07 Agosto 2025
Pompei fu di nuovo abitata dopo la distruzione causata dall'eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo. I suoi abitanti sopravvissuti che non avevano modo di ricominciare una nuova vita altrove, ma verosimilmente anche persone provenienti da altri luoghi, senza dimora, in cerca di un posto dove insediarsi e con la speranza di ritrovare oggetti di valore, avevano provato a rioccupare l'area devastata. Le tracce di vita rilevate durante gli interventi di restauro arrivano fino al V secolo.
Le tracce archeologiche indicano che Pompei, pur in condizioni precarie e disorganizzate, continuò a essere abitata fino al V secolo d.C. Solo allora, probabilmente in concomitanza con una nuova eruzione — quella di Pollena — l’area venne definitivamente abbandonata. Questo lungo periodo di sopravvivenza urbana è testimoniato da resti e reperti emersi durante recenti interventi di restauro e consolidamento, in particolare nell’Insula Meridionalis. Come riportato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei, si è scoperto che alcune persone iniziarono a vivere stabilmente nei piani superiori delle antiche domus, ancora parzialmente emergenti dalla cenere.
Nelle abitazioni semidistrutte, la vita riprese in forme adattate alla nuova realtà. Gli ambienti che un tempo erano al pianterreno divennero scantinati o grotte, dove si improvvisavano focolari, forni e mulini. La città, pur non più centro vitale dell’Impero, offriva riparo e risorse a chi non aveva alternative.
Nel 79 d.C., Pompei contava probabilmente almeno 20.000 abitanti, ma il numero esatto delle vittime dell’eruzione resta incerto. Gli scavi, iniziati nel 1748, hanno portato alla luce circa 1.300 corpi, una cifra che rappresenterebbe solo il 10% della popolazione stimata. Questo dato suggerisce che molti riuscirono a fuggire, forse morendo lontano dal centro urbano, mentre tentavano di mettersi in salvo.
"L'episodio nel 79 d.C. ha monopolizzato la memoria - ha dichiarato il direttore del sito e co-autore dell'articolo sui nuovi ritrovamenti, Gabriel Zuchtriegel - nell'entusiasmo dei primi scavatori, le tracce flebili della rioccupazione del sito sono state letteralmente rimosse e spesso spazzate via senza alcuna documentazione. Grazie ai nuovi scavi, il quadro diventa ora più chiaro. La Pompei post 79, più che una città era un agglomerato precario e grigio, una specie di accampamento, una favela tra le rovine ancora riconoscibili della Pompei che fu".
Dopo l’eruzione, Pompei si trasformò in un paesaggio spettrale, un deserto di cenere. Tuttavia, con il tempo, la vegetazione tornò a crescere e il territorio riprese lentamente vita. Le iscrizioni ritrovate in altri centri campani, contenenti nomi pompeiani, indicano che alcuni sopravvissuti si stabilirono altrove. Ma non tutti ebbero questa possibilità. Alcuni rimasero, altri arrivarono: persone senza nulla da perdere, attratte dalla possibilità di scavare nel sottosuolo alla ricerca di oggetti di valore. Un’attività che, però, comportava anche il rischio di imbattersi nei resti di chi non era riuscito a fuggire.
L’imperatore Tito cercò di promuovere una rinascita ufficiale della città, inviando due ex consoli come curatores Campaniae restituenda. Il loro compito era duplice: rifondare Pompei ed Ercolano e gestire i beni dei cittadini deceduti senza eredi, destinandoli alle comunità colpite. Tuttavia, il progetto non ebbe successo. Pompei non tornò mai a essere il centro pulsante che era stato prima del disastro.
Le evidenze archeologiche mostrano che, nei secoli successivi, Pompei si trasformò in un agglomerato informale, privo delle infrastrutture e dei servizi tipici di una città romana. Nonostante ciò, questa forma di insediamento resistette fino alla tarda antichità, quando — forse a causa di una nuova catastrofe naturale — la città venne definitivamente abbandonata.
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