21 Dicembre 2023
Giorgia Meloni (fonte: lapresse)
Il tanto atteso sì al Patto di Stabilità è arrivato nella serata di ieri. L'Italia è stata l'ultima nazione a dare l'ok per l'accordo politico. Come prevedibile, è passata la linea dura della Germania e quindi tetto al deficit pubblico dell’1,5% del Pil e riduzione annua debito dell'1% del Pil. La riforma mantiene inalterati i parametri di Maastricht: il rapporto deficit/Pil non deve superare il 3% e il debito pubblico/Pil che deve essere sotto al 60%.
Alla fine l'accordo sulla riforma del Patto di Stabilità è stato trovato. Come anticipato da giorni è passata la linea dura della Germania, ma cosa prevede la ristrutturazione del patto? Intanto percorsi di riduzione del deficit lunghi 4 anni, con possibile allungamento a 7. Una serie di clausole consente ai singoli paesi margini di flessibilità, che tengono conto delle riforme strutturali, degli investimenti e del Pnrr. La riforma mantiene inalterati i parametri di Maastricht: il rapporto deficit/Pil non deve superare il 3% e il debito pubblico/Pil che deve essere sotto al 60%. Non c'è più, però, la regola della riduzione di 1/20 l’anno mentre rimane la regola automatica del rientro annuo dello 0,5% del Pil. Ma per chi ha un debito superiore al 90% del Pil (come l’Italia) c’è l’obiettivo di portare il livello di disavanzo all’1,5% del prodotto. Per centrarlo, bisognerà ridurre la spesa dello 0,4% annuo in quattro anni oppure dello 0,25% in sette.
Cambiano, in parte, le regole d'ingaggio per il deficit. I paesi dovranno garantire una discesa all’1,5%. L’Italia passa da un obiettivo di medio termine di avanzo primario pari allo 0,25% a un deficit strutturale dell’1,5%. La Commissione Europea potrà valutare nella procedura per deficit eccessivo gli investimenti e adeguare così la riduzione (cioè ridurla). La massima deviazione consentita è dello 0,3% annuo e dello 0,6% cumulativo. In base a questi calcoli, il miglioramento annuale è pari allo 0,4% in quattro anni o allo 0,25% in sette.
“Meloni considera importante che sia stato trovato tra i 27 Stati membri della Ue un compromesso di buonsenso per un accordo politico sul nuovo Patto di Stabilità e crescita. Nonostante posizioni di parte", si legge in una nota di Palazzo Chigi. "Sono regole meno rigide e più realistiche di quelle attualmente in vigore, che scongiurano il rischio del ritorno automatico ai precedenti parametri, che sarebbero stati insostenibili per molti Stati membri. Sebbene il nuovo Patto contempli dei meccanismi innovativi volti a tener conto degli effetti di eventi esterni e straordinari nel computo dei parametri numerici da rispettare, rimane il rammarico per la mancata automatica esclusione delle spese in investimenti strategici dall'equilibrio di deficit e debito da rispettare. Una battaglia che l'Italia intende comunque continuare a portare avanti in futuro".
"Nel nuovo Patto di Stabilità ci sono alcune cose positive e altre meno", ha commentato il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti. "L'Italia però ha ottenuto molto e, soprattutto, quello che sottoscriviamo è un accordo sostenibile per il nostro Paese, volto da una parte a una realistica e graduale riduzione del debito mentre dall'altra guarda agli investimenti specialmente del Pnrr con spirito costruttivo". Giorgetti si è poi soffermato sulla riforma. "Ci sono regole più realistiche di quelle attualmente in vigore. Le nuove regole naturalmente dovranno sottostare alla prova degli eventi dei prossimi anni, che diranno se il sistema funziona realmente come ci aspettiamo. Consideriamo positiva il recepimento delle nostre iniziali richieste di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, l'aver considerato un fattore rilevante la difesa, lo scomputo della spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027".
I principi cardine restano quelli fissati nel Trattato di Maastricht: mantenere il deficit al di sotto del 3% del Pil e il debito al di sotto del 60%. Ma nelle nuove regole sono stati introdotti margini di flessibilità per evitare che il risanamento dei conti si trasformi in austerità, blocco degli investimenti e rallentamento della crescita.
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