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Caso Spampinato, Carmelo Schininà al GdI: "Il Viminale e i Servizi segreti monitoravano ciò che il giornalista scriveva su L'Ora"

A 53 anni dai fatti alcuni inediti scovati dal giornalista dei La7 riscrivono l'intreccio tra gli omicidi ragusani del giornalista Giovanni Spampinato e dell'ingegnere Angelo Tumino

17 Novembre 2025

Caso Spampinato, Carmelo Schininà al GdI: "Il Viminale e i Servizi segreti monitoravano ciò che il giornalista scriveva su L'Ora"

Carmelo Schininà Fonte: X @club_jeru

Dopo 53 anni, un'inchiesta a puntate condotta dal giornalista di La7 Carmelo Schininà fa affiorare importanti novità in merito a due "cold case" intrecciati: gli omicidi dell'ex consigliere comunale del MSI ragusano Angelo Tumino e del cronista de L'Ora Giovanni Spampinato, avvenuti a Ragusa il 25 febbraio e il 27 ottobre 1972. L'assassinio misterioso di Tumino, ingegnere missino e commerciante di antiquariato, scosse la città iblea. Spampinato, giovane cronista che fece del rigore e della passione per la verità il marchio del suo mestiere, fu l'unico a scavare oltre la cronaca nera. Nel suo taccuino iniziarono a intrecciarsi storie di reperti archeologici trafugati, traffici d'armi e legami con l'estrema destra. E segnalò la presenza in città di Stefano Delle Chiaie, il fondatore di Avanguardia Nazionale ricercato per le bombe del 1969. In una Ragusa che si credeva immune dalla mafia e dalle trame eversive, la ricerca della verità era troppo pericolosa. A premere il grilletto contro Spampinato fu Roberto Campria, figlio del presidente del Tribunale. Su questi fatti Schininà, che lavora al TgLa7 diretto da Enrico Mentana, ha pubblicato documenti finora sconosciuti. L'autore di queste righe lo ha intervistato.

R.V. Carmelo, negli ultimi anni hai pubblicato documenti inediti sul caso Spampinato. Vuoi delineare le tue scoperte per i lettori de Il Giornale d'Italia?

C.S. Quando, all'inizio del 2020, ho scoperto che la Procura di Ragusa, dopo mezzo secolo, aveva riaperto le indagini sull'omicidio di Angelo Tumino (che è legato a quello di Spampinato), ho capito che era il momento giusto per mettermi a cercare informazioni su questa vicenda che ho sempre sentito raccontare a casa dei miei genitori. Io sono nato e cresciuto fino a 20 anni a Ragusa. Mio padre nel '72 aveva conosciuto Roberto Campria, l'assassino di Giovanni Spampinato. Non si è mai capacitato di come e perché lo avesse improvvisamente ucciso quella sera del 27 ottobre. Allo stesso tempo lui faticava a comprendere la verità giudiziaria di allora, quella di un delitto d'impeto causato dal fatto che Spampinato l'avesse provocato coi suoi articoli in cui lo indiziava del delitto Tumino. Campria e Tumino erano molto amici e soci in alcuni affari sugli oggetti d'arte. Così, i dubbi di mio padre avevano attivato la mia sete di verità su questa vicenda che da 53 anni rappresenta una ferita aperta nella comunità ragusana. Allora ho cercato il figlio di Roberto Campria, Saverio. All'inizio era molto titubante, non voleva fidarsi. Ho capito che questa storia rappresenta anche nella sua famiglia una ferita ancora aperta. Anche perché Roberto Campria, venuto a mancare nel 2007, non ne ha mai voluto parlare. Poi, tra me e il figlio si è instaurato un rapporto di fiducia e a un certo punto Saverio ha rotto il silenzio, concedendomi un'intervista esclusiva. Era la prima volta che la famiglia Campria parlava dopo i fatti: il figlio ha detto che suo padre gli aveva confidato che prima di uccidere Spampinato era sotto pressione da ambienti politici. Non malavitosi, aveva specificato Saverio, ma politici, spiegando un dettaglio che per mezzo secolo era rimasto avvolto nel mistero. Nel fascicolo dell'omicidio Spampinato c'è un verbale in cui Roberto Campria, pochi giorni prima di uccidere il giornalista, racconta a un maggiore della Guardia di Finanza di Ragusa di essere stato avvicinato da un insospettabile che gli aveva chiesto di trasportare una valigetta a Palermo. Cosa avesse dovuto contenere quella valigetta non si seppe mai. All'epoca si parlò di droga. Saverio Campria ha raccontato che il padre, un giorno, gli aveva detto che quella valigetta avrebbe dovuto contenere documenti per incriminare la sinistra extraparlamentare. Fu il primo indizio, dopo 50 anni, che riportava sul binario della strategia della tensione e dell'infiltrazione, che trovava attinenza con ciò che Spampinato scriveva nelle sue inchieste prima di morire. Da lì, con un po' di fortuna e alcune fonti preziosissime, seguendo l'ipotesi della pista nera ho trovato una serie di documenti rimasti incredibilmente sconosciuti all'opinione pubblica. Tra questi, una lettera anonima fatta recapitare a Campria in carcere nel 1976, che denunciava "il delitto sotto costrizione" di Spampinato, una indagine segreta del 1982 che inquadrava il movente dell'omicidio Tumino: ucciso per una partita di reperti archeologici tra cui un cratere, una vaso greco, valutato nel '72 100 milioni di lire (1 milione di euro attuali, ndr), fino alla clamorosa scoperta di un dossier sulle inchieste di Spampinato fatto pervenire l'8 marzo '72 dall'Ufficio politico della Questura di Ragusa (quella che oggi chiamiamo Digos, ndr) al ministero dell'Interno e - lo stesso giorno - la fabbricazione di una notizia su una falsa pista rossa dietro l'omicidio Tumino ad opera dei servizi segreti. Tutto questo, oggi, riscrive, da zero la storia di Giovanni Spampinato.

R.V. Quale vecchio paradigma viene superato dalle novità emerse e quale nuovo paradigma emerge ora?

C.S. Per la verità giudiziaria di allora, Roberto Campria uccise Spampinato perché il giornalista lo indiziava del delitto Tumino e lui, in un momento di esasperazione, gli aveva sparato 6 colpi di pistola dentro la 500 di Spampinato ferma davanti al carcere. Poi, Campria era sceso e si era andato a costituire. I giudici presero per buona la versione dell'assassino reo confesso. A quella verità giudiziaria seguì una sorta di verità storica "alternativa", creata da quella parte di opinione pubblica che voleva riabilitare Spampinato. Una verità che scaricava tutto su Roberto Campria, anche la responsabilità del delitto Tumino. Nacque, così, la convinzione che l'omicidio di Tumino fosse stato archiviato a carico di ignoti nel 1975, senza individuare né un movente né un sospettato, perché gli inquirenti vollero proteggere il figlio del giudice e - in questo modo - indirettamente lo lasciarono libero di uccidere Spampinato, il quale probabilmente aveva capito tutto. Questa verità alternativa è divenuta negli anni un tabù complicatissimo da scardinare. Ma, oggi, questi documenti ci raccontano una storia molto diversa: Tumino era venuto in possesso di un cratere greco di inestimabile valore. Stava trattando l'affare con pochi intimi amici che erano pure suoi soci; tra questi Roberto Campria. I soldi che si potevano fare erano così tanti che l'affare scatenò appetiti famelici soprattutto da parte di ambienti vicini all'MSI, che con quel denaro avrebbe potuto finanziare "obiettivi politici".

Tumino era stato consigliere comunale del Movimento. Prima di morire, era in contatto con il deputato regionale missino Salvatore Cilia e il pittore esperto d'arte Vittorio Quintavalle, di passaggio a Ragusa in quei mesi, interrogato e perquisito dopo l'omicidio Tumino. Sulle tracce di Cilia e Quintavalle si era subito messo Spampinato, capendo che il contesto della vicenda era quello degli scavi clandestini e del traffico illecito dei reperti archeologici. Il 6 marzo '72 scrisse su L'Ora che l'omicidio dell'ingegnere era collegato, cito le sue parole, "all'oscuro mondo dei contrabbandieri di reperti archeologici, un labirinto inoltrandosi nel quale si finisce per incontrare personaggi legati a doppio filo con ambienti neofascisti. Un contatto, quello dell'ingegnere Tumino, che avrebbe avuto più le caratteristiche di uno scontro che di un incontro. E allora, per qualche motivo, si sarebbe deciso di sopprimerlo. Una tesi che si fonda solo sull'azione, ma che spiegherebbe la perfetta tecnica messa in atto, che a oltre dieci giorni dal delitto vede le indagini praticamente al punto di partenza". Nell'articolo Spampinato scriveva che Delle Chiaie, all'epoca imputato latitante per le bombe all'Altare della Patria, era stato a Ragusa per incontrare Cilia e Quintavalle. Il giornalista legava quei contatti con l'omicidio Tumino. Ed è in quel momento che, forse, politiche occulte iniziano a monitorare il giornalista. Solo oggi scopriamo, infatti, che due giorni dopo la pubblicazione dell'articolo del 6 marzo, si muovono Viminale e Servizi. Perché creare una falsa pista rossa per un povero cristo trovato cadavere in una trazzera ragusana, nel profondo sud? Per distrarre l'attenzione da Delle Chiaie. L'ex terrorista nero, in quegli anni, era ricercato da una parte sana dello Stato e protetto da quella deviata. Giovanni stava sollevando il velo che copriva il segreto del cratere e portava ai neofascisti, che erano venuti in città. È qui che l'organizzazione impiega Roberto Campria, che con Giovanni entra in una sorta di abbraccio mortale fino a quando, improvvisamente, lo uccide costretto dagli assassini di Tumino. Ci si può chiedere: perché organizzare un delitto così arzigogolato coinvolgendo il figlio di un magistrato? Non sarebbe bastato sparare un colpo in testa al cronista, come per Tumino? La risposta è semplice: ammazzare un giornalista "politicizzato" come Giovanni, in una fase di forti tensioni politiche, avrebbe acceso a Ragusa un potentissimo faro da parte di magistratura e opinione pubblica (non solo siciliana), che avrebbe scoperchiato il pentolone e fatto perdere il controllo del territorio all'organizzazione che operava dietro i due delitti. Utilizzare il figlio del giudice sotto ricatto (un dettaglio in più fatto pervenire al Giudice Istruttore dell'epoca e la posizione di Campria in relazione al delitto si sarebbe subito aggravata) permise invece di mettere il tappo che chiuse il caso per 53 anni in una botte di silenzio.

R.V. Nell'Est siciliano, la mafia gestiva silenziosamente nei porti sbarchi clandestini e traffici di tabacchi lavorati. Il neofascismo faceva rumore con bombe e devastazioni tra Catania, Ragusa e Vittoria. Nella Ragusa del 1972 come si intrecciarono queste modalità operative così diverse nel primo tempo dell'intreccio italiano tra mafia e neofascismo?

C.S. La risposta arriva da un documento inedito che ho pubblicato nell'ultima inchiesta. Un'informativa della GdF di Ragusa, rimasta chiusa in un cassetto per 53 anni, aveva intercettato un'organizzazione contrabbandiera internazionale che da Vittoria - con il capo del contrabbando di sigarette Giuseppe Cirasa - aveva come terminale ultimo a Lugano Ettore Cichellero, il più grande contrabbandiere di sigarette, armi e reperti archeologici d'Europa. Il suo nome, anni dopo, emergerà tra quelli legati al servizio segreto parallelo "Anello" o "Noto Servizio", principale struttura della strategia della tensione in Italia. Nel '72, sulle tracce di Cichellero c'è il commissario Luigi Calabresi. Pochi mesi prima di essere ucciso dal commando di Lotta Continua ha una soffiata: scopre, vicino a Trieste, un caveau di armi da destinare agli ordinovisti veneti. Quelle armi erano gestite da Cichellero. Nella stessa organizzazione in contatto con i vittoriesi di Cirasa c'è anche l'olandese Anton Reidel. Nel '72 risultava essere rappresentante di una ditta di tabacchi lavorati esteri, ma quando nel 1986 fu portata in Italia la documentazione sequestrata a Caracas a casa di Delle Chiaie, nella sua agenda c'è il nome di Reidel. L'informativa GdF riporta il fatto che l'olandese, nel 1971, fece parte di una organizzazione contrabbandiera di sigarette italo-francese di 16 persone. Tra queste c'era il calabrese Antonio Scambia, uomo dei Mezzaferro legati alla cosca De Stefano, che nel '70 appoggiò il golpe Borghese. Nel '72 Reidel e Scambia sono in affari coi vittoriesi. Emerge, quindi, che la chiave d'accesso ai traffici dei neofascisti era il contrabbando di sigarette. L'ascensore criminale funzionava così: da varie parti d'Europa Cichellero faceva arrivare sigarette, armi ed esplosivo, che sbarcavano nella Sicilia orientale. Questi venivano pagati pure coi reperti archeologici. Armi e sigarette scendevano e reperti archeologici salivano. Da Lugano venivano immersi nel mercato clandestino che arrivava fino in America. Non solo: a spiegarci questa pista c'è, oggi, un altro verbale di 53 anni fa legato a Roberto Campria. Quando, poco prima di uccidere Spampinato, raccontò la storia della valigetta al maggiore, disse anche di essere stato avvicinato da un insospettabile che gli chiese di distrarre uno sbarco di sigarette del valore di 200 milioni di lire, a fronte di una stecca di 10 milioni pronta per il figlio del giudice. Campria fa mettere nero su bianco che le sigarette si pagavano coi reperti archeologici. Il verbale rimase naturalmente lettera morta, mentre Spampinato continuava a scrivere su L'Ora che armi ed esplosivi che sbarcavano tra Ragusa e Siracusa erano impiegati in atti dimostrativi come la bomba alla sede della CGIL fatta scoppiare la sera del 14 marzo 1972, mentre vi si svolgeva una riunione dei sindacati. Solo per caso la bomba non fece una strage. Il giorno dopo, Spampinato scrisse che l'attentato era la prova di una strategia della tensione in scena tra Ragusa e Siracusa. Anche quell'articolo, oggi preziosissimo, rimase lettera morta. Ci spiega come si attuava l'intreccio tra neofascisti e contrabbandieri.

R.V. Tumino, il cui delitto fu collocato da Spampinato nell'ambito neofascista e dello stragismo post Piazza Fontana, iniziò a trafficare in opere d'arte negli ultimi anni della sua vita o prima? L'ingegnere missino fu complice nel traffico d'arte o vittima dei suoi ingranaggi?

C.S. Entrambe le cose. Tumino, consigliere comunale MSI, conosceva bene quell'ambiente. Non era ricco, non faceva l'ingegnere a tempo pieno. Cercava di sbarcare il lunario come meglio poteva. Iniziò a trafficare i reperti archeologici perché - quando se ne trovava uno pregiato - se ne poteva ricavare molto denaro. I "sigarettari" erano quasi tutti fascisti. Evidentemente voleva trattare per sé l'affare del cratere, ma il mancato accordo con "i soci" complicò tutto e, in qualche modo, firmò la sua condanna a morte. Io penso che il delitto Tumino fu un incidente di percorso dentro quei traffici. Sarebbe stato meglio se non fosse mai avvenuto. Ma ormai la frittata era fatta e bisognava chiudere la bocca al giornalista che stava per scoperchiare il pentolone. I due omicidi potevano mettere a rischio il controllo della provincia "babba". Per questo si cercò di farli passare per delitti comuni scollegati tra loro. E sin da subito una sapiente arma di distrazione di massa cercò di far concentrare l'attenzione su Roberto Campria. Il giochetto ha funzionato per mezzo secolo.

R.V. Su una delle due pistole con cui Campria sparò a Spampinato, la Erme-Werke calibro 7,65, non c'erano impronte digitali. Perché non farla sparire? Secondo te fu lasciata senza impronte per firmare il delitto e lanciare un "messaggio", o il motivo può essere un altro?

C.S. Questo è un mistero. Ma oggi rappresenta uno dei punti cardine dell'istanza presentata in Procura, a Ragusa, da Salvatore Spampinato, che chiede di riaprire le indagini sull'omicidio del fratello. Una pistola senza impronte non è sempre la "prova" di un delitto commesso da qualcuno che utilizza un guanto. Esistono molti falsi negativi al guanto di paraffina. È interessante quello che succede dopo: Salvatore, partendo da quell'elemento, ha fatto fare una perizia di parte al medico legale Giuseppe Iuvara, che anni fa si occupò a Ragusa del caso del piccolo Loris. La consulenza sconfesserebbe l'autopsia fatta fare sul corpo di Spampinato 53 anni fa. Per il modo in cui sono stati esplosi i colpi di pistola, la distanza tra l'assassino (o gli assassini) e la vittima - e "l'effetto sorpresa" che spesso capita in un delitto del genere - il medico legale colloca sulla scena del delitto un terzo. Qualcuno che spara al giornalista impugnando con un guanto la pistola di Campria risultata senza impronte. L'ipotesi di Iuvara si legherebbe con un altro misterioso elemento che emerge dai verbali di allora: le cinque persone che soccorsero Spampinato, per trasportarlo in ospedale agonizzante, videro davanti al carcere una Fiat 850 che osservava la scena e poi sparì senza lasciare traccia. Quell'auto non fu mai cercata dagli inquirenti di allora. Questo elemento è indubbiamente sospetto.

R.V. Due giorni trasformano un sospettato che vuole scagionarsi in un killer. Il 25 ottobre 1972, in Procura, Campria chiede di far interrogare amici e fidanzata affinché confermino il suo alibi per il delitto Tumino. Ma il 27 uccide Spampinato. Non è la prova che un fatto improvviso innescò l'accelerazione che sfociò in tragedia?

C.S. È molto probabile. La situazione subì un'accelerazione improvvisa che portò all'omicidio di Giovanni. Noi conosciamo solo la versione di Campria. Raccontò agli inquirenti che era preoccupato di essere indiziato quale autore del delitto Tumino dagli articoli di Spampinato. Lui aveva un alibi per la sera del delitto Tumino: era a casa della fidanzata a guardare il Festival di Sanremo. Lo disse anche nella conferenza stampa del 2 agosto 1972. Spampinato era presente e ne scrisse su L'Ora, scagionandolo davanti all'opinione pubblica. Campria non aveva nessun motivo per uccidere Spampinato. Ma poi raccontò di essere preoccupato del fatto che la famiglia della sua ragazza (che nel frattempo lo aveva lasciato, ndr) non lo confermasse. Per questo, due giorni prima del delitto, mise a verbale la richiesta di far interrogare una coppia di loro amici, che la sera del 25 febbraio (quando fu ucciso Tumino) non erano nemmeno presenti a casa della fidanzata. Ma succede qualcosa nelle ultime 48 ore in cui vanno in scena i contatti tra Roberto e Giovanni. Non sappiamo cosa il figlio del giudice raccontò al giornalista o se lo mise al corrente degli episodi della valigetta e dello sbarco di sigarette che raccontò pochi giorni prima al Maggiore. Nell'inchiesta ho valorizzato un elemento mai emerso: il giorno prima di essere ucciso Spampinato scrive un articolo che denuncia una bomba fatta esplodere come avvertimento a Vittoria, contro un sindacalista del mercato ortofrutticolo che era controllato da uomini dell'organizzazione contrabbandiera. In quell'ultimo articolo Giovanni parlava, per la prima volta, di "avvertimento mafioso". Ma Spampinato aveva anche raccolto diverse confidenze da Campria sull'omicidio Tumino. Non sappiamo se la situazione precipitò per qualcosa che Roberto gli disse mentre si trovavano in macchina quella sera tardi, usciti insieme su invito insistente del suo assassino per parlare dell'omicidio Tumino o se quell'uscita richiesta insistentemente da Campria, cosa che a me appare più probabile, fu premeditata dal figlio del giudice e dagli assassini di Tumino. Un omicidio commesso davanti a un carcere è alquanto anomalo. A meno che non si interpreti quella scelta come il luogo scelto da Roberto per andare a costituirsi e mettersi subito in salvo.

R.V. Campria era un testimone scomodo e pericoloso. Serbava dei segreti sul delitto Tumino e negli 8 mesi che separarono le morti del missino e del cronista sembrò più volte pronto a svelare fatti sul cratere greco. Perché, in quegli 8 mesi, i registi dietro le quinte non pensarono di eliminare Campria?

C.S. Rileggendo le carte del '72 alla luce del movente del cratere greco emerso in quell'indagine di 10 anni dopo, rimasta segreta fino a quando ne ho scritto nel 2023, sembra che Roberto Campria si trovò varie volte sul punto di rivelare elementi sul cratere greco. La prima fu il giorno in cui fu trovato il cadavere di Tumino: interrogato da un carabiniere, parlò di un pezzo di scavo per cui l'ingegnere andò a Pietraperzia, ma che non aveva acquistato. La seconda alcuni giorni dopo, mentre si trovava con parenti di Tumino in uno dei magazzini dell'ingegnere. Disse: «Si può arrivare a uccidere anche per un singolo pezzo». La terza fu una confidenza fatta a Spampinato, secondo cui - prima del delitto - Campria andò con l'ingegnere «a scavare a Pietraperzia in compagnia di una comitiva di tombaroli notoriamente pregiudicati». La quarta, la più clamorosa, fu quella in cui raccontò al Maggiore che le sigarette si pagavano coi reperti archeologici. Ma c'è anche un quinto episodio che sembra alludere al cratere. Riguarda una domanda che l'allora procuratore capo di Ragusa Francesco Puglisi fece al piccolo Marco, figlio di Tumino, subito dopo l'omicidio del padre, chiedendogli se l'ingegnere si occupava dei "vasi greci". Marco rispose che i vasi greci erano affari del Campisi, nome con cui Tumino chiamava l'amico trafficante Giovanni Cutrone. Al netto di quell'episodio, nelle migliaia di pagine del fascicolo Tumino non si fece mai menzione a "reperti archeologici" o "scavi clandestini", ma solo a "oggetti d'arte" e "antiquariato". Campria, dopo l'omicidio di Giovanni, negò sempre di aver avuto contatti con quegli ambienti equivoci. Io penso che l'organizzazione legata al delitto Tumino scelse di utilizzare Campria piuttosto che eliminarlo. Gli serviva per  vari motivi: era implicato nel delitto Tumino nel senso che conosceva tutto del caso. Era un insospettabile, figlio di un potente magistrato. Loro lo tenevano in pugno utilizzandolo come ariete per i loro traffici. Lui cercava una via d'uscita, ma era compromesso: non ne sarebbe uscito vivo se avesse denunciato l'organizzazione. È interessante il fatto che la storia della valigetta e dello sbarco di sigarette emersero durante il processo in Corte d'Assise a Siracusa per l'omicidio del giornalista. In quel caso, con un colpo da maestro, la difesa di Campria utilizzò le due vicende a favore dell'assassino sostenendo che gli articoli di Spampinato in cui lo indiziava del delitto Tumino gli avevano rovinato la reputazione, al punto che personaggi ambigui lo avevano avvicinato per chiedergli di fare loschi traffici. Quella linea difensiva in sede processuale fu un grosso punto a favore del killer, che in primo grado si fece riconoscere le attenuanti della provocazione di Spampinato, condannandolo a 21 anni per omicidio semplice. La provocazione cadde poi in Appello ma, paradossalmente, la sentenza di secondo riconobbe le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti e la pena fu ridotta di un terzo: 14 anni. Alla fine Campria scontò, con la buona condotta, solo 9 anni di pena al manicomio giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto; uscì nei primi anni '80 e non parlò mai più di quella storia.

R.V. Hai acceso i riflettori sulla poco nota AIPE, Agenzia legata al Viminale che ha depistato le indagini sul delitto Tumino con la pista rossa: quale strategia, orientamento politico e rete di potere la caratterizzavano?

C.S. L'AIPE era un'agenzia di stampa che aveva sede a Roma e agiva come "buca delle lettere" delle veline dei vari Servizi e della Difesa. Nel 1972 serviva anche come ariete per attaccare gli ambienti delle sinistre. Quel documento ci dice chiaramente che una parte deviata dello Stato si attivò subito sull'omicidio Tumino, fabbricando una falsa pista rossa 48 ore dopo che Spampinato aveva collegato nel suo articolo l'omicidio dell'ingegnere con la presenza di Delle Chiaie a Ragusa. Ma ci dice anche un'altra cosa, aprendo uno scenario inedito e inquietante: l'informativa su Spampinato arriva al ministero della Squadra politica della Questura di Ragusa. L'AIPE scrive che le indagini sulla pista rossa erano partite proprio dalla polizia politica della provincia "babba". Era una bugia o la verità? Quale ruolo giocò l'Ufficio politico della Questura in tutta questa vicenda?

R.V. Il 5 aprile 1972 Spampinato scrisse un Memoriale esplosivo per il PCI di Ragusa; il padre Giuseppe era uno dei dirigenti. Giovanni segnalò che «elementi neofascisti» in sinergia con segmenti dello Stato, stavano preparando «qualcosa di grosso a Ragusa o a Siracusa, forse un attentato criminale di vaste proporzioni» Il PCI come rispose? Il fratello Salvatore dice che del Memoriale «non ne venne informato nemmeno mio padre». Cosa può essere accaduto?

C.S. Salvatore dice la verità: quel documento rimase lettera morta fino a quando Giovanni fu ucciso. E anche dopo l'omicidio non fu mai valorizzato neanche dal PCI, come invece avrebbe dovuto. Ma c'è di più: nel Memoriale, Giovanni scrive un dettaglio che adesso, alla luce dei documenti dei Servizi, assume un altro valore: Spampinato dice di essere controllato, seguito e intercettato dall'Ufficio politico della Squadra politica di Ragusa. E fa il nome di un agente della Squadra che dal 14 marzo - quando lui scrisse dello scoppio della bomba alla sede della CGIL a Siracusa - lo monitorava. Se ne era accorto proprio a Siracusa, in un appuntamento di Soccorso rosso, il 31 marzo. Il giornalista scrive che Delle Chiaie era stato a Ragusa, che l'omicidio Tumino era legato ad ambienti politici di destra, che la bomba alla sede della CGIL era nera e la polizia indagava a sinistra. Muove un'accusa precisa: la polizia politica di Ragusa avrebbe facilitato la realizzazione di atti intimidatori organizzati dall'estrema destra, le cui responsabilità devono essere scaricate a sinistra. Si spinge a dire che, forse, si stava preparando una sorta di provocazione sulla sua persona, perché negli ultimi mesi aveva denunciato una strategia della tensione tra Ragusa e Siracusa e qualcuno - a destra - poteva sospettare che il giornalista sapesse di più rispetto a ciò che aveva scritto. Queste parole messe nero su bianco oggi cristallizzano l'indizio, pesantissimo, di una chiara pista politico-eversiva dietro la sua morte.

R.V. Gli inediti emersi nella tua inchiesta sono finiti in un'istanza presentata in Procura da Salvatore Spampinato: tramite l'avvocato Lucia Gulino ha chiesto la riapertura delle indagini. Quale iter giudiziario si sta profilando, in parallelo con le indagini ragusane del pm Fornasier sul delitto Tumino?

C.S. Dipende da molti fattori. Le indagini sull'omicidio Tumino, archiviato a carico di ignoti nel '75, sono state aperte dal pubblico ministero nel 2019. Sappiamo che si concentrano sulla pista nera e, ad oggi, non risulta siano state archiviate. Ma di quel fascicolo si sa pochissimo, solo che valorizza la storia del cratere. Un nuovo testimone, il fotografo del barocco ragusano Peppino Leone (venuto a mancare ad aprile dell'anno scorso, ndr) ha confermato l'esistenza del vaso greco, che proprio Tumino gli avrebbe mostrato per farselo valutare (all'epoca Leone fotografava i reperti per la Soprintendenza di Ragusa) poche settimane, forse un mese, prima di essere ucciso. La Procura ha sentito molte persone ancora in vita. Per tenere il fascicolo ancora in piedi è chiaro che abbia iscritto qualcuno per concorso in omicidio, l'unico reato per cui oggi si può procedere. L'indagine va avanti nel più stretto riserbo. Più complicato sarebbe riaprire l'indagine su Giovanni Spampinato. In questo caso, per la verità giudiziaria di allora c'è un assassino con sentenza passata in giudicato. L'iter giudiziario dovrebbe prevedere una raccolta di elementi da parte della Procura da portare all'attenzione del Giudice per le indagini preliminari. Ma ci vogliono elementi su persone ancora vive che possano essere indagate.

R.V. Gli elementi nuovi che hai portato alla luce sul caso dimostrano che in Italia - dove querele temerarie e autocensure fioccano e la libertà di stampa latita - è ancora possibile fare giornalismo investigativo. Quale messaggio vuoi inviare ai giovani che si avvicinano a questo lavoro?

C.S. Penso che l'obiettivo di un'inchiesta giornalistica non è scoprire documenti, ma comprenderli. Il giornalista è un mezzo tra un fatto e la gente. Deve capire, verificare e poi scrivere separando sempre il fatto dalle proprie opinioni e restare equidistante dalla notizia e dal lettore. Noi giornalisti, quando troviamo una notizia di pubblico interesse, abbiamo il dovere di scriverla perché la gente ha il diritto di conoscerla. L'importante è lavorare senza aizzare le folle, senza puntare il dito contro qualcuno e senza che chi legge attivi modalità da "tribunale del popolo". Penso che il fine ultimo di chi fa il mio mestiere sia quello di procedere coltivando il dubbio.

Di Roberto Valtolina

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