarà un posto molto sgradevole in cui vivere".

Gideon Levy continua a scrivere per Haaretz, rimanendo una delle poche voci israeliane disposte a raccontare la verità scomoda dell'occupazione, anche quando questa verità gli costa l'ostilità della sua stessa società.

Di Eugenio Cardi

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