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Mps - Mediobanca, il Mef difende la gestione del 3,5% a Delfin e Caltagirone, del 9% a Banco Bpm; crisi degli assetti finanziari

Tra l’inchiesta sulla scalata a Mediobanca, la decisione della Bce sui 140 miliardi per l’Ucraina e le tensioni interne a Delfin – primo azionista di Mps e secondo di Generali – Bankitalia e Tesoro si confrontano con rischi sulla stabilità degli assetti di Generali, Mps e Banca Bpm, mentre le dinamiche di governance restano congelate

09 Dicembre 2025

Mps - Mediobanca, il Mef difende la gestione del 3,5% a Delfin e Caltagirone e del 9% a Banco Bpm; crisi degli assetti finanziari

Francesco Gaetano Caltagirone sx, Francesco Milleri cx, Giancarlo Giorgetti dx

Nonostante la diffusione e le possibili conseguenze dell’inchiesta della Procura di Milano, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, sembrerebbe apparire sereno per la vendita delle azioni Mps di proprietà del Mef nel novembre 2024.  Il capo del Tesoro ha sempre difeso l’operato del Mef, sostenendo "la piena correttezza della procedura", e gli stessi atti dell’inchiesta sembrano confermare questa posizione.

Durante la vendita delle azioni di Mps, il 3,5% fu assegnato a Delfin e Caltagirone, mentre il 9% andò a Banco BPM, nell’ambito di una strategia volta alla creazione di un terzo polo bancario, poi vanificata dal tentativo di Andrea Orcel di Unicredit su Banco BPM.

La preoccupazione per la decisione della Bce

Il ministro mostra invece maggiore apprensione su un’altra questione: la scelta della Bce di non concedere le garanzie richieste dalla Commissione Europea per un prestito di 140 miliardi a favore dell’Ucraina. I Paesi membri propongono che siano i tesori nazionali a farsi carico del finanziamento, aggiungendo pressione a un contesto già complicato dal conflitto russo-ucraino e da nuovi rischi finanziari legati agli assetti della finanza italiana.

Il nodo centrale non è più Mediobanca, ma Delfin, secondo azionista di Generali, primo azionista di Mps e rilevante socio di Unicredit. Nonostante le tensioni interne tra gli otto eredi di Del Vecchio, desiderosi di monetizzare parte del patrimonio della holding, Delfin è stata finora gestita con decisione da Francesco Milleri, nominato da Del Vecchio sia alla guida di Essilor-Luxottica sia della stessa Delfin.

L’indagine per concerto e ostacolo alla vigilanza, che coinvolge anche Caltagirone, ha però indebolito la posizione del manager umbro.

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Delfin e le tensioni interne

Per attenuare le divisioni tra gli eredi di Del Vecchio, che criticano il forte ruolo finanziario di Milleri e chiedono maggiore partecipazione nelle scelte di investimento, si stanno valutando diverse opzioni di riorganizzazione delle partecipazioni detenute da Delfin.

Una possibile redistribuzione delle quote solleva interrogativi sulla contendibilità di Generali e di Mps, questioni che preoccupano anche Palazzo Koch, dove siedono sia Bankitalia sia l’Ivass. Le perplessità sono presenti sulla scrivania del governatore Fabio Panetta.

Il blocco dei cambi ai vertici

Un effetto immediato dell’inchiesta è stato il congelamento di eventuali cambi ai vertici di Montepaschi e di Generali. Per modificare gli assetti di governance, Milleri e Caltagirone dovrebbero infatti coordinare le loro partecipazioni in consiglio e in assemblea, effettuando proprio quell’azione combinata che è al centro delle accuse di concerto.

Un nodo complesso per Bankitalia e il Tesoro

Sia Bankitalia, sia il Mef si trovano ora davanti a un dilemma complesso: impedire che un’eventuale riorganizzazione del capitale di un socio così rilevante generi rischi sistemici per alcune delle principali istituzioni finanziarie italiane.

Si è spesso parlato di possibili sinergie nell’asset management tra Generali e Intesa Sanpaolo, ma il gruppo bancario ha sempre negato. Tuttavia, non è escluso che ci siano stati contatti tra Bankitalia, il ministero e il Ceo di Intesa Carlo Messina.

Se Delfin dovesse rivedere la propria strategia, la questione del futuro di Generali diventerebbe centrale, aggiungendosi ad altri dossier sensibili per Mef e Bankitalia, come il destino di Banca Bpm, dove Crédit Agricole può arrivare al 30% del capitale grazie a un golden power indebolito dalla Commissione Europea.

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Le difficoltà di trovare una soluzione italiana

Anche la strada tentata da Giorgetti – la creazione del polo Banco Bpm-Mps-Anima – appare oggi impraticabile. L’ipotesi di una replica dell’operazione Unicredit, bloccata dal veto pubblico, non è percorribile.

Il ministro non ha apprezzato le dichiarazioni di Orcel, che si era detto escluso dalla vendita della quota di Mps tramite accelerated book building: una posizione giudicata “inconsistente”.

Un assetto nuovamente in discussione

Le nuove variabili introdotte dall’inchiesta rimettono in discussione assetti che si ritenevano definitivi e riaprono la partita sulla stabilità e sulla governance della finanza italiana.

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