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I Maraja dell’economia protetta fanno saltare filiere imprenditoriali e non danno qualità al lavoro, uno schema malato che indirizza profitti sempre negli stessi bilanci

In sostanza l’Unione Europea e gli Stati membri garantiscono ai principati economici non solo la sostanziale assenza di vera concorrenza ma anche trasferimenti infiniti di risorse dal pubblico al privato

03 Settembre 2025

I Maraja dell’economia protetta fanno saltare filiere imprenditoriali e non danno qualità al lavoro, uno schema malato che indirizza profitti sempre negli stessi bilanci

Il PIL Italiano europeo rallenta ma i profitti delle grandi aziende continuano ad aumentare e con esso i loro valori di borsa. Una contraddizione? Non nell’Europa dei Maraja, dove abbondano i trasferimenti di risorse dai contribuenti e dai debiti statali ai principati economici che esprimono le élite europee. Sono anni che questo meccanismo malato distorce le società e le economie, indirizzando profitti sempre negli stessi bilanci.

Facciamo un esempio recentissimo. Il piano di riarmo che prevede una spesa fino al 5% del Pil per riempire i magazzini di armi è l’ultimo esempio di un trasferimento diretto di risorse dalla fiscalità generale ad un numero ristretto di imprese. Senza per questo realizzare quel che la narrazione divulga, cioé un modello di difesa europea comune. Al netto dei dubbi politici, quel che qui conta è lo schema, il bocchettone finanziario che si apre sempre per gli stessi.

C’è chi dice: ma queste imprese poi danno lavoro all’intera filiera, stimola occupazione e genera ricchezza indotta. Non è così. Chi ha un minimo di dimestichezza con le commesse statali sa benissimo che il capocordata “spreme” l’ordine al massimo lasciando le briciole ai sub contrattisti e che l’impiego di manodopera è oggi fortemente limitato dalla automazione dei processi produttivi.

Stesso fenomeno è palese nel settore delle infrastrutture, presenti (come Autostrade) e future (come il Ponte sullo stretto). I players di mercato sono pochissimi e si fanno vanto ogni anno nei loro bilanci della riduzione dei costi a scapito di aziende fornitrici e lavoratori. Non parliamo poi delle utilities dove gli alti margini sono garantiti da monopoli od oligopoli che non solo hanno i margini garantiti per legge ma, in molti casi, creano delle liste di fornitori iscritti in albi “speciali” e di difficile accesso dove solo chi già fornisce beni o servizi può´ continuare a farlo in futuro.

Ed il mondo del credito segue lo stesso andazzo, con banche tutte uguali alle quali è garantita una riserva di caccia permanente, sino a blindarle da operazioni di acquisizione da competitors più efficienti così come dimostrano la sfortunata vicenda di Unicredit in Italia e Germania.

In sostanza l’Unione Europea e gli Stati membri garantiscono ai principati economici non solo la sostanziale assenza di vera concorrenza ma anche trasferimenti infiniti di risorse dal pubblico al privato. Persino un partito che si proclamava antisistema come il Movimento 5 stelle si è adeguato a questo andazzo: durante il governo Conte era stata preparata l’operazione di acquisto di Autostrade da parte di CdP (conclusa dal governo Draghi), nella quale non solo non si applicava nessuna penale o rescissione del contratto ma i Benetton uscivano dalla proprietà con svariati miliardi nonostante la tragedia del ponte Morandi a Genova.  E come ha ricordato Giorgia Meloni, lo Stato ha prestato 6 miliardi a Fiat per pagare un maxidividendo che rendeva possibile la fusione con Pegeout/Citroen senza avere nessuna garanzia di lungo termine sull’occupazione in Italia. Al danno si aggiungeva la beffa: nello stesso anno il ministro Patuanelli proponeva ed otteneva la nomina di John Elkan a Cavaliere del lavoro.

I governi successivi hanno rotto ogni freno: aumento delle tariffe autostradali, acquisto di Telecom (in difficoltà) da parte di Poste Italiane, golden power su Banco Popolare di Milano, consolidamento del monopolio di Terna e dell’oligopolio di ENEL, scalata di Stato a Mediobanca con soci privati al seguito. Un festival di dirigismo ed interventismo che ha poco a che fare con la concorrenza ed il libero mercato con conseguenze pratiche sul mercato del lavoro dei giovani.

Perché le aziende che godono di una rendita di posizione garantita dovrebbero competere per assumere giovani talenti? Il business è garantito e protetto dallo Stato con leggi, regolamenti e trasferimenti. Se qualcosa dovesse andare storto ci sarebbe la ragionevole certezza che interverrebbe la fiscalità generale a salvare la baracca. Quindi perché competere sui salari? Il fenomeno è più evidente sui salari d’ingresso ma è diffuso anche nei ruoli di responsabilità. L’Italia sta perdendo giovani e perde motivazione fra i dirigenti, avanza un senso di stanchezza diffuso che il Censis ha definito “la continuità della medietà con un ceto medio che si sfibra”.

Una “medietà” che rischia di scivolare nella mediocrità con un sistema economico sempre più Roma-centrico (altro che il ministro padano Giorgetti…), affidato alle commesse che arrivano dai mandarini governativi legati ai Maraja economici.

di Gianluigi Paragone e Antonio Rizzo

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