22 Ottobre 2022
fonte: pixabay
La passione per la lettura gli era esplosa fin dalla prima
adolescenza; ad innescarla un colpevole cofanetto tascabile
contenente una selezione di racconti di Edgar Allan Poe,
quattro piccoli volumi dalla copertina verde, ricevuto in regalo da chissà chi, chissà quando. La stessa immagine che
ritraeva lo scrittore/poeta inquietava Giulio; la foto, un antico dagherrotipo, gli evocava la materializzazione ectoplasmatica di un fantasma, un’entità venuta dall’aldilà,
dannata... com’era stata la sua vita. Lo appassionava soprattutto quel suo modo di scrivere, quello stile scorrevole,
spesso incalzante, che lo risucchiava immediatamente dentro la storia e che era capace di suscitargli emozioni forti e
brividi di paura. La lunga e angosciante epopea di Gordon
Pym e i brevi ma impressionanti Racconti del terrore e del
Mistero, avevano proiettato Giulio in mondi tetri e paurosi,
dove, ad attenderlo, c’era sempre un finale imprevedibilmente drammatico e scioccante. Divorò l’intero cofanetto
in poche notti, rinunciando per la prima volta al sonno, catturato da una lettura che non poteva sospendere o procrastinare, fin quando gli occhi, stanchi e secchi per la veglia,
faticavano a comprendere il significato di quelle piccole
macchie nere che coprivano la pagina e crollava direttamente nel sonno.
negli anni, il piacere di leggere un buon libro non lo abbandonò mai, portandolo a scoprire altri autori, altri generi, altre culture, così che la sua biblioteca, parallelamente
alla sua collezione di vinili, s’ingrossava con sempre nuovi
titoli. nella sua piccola casa nel centro di Milano, che aveva
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occupato dopo la separazione, aveva portato i resti di
quella che era una stata una volta la sua collezione, depauperata nel corso dei numerosi traslochi e da prestiti mai
onorati. nella nuova casa, un bilocale confortevole di una
trentina di metri quadri, lo spazio era sempre troppo poco
e la piccola libreria, ormai, traboccava di vecchi e nuovi acquisti che si andavano impilando l’uno sull’altro, o incastrati quasi a forza in ogni fessura possibile negli scaffali;
fin quando, su ogni superfice libera, iniziarono a crescere
colonne di volumi. Giulio doveva trovare una soluzione,
una sistemazione ai suoi libri, toglierli dai mobili dove
erano accatastati e dar loro un ordine, liberare un po’ di
spazio vitale; di sicuro non poteva rinunciare alla sua passione! Si ricordò di un suo cliente, un artigiano con una piccola falegnameria non lontano da casa sua, con il quale si
era instaurato un rapporto meno formale del solito. Pensò
di commissionargli qualche mensola di legno da applicare
alle pareti, così che un buon quantitativo di quei libri vi
avrebbe potuto trovare posto, liberando la casa da quel disordine culturale. Le uniche pareti libere erano quelle in
camera, solo due però, perché una era interamente occupata dall’armadio e nell’altra si apriva il balcone. Calcolò
che lo spazio a disposizione gli permetteva di fissare al
massimo tre mensole delle giuste dimensioni, due le
avrebbe installate sulla parete dove poggiava il letto, l’altra
in quella interna che la separava dal bagno. Calcolò la larghezza e la profondità ottimali, li segnò sulla sua agenda
in modo da averli a portata di mano calcolando, anche, che
vi avrebbero potuto trovare posto almeno un centinaio di
volumi.
Qualche giorno dopo lo chiamò l’artigiano per avvisarlo
che le mensole erano pronte e che poteva ritirarle in qualsiasi momento. Giulio notò che erano più pesanti e massicce di quanto avesse immaginato, mentre, con sforzo, le
adagiava con cura nel cofano della sua auto. Constatò che
il legno scuro e massiccio, così come lo aveva scelto, non
avrebbe stonato con il resto dell’arredamento. Erano davvero belle! Giulio aveva molta dimestichezza con i lavori
manuali, fissare un paio mensole alla parete non era mai
stato un problema, era un’attività che aveva svolto tantissime altre volte; a casa possedeva tutta l’attrezzatura necessaria, tasselli, viti, trapano… per completare il lavoro
non appena fosse arrivato a casa. Giulio era impaziente di
mettersi all’opera, finire il montaggio e iniziare a sistemare
quanti più libri possibili. nonostante la parete di antichi
mattoni pieni fosse particolarmente resistente, in meno di
un’ora il lavoro era fatto. Perfettamente a livello, fissate su
livelli sfalsati per dare un po’ di movimento alla parete,
all’apparenza ben solide, s’integravano perfettamente con
il resto dell’arredamento. adesso era il momento di utilizzarle. Raccolse i volumi accatastati dappertutto e, con criterio tematico, iniziò a selezionare i tomi raggruppandoli
per genere o per autore; gli passarono in mano antiche letture del passato, evocatrici di momenti precisi della sua
vita, qualche libro che aveva iniziato a leggere e mai finito,
storie appassionanti che aveva vissuto come sue e pagine
importanti per la sua crescita culturale. iniziò a posizionarli
con cura sui ripiani di legno, cercando di dare ai dorsi
anche un’affinità cromatica, con le inevitabili indecisioni
sulla giusta posizione di un determinato titolo. alla fine riuscì a trovare posto a quel centinaio di libri che aveva previsto. Giulio era compiaciuto del risultato, il lavoro era pulito e professionale e la policromia dei dorsi dava una nota
di colore alla stanza, mentre il legno scuro e la carta dei volumi sembravano emanare invisibili ondate di confortante
calore. La “cultura” adesso sovrastava le sue notti spesso
insonni e decine di libri ben allineati incombevano adesso
sulla sua testa... compatti e pesanti!
La giornata era stata molto impegnativa e faticosa, otto
ore passate in auto a combattere con una serie di ostici e
indisponenti clienti. i chilometri che separavano la sua casa
dal suo ufficio erano quasi un centinaio, ma la guida rilassata e della buona musica, lo aiutavano spesso a smaltire
parte dello stress e del malumore. Quella sera, invece, arrivò a casa spossato, stanco, malmostoso e non vedeva l’ora
di cenare per poi andare subito a letto dove, sul comodino
alla sua sinistra, lo aspettava l’immancabile libro che stava
leggendo: l’avvincente autobiografia di Charlie Chaplin,
della quale aveva già avidamente divorato oltre un centinaio di accattivanti pagine. La prima cosa che notò appena
sdraiato a letto, fu una larga fessura che separava la mensola, proprio quella sulla sua testa, dal biancore della parete. allarme!... la sera prima non c’era. Capì che la
consistenza del muro dove aveva praticato i fori per il fissaggio era più fragile di quanto aveva creduto e che il peso
dei libri, tanti, forse superava le sue stime. Giulio voleva
dormire tranquillo senza ritrovarsi, magari in piena notte,
investito dalla pesante mensola e dai libri. Per prima cosa
doveva alleggerire il ripiano spostando tutto il suo contenuto in un angolo sul pavimento. il giorno dopo avrebbe
trovato un sistema per assicurare il tutto in modo più solido e durevole. Stanco per la faticosa e lunga giornata, il
sonno arrivò improvviso dopo solo qualche pagina dell’avvincente vita del suo ammirato Chaplin.
Per cinque mattine a settimana la sveglia di Giulio suonava alle otto in punto, eccezione fatta per il week end o
nei giorni in cui aveva adele. Quella sera adele non era
con lui e la sveglia, l’indomani, avrebbe suonato puntualmente alle otto. La mattina successiva, invece, fu lo squillo
del telefono a riportarlo improvvisamente alla realtà;
guardò l’orologio, il display luminoso indicava le 7:14; chi
poteva essere a quell’ora, si chiedeva, mentre una leggera
ansia s’impadroniva di lui. Pensò subito alla figlia e il pensiero lo spinse a rispondere immediatamente alla chiamata.
“Pronto... chi è?” pronunciò la frase con la bocca ancora impastata dal sonno. La voce femminile che gli rispose gli era
sconosciuta e fortunatamente non era quella della moglie,
la sua agitazione ne beneficiò all'istante. “Signor Dagnino?” aveva esordito timidamente quella voce sconosciuta, “la disturbo per caso? Sono la signora Gargiuli, la
mamma di Franco, il suo cliente, si ricorda?”. il cervello di
Giulio, intorpidito dal sonno, ancora non girava a pieno regime e fece fatica a rintracciare nella sua memoria il legame
con quella voce sconosciuta, ma a sentire la parola
“cliente”, collegò immediatamente il cognome alla figura
di un trentenne, suo cliente da un paio d’anni, che si occupava di installazioni di sistemi d’allarme, condizionatori,
riparazioni, rilevatori di fumo…un bravo e robusto ragazzo che cercava di crearsi un futuro indipendente. il suo
ufficio era la casa della madre per cui Giulio, a ogni scadenza del contratto e per il suo rinnovo, si recava nella piccola abitazione in cui madre e figlio convivevano. Giulio trattava abitualmente con i titolari di aziende, in un clima
comunemente formale e professionale che poco spazio lasciava alle confidenze personali. La signora, di chiarissime
origini partenopee, invece non aveva certo dimenticato il
senso dell’ospitalità che ha la gente del sud, e ogni visita
di Giulio diventava per la donna un’occasione per manifestarla in tutti modi, soprattutto con una buona tazza di
caffè. Era un po’ come stare in famiglia; quella donna minuta gli faceva anche tenerezza e lo faceva sentire proprio
come fosse a casa sua. E tutto questo si traduceva in sconti
e agevolazioni sul nuovo contratto.
“Buongiorno signora, perché mi chiama a quest’ora,
cosa succede?”, rispose l’uomo un po’ stizzito, non nascondendo nella voce una punta di rimprovero. La donna,
quasi mortificata dal tono poco incoraggiante, iniziò a scusarsi ripetutamente e in tutti i modi possibili, fin quando
Giulio, pentito per la durezza della sua risposta e intenerito, la tranquillizzò chiedendole nuovamente, stavolta con
un tono più morbido, perché lo avesse chiamato. Seguì un
lungo racconto della donna che lamentava un disguido con
l’amministrazione della ditta che Giulio rappresentava, e
che gli aveva causato dei problemi con la banca. “Stia tranquilla signora, più tardi chiederò notizie in amministrazione sperando di risolvere al più presto il problema, poi
la chiamerò per informarla, intanto mi saluti Franco”.
L’orologio segnava le 7.25 e Giulio scartò l’idea di tornarsene a letto per quella trentina di minuti prima delle
otto. Caricò la caffettiera e attese pazientemente l’indispensabile infuso. alle 7.42, mentre si dava le ultime ripassate
di rasoio, dalla sua stanza da letto, arrivò fortissimo un rumore, un fracasso condito dal fragore di vetri infranti. Si
asciugò rapidamente la faccia e si precipitò nella stanza accanto. La scena che gli si presentò agli occhi gli provocò
una scarica di adrenalina: la mensola, staccatasi dalla parete, era precipitata di taglio esattamente sul cuscino dove,
a quell’ora, avrebbe dovuto esserci la sua testa; nella caduta
aveva frantumato la lampada sul comodino, inondando di
schegge di vetro acuminate tutto il cuscino; sul muro i fori
del trapano sembravano fissarlo, come vuoti occhi senza
vita.
Superata la sorpresa, iniziò a pensare a quella telefonata
che, arrivata in un orario insolito e così poco urbano, gli
aveva evitato una probabilissima disgrazia, le cui conseguenze avrebbero potuto essere molto serie. Un avvenimento certamente strano, una semplice coincidenza o un
qualcosa che sfugge alla ragione? in ogni caso sentiva di
essere un miracolato! Dopo, improvvisamente, lo assalì un
rigurgito di rimorso per il tono duro e infastidito con il
quale aveva risposto alla donna. Se ne pentì e si ripromise
di fare ammenda in occasione dell’imminente incontro per
il rinnovo del contratto, fissato all’inizio della settimana
successiva; in fondo doveva a lei se, al momento in cui la
mensola si era arresa alla forza di gravità, la sua testa addormentata non si trovava, come avrebbe dovuto, sul cuscino. La suoneria della sveglia partì puntualmente alle 8.00.
Quella volta, prima di recarsi nella modesta casa in cui
viveva e lavorava Franco; Giulio acquistò una bella pianta ornamentale in segno di riconoscenza per lo scampato pericolo. La donna, superata la meraviglia per quel dono inatteso, si abbandonò a copiose giustificazioni per l’orario
inopportuno di quella famosa telefonata: aveva senz’altro
percepito il fastidio nella sua voce, restandone piuttosto
mortificata. L’uomo, dopo aver salutato il figlio, la bloccò
dicendole che non gli doveva affatto delle scuse ma era lui
a doverla ringraziare. Le raccontò di quella mattina e di
come la sua chiamata era stata provvidenziale evitandogli
penose conseguenze. La donna, per risposta, gli confessò
che quella mattina si era svegliata improvvisamente e con
il pensiero fisso di chiamarlo, come se una forza misteriosa
le avesse comandato di farlo il prima possibile. Gli raccontò
come, fin dalle sei del mattino, gironzolava vicino al telefono con la tentazione di chiamarlo e che solo la consapevolezza dell’orario antelucano l’aveva frenata, fino a
quando, passate le sette e vincendo la sua ritrosia, aveva
preso coraggio e composto il suo numero. a quelle parole,
un leggero brivido di freddo percosse in tutta la sua lunghezza la schiena di Giulio, mentre il cuore sembrò avere
una piccola accelerazione. Gli si ripropose l’amletico dubbio, arricchito dal racconto della donna, che l’episodio non
fosse una pura coincidenza piuttosto una sorta di potere
profetico della signora.
“Caffè, signor Dagnino?”. L’invito riportò immediatamente i pensieri di Giulio in ambito più terreno. “Certamente signora, non dico mai di no ad un buon caffè, e il
suo è speciale, proprio come piace a me!”. Mentre la donna
trafficava nella piccola cucina a vista, i due uomini ne approfittarono per formalizzare il nuovo contratto. il caffè era veramente buono, non come certe ciofeche che spesso gli
toccava sorbirsi in certi bar, quando poi lo bevi in compagnia diventa un rito, quasi una cerimonia, un momento da
godere insieme, un’occasione per comunicare.
alla seconda sigaretta dopo il caffè, mentre i discorsi
s’intrecciavano su tanti argomenti, Giulio si estraniò dalla
conversazione, distratto da un odore che era arrivato al suo
sensibile olfatto. Si concentrò per dare un nome a quella
zaffata maleodorante, non ci mise molto tempo, capì quasi
subito: era gas! Era il tipico fetore del gas da cucina; evidentemente la donna aveva dimenticato di spegnere il fornello sul quale aveva preparato la caffettiera. “...non sentite anche voi puzza di gas” chiese ai due Giulio, interrompendo la chiacchierata. nel silenzio che ne segui, le
facce di tutti e tre si rivolsero verso la piccola cucina, i nasi
protesi, alla ricerca di una minima traccia di odore. “impossibile” esclamò il figlio con un ghigno di sufficienza,
“ho installato io stesso un rilevatore di gas!”. tuttavia questo non convinse l’ospite che insistette invitando Franco a
dare un’occhiata, per ogni eventualità, ai fornelli della cucina. Quando il ragazzone ritornò dalla sua ispezione, il
suo sorriso di sufficienza era sparito. adesso era serio e con
l’espressione dubbiosa si sedette nuovamente al tavolo, finì
il suo caffè e mentre si accendeva una sigaretta, in un sussurro per non farsi udire dalla madre, confessò a Giulio che
il rilevatore era inspiegabilmente disattivato e uno dei fornelli era aperto ma senza fiamma.
nonostante il volume bassissimo della voce, la donna
afferrò il senso delle parole del figlio e questo scatenò in lei
un’accorata arringa autodifensiva; giurava di aver spento il fornello sul quale aveva preparato il caffè, che era sempre
molto attenta a queste cose, che non poteva essere. La devozione di Franco per la madre lo indusse a inventarsi una
causa diversa per dar poco peso alla sua distrazione, poi
con un tono più allegro e per ridimensionare lo scampato
pericolo si rivolse a Giulio e, con un finto tono di rimprovero, gli disse: “Bene signor Giulio, adesso siamo pari!”, riferendosi al reciproco “salvataggio”.
“Ma no, ti sbagli!” replicò l’ospite, “adesso sono io a credito... voi siete in due!”. La risposta scatenò la risata generale, l’espressione dell’anziana donna si distese, sollevata
dai rimorsi e dai sensi di colpa, il clima tornò quello sereno
e colloquiale di prima. Giulio si fermò ancora qualche minuto, il tempo per un’ultima sigaretta, poi i saluti e l’ultima
raccomandazione alla donna: “Mi raccomando, mia cara
signora, visti gli effetti della sua chiamata, mi chiami
quando vuole, a qualsiasi ora, in qualsiasi giorno, non si
faccia remore.”, e chinandosi, abbracciò affettuosamente la
donna. Gli occhi umidi e con la voce rotta dalla commozione e guardandolo dritto negli occhi gli disse: ”Signor
Dagnino, che Dio la benedica!”.
Giulio richiuse lo sportello della sua auto ritrovandosi
nell’ovattato silenzio della solitudine, solo con i suoi pensieri. Pensava a quella donna, a tutto quanto era successo,
all’inspiegabile premonizione che lo aveva salvato. Sempre
dibattuto tra l’attribuire al caso quanto successo o lasciarsi
andare a interpretazioni paranormali, avviò il motore e si
confuse nel traffico.
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