04 Agosto 2025
Fonte: LaPresse
Il confronto con la famosa Giornata Mondiale della Gioventù di Giovanni Paolo II. Dall’archivio del Corriere un commento di Indro Montanelli, quasi a voler dire che è cambiato poco e nulla nelle inquietudini dei giovani. E poi la freschezza del papa americano, che saluta tutto il tempo i giovani e dimostra una agilità fisica bene augurante. Infine loro, coloro che Wojtyla ribattezzò le “sentinelle del mattino”, quella potente marea adolescenziale e giovanile che si affacciava nel nuovo millennio.
Dopo venticinque anni sappiamo che nella notte ci siamo ancora dentro e la veglia non è finita. Ci sono degli intervalli che alleviano la fatica, ma troppe sono le sfide di cui sappiamo poco e molte le inquietudini che ci arrovellano. Eppure loro, a dispetto della crisi che pur la Chiesa sta vivendo (soprattutto in Occidente), sono arrivati nella Capitale - che ha retto anche questa prova - con zaini, chitarre, bandiere, volti sorridenti come a voler allungare la sosta nella notte del mondo.
Sono potenti i giovani che la Chiesa e papa Leone XIV hanno riunito ancora una volta nella piana di Tor Vergata. E meritano le più belle parole, non una in meno. Forse a compensare le più brutte o, meglio, le più severe usate in tutti gli altri periodi degli ultimi anni: i giovani che non vogliono lavorare, i giovani che non se ne vanno di casa, i giovani che non mollano i cellulari e che vivono sui social.
Dunque? Dunque… hanno tutti ragione com’è giusto dire in questi casi anche a rischio di apparire pilateschi.
I Papa Boys sono santi e “dannati” assieme, hanno fame di spiritualità e sete di modernità social, meno disposti al sacrificio delle generazioni dei genitori ma non così fessi da bighellonare tutto il giorno. Insomma, i Papa Boys non sono dei marziani atterrati a Roma con la navicella “Giubileo2025”; sono i nostri ragazzi cui la Chiesa evidentemente sa ancora dire e dare qualcosa di più, altrimenti questo flusso che arriva da ogni angolo del mondo non sarebbe arrivato sotto la Croce. Giovani ancora pregni di Francesco, con le orecchie piene del ricordo di Wojtyla e curiosi verso Leone.
Ma cosa pensano questi ragazzi? Che mondo desiderano e quale pianeta sentono di abitare? Confesso che non farei cambio con nessuno di loro, che pure hanno l’età dei miei figli: non vorrei avere vent’anni; mi basta star loro accanto. Mi fa paura questa idea di modernità dove il digitale si insinua come la peggiore delle tentazioni, quella di sostituirsi all’uomo. È la solita hybris, è il solito Diavolo che pensa di essere Dio. Intelligenza artificiale, robotizzazione, algoritmi… E poi l’inganno di un controllo sempre più asfissiante e totalizzante spacciato per libertà.
La libertà per esempio di smarcarsi dal lavoro: le macchine si sostituiranno alle persone così che le persone avranno tempo libero. Che fesseria colossale! Come se nel lavoro non ci fossero delle dinamiche sociali evolutive.
Se i ragazzi non capiscono il valore del lavoro è perché l’inganno è andato a dama: dalla de-responsabilizzazione ad un reddito percepito (come obolo) dallo Stato che a quel punto sarà un padrone cui dovrai sempre rispondere anche se quel che ti comanda non ti piace e ti vorresti ribellare. Non avrai uno stipendio ma il mondo digitale non ti farà mancare casa, macchina, bici e quant’altro in versione “sharing”.
E che vogliamo dire dell’aria pesante che soffia dal mondo: qualcuno gli aveva fatto credere che avrebbero vissuto in un mondo al riparo dalle guerre, dalla violenza e dalla minaccia nucleare; un mondo senza confini, globale e globalizzato. Come il vestire, come il mangiare e come ogni cosa si possa sottrarre all’identità.
Eppure, nonostante tutto questo, i Papa Boys ci sono. Arrivano da ogni parte del mondo. Cantano, sorridono, pregano (e sicuramente peccano). Conservano una speranza che evidentemente un antico e solido messaggio ancora trasmette: la fede. La fede in un mondo che sembra averla smarrita, svuotata, relativizzata. Questa fede muove domande, interroga ancora sulle domande fondamentali, che riguardano l’uomo e il creato. Papa Leone è un matematico e conosce benissimo le insidie della digitalizzazione: forse è il dono che arriva in dote proprio a questi giovani affinché sappiano strutturarsi nella competizione con le macchine.
di Gianluigi Paragone
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