05 Dicembre 2022
C'è un potere che nei due anni di chiusure ossessive è andato oltre il regime: oggi la Chiesa ripristina la possibilità di segnarsi all'acquasantiera e di “scambiarsi un segno di pace”, ben oltre le ipocondrie del decaduto Speranza con la sua corte di apprendisti stregoni. Dal che si potrebbe concludere che o la Chiesa è ancora più psicotica, o che, come minimo, non cambia la sua indole: Da Costantino e Teodosio, a spanne dalla trovata di sant'Agostino sul peccato originale, tutta politica: se l'uomo nasce nella colpa, e l'imperatore è uomo, allora anche l'imperatore è soggetto al pontefice che rappresenta Cristo. Semplice e geniale! Per diciassette secoli la Chiesa ha saputo farsi inglobare dal potere allo scopo di metabolizzarlo: gli imperatori, i dittatori passavano e lei sempre lì, al loro fianco, per il bene dell'umanità, a digerirli, un “uomo della provvidenza” via l'altro. Fedele alla regola aurea: se non ce l'abbiamo fatta noi cardinali ad ammazzarla, questa Chiesa, chi altri potrebbe? Dalla “fine della storia”, colossale abbaglio di Fukuyama, però, la Chiesa sembra essersi ripiegata, arresa al tempo: non vuole più, si direbbe, resistere per resiliere, si accontenta di sopravvivere, quasi sentendo che i suoi giorni sono contati. Draghi non è Mussolini, è un dittatore neodemocratico, di quelle democrazie negative e autoritarie che circolano oggi, e la Chiesa gli ha tributato solenni onori e servilismo a profusione, sapendo che non sarebbe durato. Ma nel suo zelo gesuitico ha oltrepassato il regime. Le chiese sbarrate le acquasantiere secche, la gente – ci sono andato, da cattolico assai discontinuo, insofferente, alle funzioni qualche volta – che al momento della Pace anziché stringersi la mano si lanciava da dietro le mascherine certe occhiate da maniaci sessuali, da disadattati. Una pena. Lo zelo maniacale dei preti all'altare, coperti come banditi, dei fedeli, lugubri come anime in pena, delle rompicoglioni che stan sempre lì a cantare con quelle voci da sirene stridule, per puro esibizionismo, dietro mascherine nere da penitentiagite.
La CEI ha imposto, esattamente come l'informazione laica, una narrazione a senso unico, fondata sull'apocalisse, in totale rinnegamento della speranza, della Provvidenza. Ha vietato le funzioni o le ha ridotte a danze di morti, ha imposto a fedeli peraltro acritici la fanatica osservanza non del Vangelo ma delle follie di virologi e consigliori. Ignoranza o opportunismo? Fate voi, la sostanza non cambia. La Chiesa non ha responsabilizzato i suoi seguaci nel senso di responsabilità, al limite di queella ribellione santa, nonviolenta, che fu di Cristo, ma al servilismo di stampo sovietico o cinese: quello che decide lo stato è giusto e noi ci adeguiamo. Ecclesiastici che paragonavano il Covid alle piaghe d'Egitto, che equiparavano il rifiuto di vaccinarsi a un peccato mortale. Quando la narrazione è crollata sotto il peso delle evidenze, come al solito la Chiesa ha fatto finta di niente. Ma, essendo paranoica, non rinuncia alle raccomandazioni patetiche e stupide: la prudenza nel segnarsi, la mascherina comunque, l'astensione dal sacramento se uno ha la tosse. Non è come il successore di Speranza, questo Schillaci che annuncia campagne vaccinali e mediatiche fondate ancora sul terrorismo? Mentre l'esecutivo di Giorgia Meloni sembra avere un gran prurito, una voglia sfacciata di tornare alle chiusure secondo il seguente sillogismo: se il Covid riempiva gli ospedali, e l'influenza attuale dà più o meno gli stessi sintomi e riempie gli ospedali, e il governo di prima aveva “risolto” chiudendo tutto, allora anche noi chiudiamo tutto.
Ma è un falso scientifico e logico, un ragionamento fallace che, anzitutto, si basa sulla mistificazione equiparante, Covid-influenza: sono la stessa cosa o sono diversi? E se sono lo stesso, a che è servito paralizzare il mondo per l'influenza che cade ogni inverno? E a che serve adesso commettere lo stesso errore? La risposta è semplice: esattamente come nel recente passato, chi è prigioniero non protesta, non toglie fiducia, non si agita e intanto noi duriamo. E poi è così bello il brivido del potere spinto all'eccesso.
La Chiesa vuole durare in retroguardia, sapendo di non essere mai stata così debole, con un papa inconsistente; lo fa obbedendo, spingendo i fedeli a obbedire, a lei dunque allo stato dunque al regime e non accetta considerazioni diverse, la butta sul fatalismo della banalità: quando Dio vorrà, torneremo liberi. Ma è una Chiesa che arriva a una regressione infantile, da catechismo, aproblematica, dogmatica. Di quella superstizione mascherata da fede.
Sono stato, sabato scorso, a due presentazioni in sequenza per altrettanti libri, erano, mi sono accorto poi, nell'alone mistico-produttivista di Comunione e Liberazione, da cui la perenne mitizzazione, che a me suona un po' come mistificazione, del fondatore don Giussani, del suo discutibile pragmatismo, del suo cattolicesimo propagandato come santa devianza, in realtà ferocemente ortodosso se non reazionario, del suo atteggiamento sul mistico popolare, “ah, quella volta che il don Gius guardò fuori dalla finestra e disse: Gesù come piove, vedete, aveva già previsto la crisi della cristianità”. Mah. Un po' come la curiosa saggezza confuciana, che è una raccolta di pensierini dell'acqua calda buoni per tutto, perdi il lavoro, ti sterminano la famiglia, ti scoprono un male terminale e Confucio: quando il sole splende, il ciliegio fiorisce.
Dite che sono terra terra col mio materialismo ignorantone? Sì, come vi pare, evito pure di rimandarvi ad alcuni testi critici come quello, recentissimo, di Chantal Delsol, “La fine della cristianità”, sull'inversione delle istanze morali difese nella storia del cattolicesimo, oggi capovolte mentre il cristianesimo stesso si è svilito a religione senza Dio, sostituito da un sincretismo pop che infila miti, credenze, tecnomisticismi, nuovi feticci come il gender, il clima, il migrantismo. Ma torniamo a bomba, alla Chiesa che non ingloba più, resiste per spegnersi lentamente, svuotata, senza vitalità, senza orizzonte. Ai due convegni di cui parlavo, tanti bei discorsi, rotondi, puliti, sul dovere di cambiare, sulla Chiesa maestra e faro, e, naturalmente, sui giovani che sono l'ultima risorsa cattolica; c'era il vescovo di Sanremo che giocava in retroguarda, “a me quando mi insultano come conservatore mi diverto perché provo carità cristiana”. Sì, eccellenza, come preferisce, però nessuno, neanche lei col coraggio di dire che questa Chiesa sotto il regime draghiano ha dato il peggio dai tempi del Fascismo e probabilmente oltre. Ci penserà il Padreterno! Poi torno al mio quartiere di Lambrate, periferita est di Milano, che da migrante nelle Marche rimpiango da 40 anni, e, incredibile, trovo la cappellina sotto casa mia di nuovo aperta, come non succedeva almeno da tre decenni. Entro, timido, commosso, e ritrovo la Maestà bizantina, il mosaico della Madre col Bambino che mi incantava da piccolo: quanti tappeti in terra però, e che ci stanno a fare? E l'altare negato, coperto da tendaggi, niente più Crocifisso. Resto sbalordito ma una voce, lieve ma dura, mi fa trasalire: qui non puoi stare se non ti togli le scarpe. Pakistani, forse, o chissà di dove ma ho intuito subito: sconsacrata la chiesina, la Diocesi l'ha ceduta ai musulmani per farne una moschea. Non ho detto niente, non ho protestato anche se quella era un po' casa mia, lì dentro ci ho sperato, ci ho pianto, ho pregato per tutto e per niente. E dopo 40 anni la ritrovavo solo per venirne cacciato da nuovi padroni. E mi son fatto cacciare, pensando che quella era davvero una lezione del Tempo, una religione muore, l'altra la soppianta. Il fatto è che una chiesa può diventare moschea, ma una moschea non tornerà mai più chiesa.
Forse, anzi senza forse, quella Maestà mi ha chiamato per l'ultima volta, a salutarmi, a salutarla. Anche così muore la vita, in questi segni misteriosi ma potenti, inequivocabili, che ti dicono che il Tempo sta finendo, quello della Chiesa e anche quello tuo.
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