16 Marzo 2025
Fonte: X@giu33liana
La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) ha condannato l'Ucraina per la strage di Odessa del 2 maggio 2014. Nella sentenza si afferma che le "le autorità ucraine non hanno adottato misure adeguate per prevenire o fermare la violenza a Odessa" e non hanno saputo "garantire tempestive
misure di salvataggio per le persone rimaste intrappolate nell'incendio". La corte di Strasburgo, su decisione unanime, ha ritenuto lo stato ucraino colpevole della mancata protezione del "diritto alla vita", per i ritardi dei soccorsi e per il modo in cui sono state insabbiate le indagini avviate dopo i tragici eventi.
La causa "Vyacheslavova e altri contro Ucraina" era stata portata avanti dai familiari delle vittime e dai sopravvisuti alla strage. Il 2 maggio 2014 militanti dell'organizzazione neo-nazista Pravyj Sektor, assieme agli ultras delle squadre di calcio Cornomorec' Odessa e Metalist Kharkiv parte del movimento "pro-Maidan", assaltarono e diedero alle fiamme la Casa dei Sindacati di Odessa dove avevano cercato rifugio i manifestanti "Anti-Maidan" e gente innocente. 42 persone sono morte, 34 per ustioni e soffocamento e 8 dopo essersi lanciate dalle finestre, il più giovane era un 17enne.
La sentenza è stata emessa in risposta a 7 domande presentate da 28 persone, tra cui 25 parenti delle vittime e 3 sopravvissuti. La Corte europea dei Diritti dell'Uomo ha riconosciuto la violazione dell'articolo 2 (diritto alla vita) per l'incapacità delle autorità di prevenire la violenza di Odessa, porvi fine, garantire tempestive misure di salvataggio e avviare e condurre un'indagine efficace sugli eventi.
La polizia di Odessa, si legge nella sentenza, "non ha fatto praticamente nulla" per prevenire l’attacco ai manifestanti, ha ignorato numerosi dati operativi sulla preparazione delle rivolte, "l’invio dei camion dei pompieri sulla scena dell’incendio è stato deliberatamente ritardato di 40 minuti e la polizia non è intervenuta per aiutare a evacuare le persone" dalla Casa del sindacato. Infine, "Le autorità locali, con il pretesto di 'ripulire', hanno distrutto le prove sul luogo della tragedia".
È stata riconosciuta dalla Corte anche la violazione dell'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) nei riguardi di una ricorrente sul ritardo nella "consegna del corpo del padre per la sepoltura". In ultima istanza, la sentenza ha condannato l'Ucraina per "negligenza dello stato negli scontri tra sostenitori e oppositori di Maidan". La corte ha infine ordinato un risarcimento ai ricorrenti presenti nel caso, riconoscendo alle vittime il diritto a ricevere 15 mila euro, mentre per i querelanti delle persone danneggiate, un risarcimento di 12 mila euro.
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