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L'importanza di accettare il proprio destino: la lezione che ho imparato dalla malattia

Riflessioni a quindici anni dalla prima pubblicazione del mio romanzo Tra un anno sarò felice

14 Dicembre 2025

Alfredo Tocchi

Alfredo Tocchi

Quindici anni fa, proprio in questo periodo dell'anno, la mia editrice Stefania Lovati pubblicava il mio romanzo d'esordio Tra un anno sarò felice, prima parte della trilogia Da A a B dedicata a Destino, Illusione e Nostalgia.

Partendo dal motto dei Principi di Tocco Si qua fata sinant (si compia il Destino), raccontavo la storia di un uomo che si risveglia dal coma e si accorge di avere perso il proprio posto nel mondo.

Questa frase, contenuta in Memorie di un antisemita, è di Gregor von Rezzori, un autore con una sensibilità affine alla mia.

Come ha scritto Charles Bukowski, un anticipo di morte non è una brutta cosa per uno scrittore. C'è molto da imparare su se stessi e – forse – sulla vita: argilla da modellare artisticamente.

Scritto interamente di notte, da un uomo malato e rimasto solo, il mio romanzo fu profetico: vinsi davvero un premio letterario come avevo previsto (il Cesare Pavese, Sezione Narrativa Inedita).

Romanzo frainteso, ridotto da chi non sa scorgere il lavoro creativo a memoir, a cronaca della mia esperienza personale, a tratti tragico ma anche divertente, è un messaggio diretto al lettore anche laddove mi rivolgo a mia figlia Celeste: “... accetta il tuo Destino, qualunque esso sia. Fai tua la Preghiera dell’accettazione di Reinhold Niebuhr: Dio mi conceda / la serenità di accettare / le cose che non posso cambiare, / il coraggio / di cambiare quelle che posso / e la saggezza / di comprendere sempre / la differenza”.

Siamo artefici del nostro Destino? Certamente. Ma la vita è un castello di sabbia la cui bellezza dipende dal nostro lavoro e dall’imponderabile forza delle onde.

La giuria del Premio Cesare Pavese mi avrebbe fatto notare – ex post – l'identità di vedute con un gigante della letteratura (Jorge Luis Borges): "Nulla si edifica sulla pietra, tutto sulla sabbia, ma noi dobbiamo edificare come se la sabbia fosse pietra”.

Cronaca di una guarigione impossibile, comprensibile soltanto dopo la lettura della terza parte sulla nostalgia (che uscì con 12 anni di ritardo), la mia trilogia ha fatto di me un uomo migliore: la scrittura è diventata la mia forma di meditazione quotidiana.

15 anni dopo la prima pubblicazione (a cui ne seguirono altre due, con due case editrici diverse), oggi sono lucidamente consapevole che le mie intuizioni di quella lunga serie di notti insonni sono le stesse di altri uomini che – come me – hanno “vissuto un anticipo di morte”. Vi è un filo conduttore nelle riflessioni che mi ha portato a leggere il Corano. Islam significa sottomissione alla volontà divina. Per me – agnostico – accettazione del Destino.

“Al principio della malattia avevo la sensazione che vi fosse un errore nel mio atteggiamento, e che perciò in qualche modo fossi responsabile io stesso dell’infelicità. (...) Fu solo dopo la malattia che capii quanto sia importante dir di sì al proprio destino. In tal modo forgiamo un io che non si spezza quando accadono cose incomprensibili: un io che regge, che sopporta la verità e che è capace di far fronte al mondo e al destino. Allora fare esperienza della disfatta è anche fare esperienza della vittoria. Nulla è turbato – sia dentro che fuori – perché la propria continuità ha resistito alla corrente della vita e del tempo. Ma ciò può avvenire soltanto quando si rinuncia a intromettersi con aria inquisitiva nell’opera del destino." (C.G. Jung, "Ricordi, sogni, riflessioni").

Se oggi sono un uomo equilibrato, a mio modo felice, è perché ho accettato il mio Destino. Non da passivo fatalista, al contrario: continuando a costruire il mio castello di sabbia con tutto l'impegno necessario: altro non posso – non possiamo - fare.

In quelle notti di quindici anni fa, ho capito quali fossero i miei bisogni primari. La scrittura è stata una delle terapie alternative che hanno contribuito all'impossibile guarigione. Ho descritto la mia morte per esorcizzarla mentre sceglievo di vivere, sempre tenendo presenti le parole di Antonella 237, la mia sfortunata giovane amica, consapevole di essere vicina alla morte: «Dobbiamo accettare la vita o rinunciarvi, facendo un vero e proprio salto nel buio, scommettendo su qualcosa di inconoscibile. Albert Camus aveva ragione: l’unico vero dilemma filosofico è vivere o suicidarsi. Tu vivrai. La tua malattia non è grave. Accetta il tuo Destino con coraggio».

Lei mi ha insegnato che per accettare il proprio Destino a volte occorre coraggio. Credo che sia questo il vero significato del motto dei Principi di Tocco.

“Dammi qualcosa che mi accompagni nel mio cammino. Spesso è gravoso il mio cammino e spesso oscuro” (Hermann Hesse, Siddharta). Per il credente, quel qualcosa è la fede, la sottomissione alla volontà divina. Per l'agnostico, è il coraggio. Il coraggio di costruire sapendo che presto o tardi arriverà un'onda. Il coraggio di amare la vita, nonostante l'impossibilità di comprenderne il significato.

di Alfredo Tocchi, Il giornale d'Italia, 14 dicembre 2025

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