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I problemi di una ‘Superpotenza culturale’: una riflessione intorno alle parole del ministro della Cultura Sangiuliano

Non sappiamo quanto una ‘Superpotenza culturale’ ma ideologica e revisionista possa influenzare veramente il sistema culturale italiano: se al 'chiudere porti’ non coinciderà al contempo un’alternativa all’arte contemporanea, il tutto potrebbe risultare grottesco e politicamente fallimentare

22 Dicembre 2022

I problemi di una ‘Superpotenza culturale’: una riflessione intorno alle parole del ministro della Cultura Sangiuliano

Non è esattamente chiaro cosa si intenda con il neologismo del ministro della Cultura Sangiuliano.  Le arti figurative per definizione sono eterogenee e poco addomesticabili: come dovrebbero essere i grandi eventi fieristici ed espositivi come la Biennale di Venezia o i musei d’arte contemporanea? La politica gioca il suo ruolo in una 'occupazione' della cultura che si trascina dal dopoguerra

Rivalutazione di artisti italiani indipendenti, aumento dell’incasso dei musei,  una politica culturale trainante, riqualificazione di grandi musei: se il ministero della Cultura si ponesse di perseguire questi obiettivi avrebbe un bel daffare, non tutto andrebbe liscio.

In primis per una visione a tratti nostalgica del mondo dell’arte e della cultura che non è in grado di adeguare identità politica alla veloce obsolescenza programmata; dall’altra un mondo museale che è strutturalmente in perdita, e che in futuro non sarà più priorità statale a fronte di nuove problematiche ecologiche, pandemiche e di futuri consumi: come si realizzerà la ‘superpotenza culturale’? Apriranno nuove sedi di musei italiani anche all’estero? Si celebrerà qualche maestro italiano dimenticato?  Lo Stato si farà restituire -non dico la Gioconda- ma qualche importante capolavoro finito all’estero?  Le grandi rassegne d’arte contemporanea come la Biennale di Venezia torneranno ad essere dei riferimenti culturali?  Si, perché i musei italiani ancora non riescono a competere con quelli stranieri: il francese Louvre è la destinazione più ambita per 10 milioni di visitatori annui. Solo i Musei Vaticani, nelle classifiche stilate dalle agenzie internazionali, riescono a essere competitivi, sebbene non riescano a raggiungere i primi posti, occupati dalla National Gallery londinese e dal Metropolitan di New York

L'Italia si trova incredibilmente fuori dai primi 10 posti e solo con gli Uffizi riesce a vantare almeno un milione di visitatori annui. Ed è per questo che, per fare cassa, il ministero da qualche tempo vorrebbe far pagare il biglietto per visitare monumenti ad accesso pubblico oppure aumentare il costo dei biglietti come auspica il ministro della cultura, Gennaro Sangiuliano. 

Si gioca -oltre che a soldi- anche a un progetto culturale che da troppi anni è all'appannaggio della Francia: c’è l’assenza di un progetto autorevole e di grande rilevanza, paragonabile alle opere infrastrutturali del dopoguerra, la realizzazione di grandi poli museali (come quello di Roma o Firenze), per il tramite di leggi speciali.  Forse il Pnrr avrà questo compito?

C'è inoltre una questione politica: l’occupazione dei beni culturali e delle università da parte della 'Gauche' è iniziata dal dopoguerra con l’Arte Concettuale, la Process Art, la Body Art e in generale sfoderando strumentalmente contro la religione cattolica i più degradanti esperimenti, oggi giunti all’apice grazie alla lobby gay internazionale del Post-Human, secondo cui siamo all'alba di una nuova era di relativismo etico e culturale tale che è lecito confondersi in una totale perdita di identità di genere, il ‘Gender’, e per fare ciò, gli artisti si dichiarano gay, trans o si sottopongono a auto-lacerazioni e operazioni chirurgiche o happenings che trovano cinici finanziatori. Ma chi sono in verità e come vedono il mondo e la realtà questi specialisti? Sono obbedienti ad un programma politico in un divenire autonomo, spesso riconosciuto ridicolo anche dalla stessa stampa internazionale: le performance degli ecologisti di ‘Just stop oil’, finanziati paradossalmente per  milioni di euro da una ereditiera della famiglia di petrolieri,   è solo l’ultima di queste operazioni.

L’arte contemporanea  è stata lo spartito del pensiero unico dominante, la malattia d'Europa o dell’Occidente su cui pesa il complesso di colpa nei confronti delle vittime dell’apartheid, della ghettizzazione, dei campi, di tutte le atrocità commesse (e anche di più) sviscerate dal politically correct. Il novecentesco complesso di colpa inconscio che condiziona la nostra esistenza, che ci accompagna in maniera occulta ed emerge in maniera più o meno manifesta come ‘voce interiore’ quando più razionali e obiettivi si vuole essere in giornali, tv, libri, musei, come una nevrosi. 

Cosí quegli errori di cui si è convinti essere artefici, con i quali invece non si ha niente a che fare -perchè delitti commessi nel secolo scorso- ci rendono ‘eredi’ del genocidio nel Mediterraneo.  Questa é la malattia dell’attuale generazione europea, che non ha realizzato il Colosseo, ne’ dipinto la Gioconda, costruito la Tour Eiffel, ne’ inventato la teoria della relatività poiché questa generazione è nata successivamente, e quindi  neanche fondato l'Europa: la cultura si è disinteressata a risolvere questi problemi. Così, i musei hanno funzionato da  non-luoghi programmati, ossia crocevia della surmodernità dove le identità non si coagulano: da parte di Bruxelles si è portato avanti un preconscio progetto che, estraniando i cittadini dalle loro radici culturali, li avrebbe voluti trasformare paradossalmente in ‘estranei’ nei luoghi in cui sono nati, a fianco ad altri estranei, in un tutto socialmente non più conflittuale poiché privo di ‘padroni’ in casa propria e di 'ospiti' come in una sorta di outlet in cui tutto è finto, ancor piú  le  radici, pensando forse a realizzare una comunità pacifica di popoli meno identitari.

Conciò si è verificato uno ‘sradicamento’ d’ufficio che, se non è più crudele della ‘deportazione’ o dell'esodo forzato del secolo scorso, ha con essi molti punti in comune in quanto è di matrice affettiva e che ha provocato una sorta di condivisione delle idee sovraniste. Chi si è trovato al potere non ha ritenuto prioritario prodigarsi per dare le stesse possibilità a tutti i cittadini di emanciparsi, semmai di darne a chi, pur ricevendone, non avrebbe mai presentato una minaccia allo status quo: 

gente in disgrazia, debilitata, a rischio sopravvivenza, annegamento, donne gravide con in braccio i bambini mentre arrancano su gommoni mezzo affondati, così come redditi di cittadinanza che livellano lo stato sociale di tutti ma al di sotto di una possibile emancipazione. Eppure sono allarmanti anche gli attentati sparsi e incontrollati, il deturpamento del paesaggio italiano,  la decrescita, la scarsa partecipazione alle urne, il degrado umano e civile, l’incapacità delle istituzioni a ottenere opere trafugate o la cui collocazione non ha senso, e metropoli che non riescono a garantire una qualità della vita e servizi -non solo culturali- accettabili, la cui urban art è solo un vezzo.

La logica nei luoghi istituzionali è stata la stessa per anni: noncurante della minaccia sovranista si è dato ampio spazio ad artisti di piccole località sperdute dell'Africa o a grandi multinazionali (colossi economici contro i quali nessuno può niente, finanche l’istruzione pubblica), mentre le partecipazioni nazionali -cosi come il ceto medio- sono prossime all'inesistenza quantitativa e qualitativa. 

La realtà è che questo governo non ha fatto mistero di provenire ideologicamente da una storia di marginalizzazione e assenza dalle grandi riforme fatte nella prima repubblica che hanno cambiato il paese, il cui ‘boom’ economico é stato l'apice; e di non aver saputo tenere testa ai difetti di ciò che rimaneva di sé stessa, molte volte bollandosi solo come "nostalgica", quando 10 milioni di italiani si trovano sulla soglia di povertà e vedono la cultura come principale causa di questa crisi. 

Non sappiamo quanto una ‘Superpotenza culturale’ ma ideologica e revisionista possa influenzare veramente il sistema culturale italiano: se al 'chiudere porti’ non coinciderà al contempo un’alternativa all’arte contemporanea, il tutto potrebbe risultare grottesco e politicamente fallimentare.

 

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