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Corte Ue, Apple condannata a pagare 13 mld € all'Irlanda: “Aiuti di stato illegali”, multa da 2,4 mld a Google per “abuso di posizione dominante”

La Corte Ue ha confermato, per Apple, il risarcimento di tasse arretrate all'Irlanda per agevolazioni fiscali illegali. Inoltre, è confermata la maxi-multa ai danni di Google per aver abusato della sua posizione dominante, favorendo il proprio servizio di comparazione prodotti

10 Settembre 2024

Corte Ue, Apple condannata a pagare 13 mld € all'Irlanda: “Aiuti di stato illegali”, multa da 2,4 mld a Google per “abuso di posizione dominante”

Apple

La Corte di Giustizia dell'Ue ha confermato la maxi-multa da 2,4 miliardi di euro ai danni di Google per aver abusato della propria posizione dominante sul mercato e favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti. L'Ue ha respinto il riscorso del colosso delle ricerche online e della casa madre Alphabet. Apple, inoltre, sarà costretta a pagare 13 miliardi di euro di tasse arretrate all'Irlanda per agevolazioni fiscali illegali. I giudici di Lussemburgo hanno confermato la decisione del 2016 della Commissione europea, in cui l'Irlanda aveva concesso al colosso di Cupertino un aiuto illegale che tale Stato è tenuto a recuperare. L'Irlanda avrebbe concesso alla Apple, secondo le stime effettuate dalla Commissione, vantaggi fiscali illegali per un totale di 13 miliardi di euro.

Corte Ue, Apple condannata a pagare 13 mld € all'Irlanda: gli aiuti illegali alla Apple

Nel 1991 e nel 2007 l'Irlanda ha emesso 2 cosiddetti 'ruling fiscali' preventivi a favore di due società del gruppo Apple, costituite come società di diritto irlandese ma non residenti fiscalmente in Irlanda. Tali ruling fiscali approvavano i metodi utilizzati dall'Apple per determinare i loro utili imponibili in Irlanda, afferenti alle attività commerciali delle loro rispettive succursali irlandesi. La Commissione europea, nel 2016, ha ritenuto che i ruling fiscali avessero concesso a tali società, dal 1991 al 2014, un aiuto di Stato illegale per il mercato interno all'Apple. Il motivo risiede nel fatto che, le sedi di tali società, erano situate al di fuori dell'Irlanda e che la gestione di tali licenze dipendeva da decisioni adottate a livello del gruppo Apple negli Stati Uniti. Secondo le stime effettuate dalla Commissione, l'Irlanda avrebbe concesso alla Apple vantaggi fiscali illegali per un totale di 13 miliardi di euro.

La maxi-multa a Google 

La Commissione, nel 2017, ha constatato che, in 13 Paesi dello Spazio economico europeo (See), Google aveva “privilegiato, sulla sua pagina di risultati di ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti”. Il colosso delle ricerche aveva infatti presentato i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione e li aveva valorizzati nelle "boxes", visivamente e testualmente attraenti. Per questo, i risultati dei comparatori di prodotti concorrenti apparivano solo come ricerche generiche ed erano “suscettibili di essere retrocessi da algoritmi di aggiustamento nelle pagine di risultati generali di Google”. La commissione Ue aveva dunque inflitto un'ammenda a Google di 2,42 miliardi di euro

Google e Alphabet avevano contestato la decisione della Commissione dinanzi al Tribunale dell'Unione europea. Con sentenza del 10 novembre 2021, il Tribunale ha respinto il ricorso e, in particolare, ha confermato l'ammenda. Il Tribunale aveva ritenuto che non fosse dimostrato che la pratica di Google avesse avuto effetti anticoncorrenziali sul mercato della ricerca generale. Perciò, esso aveva annullato la decisione della Commissione di una violazione del divieto di abuso di posizione dominante”, anche per quanto riguarda quest'ultimo mercato. Google e Alphabet avevano dunque proposto un'impugnazione alla Corte, con la quale richiedevano l'annullamento della sentenza del Tribunale. In data odierna, la Corte ha rigettato l'impugnazione e ha confermato la sentenza del Tribunale. Si è stabilito che, alla luce delle caratteristiche del mercato e delle circostanze specifiche del caso, il comportamento di Google era discriminatorio nell'ambito della concorrenza basata sui meriti.

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