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Microchip, i taiwanesi ammettono: "La tensione Usa-Cina sta distruggendo il mercato"

 Le tensioni tra le due superpotenze mondiali stanno "distorcendo" il mercato dei semiconduttori e cancellando i benefici della globalizzazione, ha dichiarato  l'amministratore delegato del principale produttore di chip a contratto del mondo, con Taipei che teme di perdere una leva di deterrenza fondamentale

19 Dicembre 2022

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La guerra dei semiconduttori, o meglio chip war, rischia di distruggere la globalizzazione. L'ammissione arriva non dalla Cina, che sta subendo le restrizioni imposte dagli Stati Uniti al settore, ma da Taiwan, che teoricamente sarebbe il primo e principale alleato della Casa Bianca nel comparto. Un segnale che Taipei e le sue aziende, veri e propri colossi a livello mondiale, temono di perdere una leva diplomatica e commerciale fondamentale nei loro rapporti con Pechino.

Il grido d'allarme dei produttori di chip di Taiwan (con Biden nel mirino)

"Le tensioni tra le due superpotenze mondiali stanno distorcendo il mercato dei semiconduttori e cancellando i benefici della globalizzazione", ha dichiarato C.C. Wei, CEO di Taiwan Semiconductor Manufacturing Co,  in un discorso in cui ha anche espresso riserve sulla corsa globale dei Paesi a portare la produzione di chip in loco. L'amministratore delegato del principale produttore di chip a contratto del mondo ha affermato che il COVID-19 e la guerra in Ucraina continueranno a perturbare la catena di fornitura dei chip, ma ha sottolineato che il "confronto geopolitico" è la nuova sfida più grande che il settore deve affrontare.

"Il confronto geopolitico ha distorto l'intero mercato. Prima si produceva un prodotto e lo si poteva vendere a tutto il mondo. Ora, alcuni prodotti non possono essere venduti, alcuni Paesi dicono che non si può entrare, mentre altri dicono che si possono usare solo alcuni prodotti locali", ha detto il ceo riferendosi alle tensioni tra le due superpotenze mondiali. "Questa situazione ha distrutto tutta la produttività e l'efficienza portate dalla globalizzazione. Anche se dire distruggere è troppo forte, queste barriere comprometteranno seriamente i benefici di un'economia libera come in passato. È una situazione davvero negativa". 

Negli ultimi anni, il produttore dei semiconduttori più avanzati al mondo si è trovato sotto il fuoco incrociato delle tensioni tecnologiche tra Stati Uniti e Cina. Ad esempio, non è più in grado di servire alcuni clienti cinesi senza una licenza statunitense a causa delle restrizioni imposte da Washington sull'uso della tecnologia americana. L'aspetto più spaventoso della situazione attuale, ha detto, è la scomparsa della "fiducia reciproca e della collaborazione".

Si rischiano conseguenze devastanti, non solo economiche

Le conseguenze possono essere devastanti, sia sul fronte della produzione di chip sia su quelle politico-geopolitiche per Taiwan, in larga parte costretta a seguire le pressioni americane su un settore ritenuto strategico. Non va dimenticato che i microchip servono anche per far funzionare le armi di nuova generazione e i mezzi militari, compresi gli aerei da guerra. Questo significa che avere o non avere la tecnologia più avanzata può far vincere o perdere i futuri conflitti. 

Nel frattempo la Foxconn, azienda taiwanese produttrice di elettronica e tra i principali fornitori di Apple, ha dichiarato che avrebbe venduto la quota di azioni (772 milioni di dollari) che deteneva in Tsinghua Unigroup, ex colosso cinese dei semiconduttori finito nelle grande nel 2021 per l’alta esposizione debitoria. Ma non è bastato. Come riportato da Reuters, sabato il governo di Taiwan ha deciso che multerà Foxconn per aver il suo investimento non autorizzato in Cina.

La multinazionale taiwanese aveva reso nota la propria partecipazione in Tsinghua Unigroup solo lo scorso luglio, violando la legge di Taipei che richiede che tutti gli investimenti esteri debbano essere preventivamente approvati dal governo centrale. Dal canto suo, Foxconn aveva investito in Tsinghua Unigroup tramite una sua filiale cinese allo scopo di acquisire nuovi impianti di chip – in un momento di carenza globale – per espandere la propria produzione di auto elettriche.

Ma continuare a tagliare i legami commerciali, avverte chi è in prima linea di fronte a Pechino, può portare conseguenze serie. Non solo sul piano economico.

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