11 Dicembre 2024
Privato o pubblico? È questo l’eterno dramma polemico a buon mercato che fa discutere i genitori, l’un contro l’altro armati, paladini dell’uno o l’altro principio che non hanno senso.
Queste poche righe per riportarvi le mie personali conclusioni, avendo due pargoli che hanno seguito due percorsi studenteschi diversi: pubblico e privato.
Partiamo peró con ordine.
Lo scrivente è un uomo culturalmente di sinistra, una sinistra estinta, quella sinistra che difendeva veramente gli “ultimi”, ma sono anche un genitore convinto che la cultura sia il bene più importante da tramandare alle nuove generazioni.
Proprio per la mia estrazione, capirete bene che il mio primo istinto è sempre stato incline verso l’istruzione pubblica.
Allora perché ho deciso di mandare la secondo genita in una scuola privata? Perché sono rimasto schifato dalla pubblica.
Le lacune del pargolo grande, oggi al liceo, sono state il frutto di un disastro istituzionale, ed ora ve lo spiego.
In 10 anni di studio, nell’era della globalizzazione, lui come i suoi compagni di elementari e medie, ancora parlicchiano malissimo un inglese maccheronico e scomposto. Non sanno chi sia Garibaldi e sono convinti che Taiwan sia una fabbrica di videogiochi e non un luogo geografico.
Per assurdo, hanno imparato più da Fortnite e Youtube che dagli insegnanti, sovente supplenti dei supplenti, che a loro volta non hanno palesato altre voglie se non quella di garantirsi lo stipendio.
Proprio riguardo i supplenti dei supplenti, i professori di ruolo che ho conosciuto, sono stati una minoranza molto minoranza e, credetemi, per tutte le elementari e le medie il vocabolario non si è mai visto, mal soppiantato da google e i tablet.
Non parliamo poi degli approcci. Professori che denigravano Manzoni, altri che facevano politica in classe, altri ancora che, a dei ragazzini delle scuole medie, indottrinavano ateismo e cultura gender.
Insomma, l’anarchia totale che, ciliegina sulla torta, si conclude con la totale irresponsabilità di un corpo insegnante che se ne esce con le nuove mode di psicologi, PDP e altre amenità che tramutan un ragazzo sano in un perfetto imbecille.
La scuola privata è stata tutta un altro passo. Innanzitutto ho piacevolmente trovato basi irrinunciabili come ordine, disciplina ed educazione, sì, quella cose per la quale se ti comporti male vieni messo in punizioni. Non parliamo poi delle competenze.
Bambini che in seconda elementare sanno già masticare l’inglese, una grande attenzione per l’aspetto sportivo, programmi avanzatissimi a livello didattico, con tanto di primi rudimenti di vocabolario, oltre a un ambiente sicuro e sorvegliato H24.
Questa, per fare nomi e cognomi, è la mia esperienza al Collegio San Giuseppe di Roma, forse uno dei nomi più storici in Italia, e badate che non lo dico per fare chissà quali pubblicità inutili e arraffare sconti sulla retta, non hanno certo bisogno delle mie parole.
Qui peró nasce il rebus della libertà. Voi direte “ad averceli i soldi per una scuola privata”. Il gap è tutto qui. In realtà i soldi ci sarebbero. Seguitemi con attenzione.
Un alunno costa allo Stato italiano circa 7.000,00 euro l’anno, ovvero meno di una scuola privata, solo che a questi sette pippi dobbiamo sommarci materiale didattico eccetera, oltre una mensa che spesso, non sempre, ricorda la sbobba di Guantanamo. Una perversione autoreferenziale che non permette al cittadino di scegliere liberamente dove far studiare i propri figli.
Allora, mi chiedo, perché quegli stessi soldi lo Stato non li mette a disposizione delle famiglie per scegliere liberamente dove far studiare i figli? In fin dei conti sono soldi nostri che comunque vanno spesi.
Non dico di darli in tasca alle famiglie, peró lo Stato potrebbe iniziare a riflettere su delle convenzioni, magari risparmiando anche qualcosa su quei famosi 7 baiocchi spesso frullati in strutture fatiscenti (e proprio sulle strutture, che spesso rimandano Gaza post bombardamento, stendo un velo pietoso). Riflettiamoci, sono sicuro che le cose cambierebbero, ma in meglio.
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