16 Marzo 2024
APPROFONDIMENTO STORICO AL CAPITOLO XI - TARQUINIO IL SUPERBO / LA REPUBBLICA
Lucio Tarquinio, conosciuto come Tarquinio il Superbo (... – 496 a.C.) regnò dal 535 a.C. al 509 a.C., anno in cui fu messo al bando da Roma. Prese il comando con la forza, senza che la sua elezione fosse approvata dal popolo e dal senato romano, e sempre con la forza mantenne il controllo della città durante il suo regno. Se le fonti antiche lo criticano per come conquistò e mantenne il potere in città, le stesse gli riconoscono però grandi capacità militari; sotto il suo regno fu presa Suessa Pometia, iniziò la centenaria lotta tra Romani e Volsci e combatté contro i Rutuli asserragliati nella città di Ardea. Portò inoltre a termine la costruzione della Cloaca Massima e del Tempio di Giove Ottimo Massimo. Durante il suo regno Roma diventò un’importante stazione commerciale ed acquisì il controllo su alcune comunità circostanti iniziando la sua espansione, anche con la fondazione di colonie romane, come quelle di Signa e Circei. Il fatto determinante che causò la cacciata di Tarquinio fu il suicidio di Lucrezia, moglie virtuosa di Collatino, che preferì la morte al disonore di aver subito violenza da Sesto Tarquinio, figlio del re e possibile suo successore. Collatino e il suo amico Giunio Bruto (che poi divennero i primi consoli della repubblica) furono gli artefici della sollevazione popolare contro Tarquinio che, messo al bando dal senato, si rifugiò a Cere e tentò inutilmente di riappropriarsi del proprio regno con l’aiuto di Porsenna e delle città latine avversarie dell’Urbe. Dopo la cacciata di Tarquinio e la sconfitta di Porsenna venne fondata la repubblica: si trattava di una rivoluzione aristocratica che si inserisce in un quadro politico di grande ridimensionamento della forza etrusca nella penisola. Gli etruschi stavano progressivamente perdendo le loro posizioni nel Lazio e in Campania a vantaggio di Latini e Greci, ed è possibile che Roma abbia approfittato di questo contesto per liberarsi di Tarquinio il Superbo che veniva visto dall’aristocrazia come un dittatore tiranno.
MUZIO SCEVOLA, il cui vero nome era Muzio Cordo, è il protagonista di una nota leggenda romana. Si narra che nel 508 a.C., durante l’assedio di Roma da parte degli Etruschi comandati da Porsenna, al quale Tarquinio il Superbo aveva chiesto aiuto per rimpossessarsi del regno, propose al senato di uccidere il comandante etrusco. Non appena ottenne l’autorizzazione, si infiltrò nelle linee nemiche e, armato di un pugnale, raggiunse l’accampamento di Porsenna, che in quel momento stava distribuendo la paga ai soldati. Muzio attese che il suo bersaglio rimanesse solo e quindi lo pugnalò. Ma sbagliò persona: aveva infatti assassinato lo scriba del lucumone etrusco. Subito venne catturato dalle guardie del comandante e, portato al cospetto di Porsenna, il giovane romano non esitò a dire: “Volevo uccidere te. La mia mano ha sbagliato e ora la punisco per questo imperdonabile errore”. Così mise la sua mano destra in un braciere dove ardeva il fuoco dei sacrifici e non la tolse fino a che non fu completamente consumata. Da quel giorno il coraggioso nobile romano avrebbe assunto il nome di Muzio Scevola (il mancino). Porsenna rimase tanto impressionato da questo gesto che decise di liberare il giovane. Muzio, allora, sfoggiò la sua astuzia e disse: “Per ringraziarti della tua clemenza, voglio rivelarti che trecento giovani nobili romani hanno solennemente giurato di ucciderti. Il fato ha stabilito che io fossi il primo, e ora sono qui davanti a te perché ho fallito. Ma prima o poi qualcuno degli altri duecentonovantanove riuscirà nell’intento”. Questa falsa rivelazione spaventò a tal punto il principe e tutta l’aristocrazia etrusca da far loro considerare molto più importante salvaguardare il futuro del re di Chiusi piuttosto che preoccuparsi del destino di Tarquinio il Superbo. Sempre secondo la leggenda, Porsenna a questo punto, nonostante avesse la vittoria in pugno, prese la decisione di intavolare trattative di pace con i Romani, colpito positivamente dal loro valore.
ORAZIO COCLITE (cocles in latino significa “con un solo occhio”), discendente dai tre fratelli Orazi, nel 508 a.C. riuscì ad arrestare l’avanzata degli Etruschi di Porsenna mentre i compagni demolivano il ponte Sublicio per impedire che i nemici passassero il Tevere. Inizialmente al suo fianco combatterono Spurio Larcio e Tito Erminio poi, rimasta da abbattere soltanto una piccola parte del ponte, ordinò loro di mettersi in salvo, mentre lui rimase a combattere da solo. Al termine della demolizione si gettò nel Tevere con tutta l’armatura e qui, secondo Polibio, affogò. Secondo Tito Livio, invece, riuscì ad attraversare il fiume nuotando e a rientrare in quella città a cui aveva evitato, con il suo eroico gesto, un infausto destino. Il popolo di Roma gli dimostrò la sua gratitudine dedicandogli una statua e donandogli un appezzamento di terreno.
Moneta di Tarquinio il Superbo
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