09 Dicembre 2025
Leonardo Del Vecchio, fondatore ed ex Presidente di Luxottica e ex Presidente della holding Delfin
Gli otto eredi di Leonardo Del Vecchio stanno lavorando a una profonda riorganizzazione di Delfin, la holding lussemburghese dal valore di circa 60 miliardi di euro, per sbloccare l’impasse sull’attuazione del testamento del fondatore di Luxottica. L’ipotesi allo studio, maturata mentre è in corso l’inchiesta della Procura di Milano sulla scalata Mps-Mediobanca, prevede la creazione di una struttura biforcata: da un lato una holding industriale focalizzata su EssilorLuxottica, dall’altro una nuova entità finanziaria destinata a raccogliere le partecipazioni bancarie, assicurative e immobiliari. L’obiettivo è consentire agli eredi di monetizzare parte dell’eredità, oggi bloccata da statuto e veti incrociati, mantenendo al tempo stesso gli equilibri strategici delle partecipazioni più sensibili.
Attualmente il cuore di Delfin è rappresentato dalla partecipazione del 32,3% in EssilorLuxottica, che ai valori correnti supera i 45 miliardi di euro e costituisce circa il 77% del net asset value della holding. Accanto a questa quota industriale, la cassaforte presieduta da Francesco Milleri detiene il 26% di Covivio (1,6 miliardi), il 10% di Generali (5,2 miliardi), il 17,5% di Monte dei Paschi di Siena (4,1 miliardi) e il 2,7% di Unicredit (2,76 miliardi). Ogni socio-erede possiede il 12,5% di Delfin, una quota dal valore superiore ai 7 miliardi di euro.
Il progetto allo studio prevede di scorporare le partecipazioni extra-EssilorLuxottica, pari al 23% del NAV, e conferirle in una newco. In questo modo, la Delfin originaria resterebbe concentrata sull’asset industriale, mentre nascerebbe una holding finanziaria con statuto meno rigido, che consentirebbe la pegnabilità delle quote, payout più elevati (oltre il 10% degli utili con maggioranze semplici) e una governance più flessibile. La nuova entità avrebbe un patrimonio stimato intorno ai 14 miliardi di euro e potrebbe anche aprirsi a investitori amici, interessati a un’esposizione su banche e assicurazioni.
Uno degli ostacoli principali riguarda Monte dei Paschi di Siena. Delfin è oggi il primo azionista della terza banca italiana all’interno di un nocciolo di soci nazionali, e una distribuzione diretta pro-quota del 17,5% rischierebbe di destabilizzare l’assetto ed essere malvista da Tesoro e governo. Da qui l’ipotesi di concentrare tali partecipazioni in una newco, evitando effetti immediati sugli equilibri bancari.
A oltre tre anni e mezzo dalla scomparsa di Del Vecchio, resta aperta l’urgenza di chiudere la successione. Le quote di Delfin non sono pegnabili né bancabili e i dividendi distribuiti, circa 15 milioni di euro annui per azionista, sono giudicati insufficienti. A novembre Rocco Basilico, Paola Del Vecchio e Luca Del Vecchio hanno tentato di trasferire la loro quota a veicoli personali, ma l’operazione è stata bloccata per mancanza di unanimità. L’alternativa sarebbe rivolgersi al giudice lussemburghese, che può imporre il trasferimento delle quote, ma con il rischio di una valutazione inferiore e di un ulteriore irrigidimento dei rapporti tra soci.
Sul progetto pesa infine l’inchiesta milanese relativa al risiko Mps-Mediobanca, che potrebbe comportare risarcimenti a carico di Delfin (indagata ai sensi della 231) e rappresenta una incognita rilevante sull’effettiva attuabilità dello scorporo. Nonostante ciò, l’ipotesi della doppia Delfin resta sul tavolo come possibile via d’uscita da uno stallo che, finora, ha impedito agli eredi di trasformare in liquidità una parte significativa dell’eredità miliardaria di Leonardo Del Vecchio.
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