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INTERVISTA - Margherita Spampinato sbarca al Festival di Busan con un divertente film su un bambino in vacanza da una rigida signora anziana

Fanno parte del cast Marco Fiore, Aurora Quattrocchi, Martina Ziami e Camille Dugay

26 Settembre 2025

INTERVISTA - Margherita Spampinato sbarca al Festival di Busan con un divertente film su un bambino in vacanza da una rigida signora anziana

Copyright press office BIFF

IGDI ha intervistato in esclusiva in un hotel a Busan Margherita Spampinato, durante il festival la regista ha presentato Gioia Mia nella sezione world cinema. La storia mette a confronto un bambino e una donna anziana costretti a passare in Sicila un’estate insieme. Lo scontro tra modernità e passato, tra velocità e lentezza. Un’estate piena di paure e di scoperte, ma anche di avventure, traguardi e perdite, un’estate dopo la quale niente sarà più come prima. 

D: Si tratta di una storia che nasce da un episodio familiare? 

R: Nasce da tutti i miei ricordi di infanzia. Da piccola abitavo a Roma, in una famiglia laica, super politicizzata, dove tutti avevano una formazione scientifica. In vacanza mi mandavano tutte le estati a casa di queste zie signorine cugine di mia nonna, super religiose, convinte che esistano gli spiriti…mi insegnarono a fare il pisolino dopo pranzo, tutte le buone maniere. Sicuramente i miei ricordi sono stati d’ispirazione, ma io ho un bambino di quell’età, quindi ho sempre la casa piena dei suoi amici, che mi fanno morire dalle risate. Stando con loro ho preso ispirazione da quello che combinano, che di cono. In sostanza il risultato è una somma delle mie esperienze, di mio figlio e di tutta la sua cricca di amici. 

D: Il bambino è completamente l’opposto di questa signora, lo volevi proprio così? 

R: Sì, assolutamente. Mi affascinava anche l’idea che a volte nella vita, con una persona di passaggio, molto lontana da te, capita che si superino i confini delle cose che difficilmente si direbbero a qualcun altro. Inoltre lo trovavo molto spiritoso, quando lo scrivevo mi sono divertita molto ad immaginare in particolare alcuni amici di mio figlio nel ruolo del bambino che veniva spedito in questa dimensione completamente lontana da lui. Mi divertivo a scriverla questa distanza. 

D: La babysitter ritorna spesso, più della madre quasi, come mai? 

R: la babysitter torna spesso perché secondo me è una figura molto contemporanea. La vedo con tutti i figli dei miei amici: spesso, giusto o sbagliato che sia, i bambini vengono cresciuti da queste figure che a volte sono dei punti di riferimento molto più importanti dei genitori: vanno a prenderli a scuola, sanno tutto dei bambini, li addormentano, ci cenano…poi succede come nel caso del mio film che nell’età di pre-adolescenza la babysitter smette di essere chiamata dalla famiglia perché non ce n’è più bisogno e i bambini si separano da una persona talmente importante che lo vivono come un lutto. Separazioni che vengono molto sottovalutate per quanto siano dei dolori terribili per i bambini. Secondo me si tratta di una cosa che racconta molto i nostri tempi. Forse sarebbe meglio, secondo me, accompagnare meglio queste separazioni: una zia o un parente, alla fine, lo si vede di meno, mentre la babysitter magari si trasferisce da un’altra parte e non la vedi proprio più, quasi come una morte. Mi sembrava molto affascinante perché ce l’avevo sotto agli occhi. 

D: Per il bambino ti sei ispirata a qualche altro film? 

R: No in questo caso no, l’ispirazione è totalmente mio figlio. Quando stai con lui è come andare al cinema, ci parli, lo guardi…lui sta spesso con mia madre e vederli assieme è come guardare una coppia comica al cinema. Per il bambino non mi sono ispirata a nessun film in particolare, anche se ce ne sono tantissimi. Il mio bambino parte da un livello terra terra. 

D: Come hai lavorato alla regia? La sceneggiatura è stata seguita in maniera pedissequa? 

R: Siccome l’unica attrice professionista è Aurora Quattrocchi, né le nonne né i bambini lo sono. Ho fatto un lungo lavoro di preparazione prima delle riprese dove gli ho detto di scegliere le parole dopo avergli spiegato il succo della scena, provavamo a lungo. Io volevo che loro conoscessero alla perfezione le scene e dove volessimo andare a parare, poi hanno trovato il loro modo di essere naturali, il loro modo di fare memoria. In altre occasioni davo loro una scena da recitare come fosse il Corano, passo passo, poiché succedeva che la bambina o alcune nonne (meravigliose con le loro espressioni) se le lasciavi libere portavano la storia da un’altra parte, allungando tantissimo le scene. In sostanza, ho lavorato più sul tono, sul timbro del film, le battute erano sempre più o meno scriptate. L’improvvisato, quindi, era solamente sul lavoro preparatorio per arrivare al testo definitivo e ufficiale. Il film è scritto in romano, ma in tutte le battute in siciliano il verbo è scritto alla fine: in questo tipo di cose loro erano assolutamente libere di interpretare. 

D: Quanto è stato difficile lavorare con un bambino? 

R: È semplicemente un altro sport lavorare con i bambini. Con lui abbiamo lavorato tanto prima delle riprese, quando siamo arrivati sul set conosceva la sceneggiatura così bene che poteva dire anche le battute degli altri. La cosa veramente bella di lavorare con un bambino sul set è che lo puoi portare dove vuoi nei dettagli: lui è completamente nelle tue mani e tu lo dirigi in tutto e per tutto. Con qualunque altro attore più strutturato devi lasciare molta più libertà. Questo è stato per me molto bello, ho lavorato per tanti anni nel casting e questo per me non è stato un peso, anzi, un bel gioco. 

D: Come messaggio finale, volevo capire in quale direzione volevi andare? 

R: Loro imparano a prendersi cura l’uno dell’altra. Lui parte che è molto addolorato per questo lutto, per questa separazione, e già durante del film elabora la perdita che ha subito, nel contempo impara tutta una serie di cose che Gela, volendo o non volendo, gli insegna e che comunque a lui servono. Si scambiano molte cose: lei che si confida a lui ad esempio, entrambi giovano molto l’uno della presenza dell’altro e imparano a volersi bene e ad amarsi. Si tratta di un film sull’amore e su come non esista un tipo giusto o sbagliato di amore. 

D: Il lato ironico come lo hai inserito? 

R: L’ho inserito perché, come dicevo, ho la casa piena di bambini tutti i giorni: io dico a mio figlio che possono venire a casa solo quelli simpatici. L’aspetto comico l’ho preso interamente dalla realtà e dalla realtà che condivido con loro. Anche l’aspetto culinario: ognuno di noi ha un’idea della normalità, per lei le sarde a beccafico son la cosa più normale del mondo, per lui la cotoletta, per lei sventagliare il cane e per lui mettersi lo smalto. Ragionando molto sull’idea che ognuno di noi ha della normalità e sul timore che ognuno di noi ha di non essere normali. Le donne anziane così rigide spesso sono molto simili ai bambini e questa battaglia tra lati infantili mi faceva molto ridere. 

D: Dov’è stato girato il film? E come si è trovata? 

R: Il film è stato girato a Trapani, girare lì è stato bellissimo. Un mio amico, dopo aver letto la sceneggiatura mi ha detto di avere il palazzo perfetto: noi non sapevamo che avremmo girato proprio a Trapani, dovevamo iniziare a cercare il palazzo perché ne dovevamo trovare uno che avesse anche i vari appartamenti dentro, questo perché potendo girare 7 ore al giorno ci avrebbe aiutato parecchio. Il palazzo consigliato dal mio amico ovviamente è piaciuto immediatamente: vicino al mare, dove tutti andavano a farsi il bagno dopo le riprese, e già arredato e scenografato praticamente. In questo appartamento era morto da poco il nonno della proprietaria e quando questa ha letto la sceneggiatura ha detto: perfetto, mi resta un ricordo della mia infanzia prima di vendere il palazzo. Perciò ci ha lasciato tutta la scenografia come le lenzuola, così che anche a lei possa rimanere un ricordo. Siamo stati fortunatissimi. 

D: Per la fotografia che feeling volevi dare allo spettatore? 

R: Il lato misterioso, nero, della morte, anche simbolica, è molto presente nella prima parte. Ci sono molte stanze in penombra. Nella prima parte del film entrambi i personaggi sono molto in chiusura e hanno un problema con la morte e gli spiriti, perciò la fotografia è più cupa. Mentre loro si aprono, piano piano, si aprono anche le location e il film diventa più luminoso fino ad arrivare al mare, che coincide con la loro apertura. 

D: Il ruolo del sovrannaturale di questo film? In Sicilia gli spiriti sono una parte della cultura. 

R: Sicuramente in Italia siamo tutti un po’ superstiziosi. Nel caso del nostro film gli spiriti hanno un valore simbolico per entrambi: per il bambino rappresentano ovviamente la morte, la separazione dalla babysitter (fine della sua fanciullezza), il graduale e inesorabile stravolgimento della propria vita nel passaggio verso l’età adolescenziale. Quando razionalizzerà questo mondo, sarà quando inizierà a innamorarsi della bambina, andando avanti e superando il proprio trauma. Per Gela è la stessa cosa, un peso antico del fatto che era innamorata della nonna, la ferita del senso di colpa, della sua omosessualità. Mentre il bambino poi razionalizza e supera questo mondo magico, scoprendo la vecchietta all’ultimo piano, le nonne non lo superano poiché non cercano una spiegazione razionale. Non credo però sia sbagliato approcciarsi misticamente alle cose e non solo razionalmente, si tratta di un mondo arcaico che sta sparendo, è sicuramente in trasformazione ma ognuno di noi si porta dietro una superstizione. 

D: Stai lavorando a qualcos’altro ora? Hai in serbo una nuova storia nuova? 

R: Sì, si tratta di una storia senza bambini e cani. Si trova sempre sullo stesso genere, ma non si tratta di un film di formazione: avrà lo stesso tono e giocherà sul rendere l’ordinario nello straordinario, che è la cosa che mi piace di più, spero di riuscirci. Ho in serbo una nuova storia familiare, con altre età e personaggi, questa volta sarà un uomo, ancora in fase embrionale. 

D: Molti registi si stanno buttando sulle serie tv, cosa ne pensi? 

R: A me piace da spettatrice il cinema in sala, e vado praticamente solo lì perché il monopolio della tv lo ha mio figlio. Ci sono delle serie bellissime sicuramente, ma cinema e tv sono due cose completamente diverse. Ammetto che ci farei un pensiero, però se me lo proponessero. 

D: Com’è stato accolto il tuo film qui a Busan? 

R: Sentire la sala ridere mi ha sorpresa, perché non sapevo se la nostra comicità avrebbe funzionato in una cultura così diversa dalla nostra. Hanno fatto delle domande interessantissime su tanti aspetti della storia e mi sono stati chiesti 200 autografi, cosa che non avevo mai fatto. Non mi aspettavo che una storia così italiana gli piacesse tanto, hanno trovato ognuno una similitudine alla propria infanzia.

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