20 Agosto 2023
Passano le ore da quegli attimi di follia che nella palazzina degradata di via Costamezzana 15 a Santa Margherita Ligure, in provincia di Genova, la sera di sabato 19 agosto hanno visto spirare il 35enne Alessio Grana, pugnalato dal vicino di casa Sergio Frisinghelli a seguito di una lite condominiale. Passano le ore, ed i contorni della figura di Grana si fanno sempre più definiti. Dopo le foto in esclusiva della casa dove l'uomo viveva, rapito dal disagio, Il Giornale d'Italia ha fatto luce su un altro apostrofo nella sua vita apparentemente al margine.
Si scopre all'improvviso che Grana avesse un figlio, un figlio per il quale aveva però perso la patria potestà. Oggi 15enne, ed il suo nome spunta fuori dalla nebbia di una vita tormentata grazie ad una lettera manoscritta inviata l'11 marzo del 2016 dal padre al maresciallo dei Carabinieri di Santa Margherita Ligure. Il motivo del testo - scritto a mano "in brutta" copia e poi, sempre a mano, ricopiato "in bella" - viene esposto nella prima riga: "Il sottoscritto Grana Alessio con questa lettera intende far sentire a pieno la sua voce, urlando contro lo Stato italiano e alle sue cosiddette istituzioni".
Seguono molte frasi, dalle quale traspare il senso di impotenza, forse una sindrome del perseguitato, certamente la disperazione che Grana percepiva essere conseguenza di un'ingiustizia contro di lui commessa. Non parla dei reati commessi tra il 2008 ed il 2009, non parla della galera fatta, della guida in stato d'ebrezza, dell'arma trovatagli addosso, del danneggiamento di edifici pubblici, della resistenza a pubblico ufficiale, delle lesioni personali. Parla del figlio, che nel 2016 ha 8 anni, del fatto che non può più vederlo dal 2014. In quell'anno aveva scritto un'altra lettera, sempre a mano, chiedendo fosse ritirata la sospensione della patria potestà. Non aveva funzionato.
Secondo la ricostruzione dello stesso Grana, dopo la separazione dalla madre del bimbo, lui avrebbe continuato a vederlo saltuariamente (in accordo con la donna), fino al 2014. Scrive: "2 anni fa saltò fuori che vidi mio figlio (ndr. sembrerebbe che intenda "senza accordarsi prima con l'ex"), così partì un altro provvedimento contro di me e (per?) gli errori da parte della madre".
Si esprime con furia contro gli assistenti sociali: "Intendo far causa allo Stato e chi ricopre certe competenze, i cosiddetti assistenti sociali. Ricopre si fa per dire (...) sono veramente schifato da questi personaggi e non solo, voglio fargli causa alle stesse persone delle istituzioni che han pensato bene di appropriarsi di mio figlio affidandolo ad un'altra famiglia". Altre accuse alle istituzioni, a suo dire ree di additarlo come tossico ed alcolizzato.
Grana, nella sua lettera al Maresciallo sembra cercare un aiuto, in preda alla disperazione esprime senza filtri la grammatica di una vita marginale, si direbbe implorare perchè qualcuno gli creda: "Non sono pazzo, non sono disagiato e nemmeno bipolare e tanto meno un tossico o un alcolizzato. Sono un ragazzo con le palle e, portando alla luce certi fatti spero qualcuno possa capire, un essere umano".
Parla della sua situazione economica, di come viva di lavoretti ("3/4 mesi verso i contributi") e del ticket una tantum che gli passa il comune (50€). Esprime, in conclusione, grande rabbia. Si considera vittima di un sistema opprimente, che accusa di avergli portato via il figlio ("Il mio erede (...) la creatura che ho riconosciuto") nonostante lui sia uno che "lavora duro da quando ha 14 anni". Una storia, quella di quest'uomo, che secca la gola, per la crudezza, e la distanza di chi la legge. Una storia di degrado, di cui, sei anni più tardi - sei anni per i quali è difficile immaginare la memoria - non restano altro che schizzi di sangue, sparpagliati sui muri di una palazzina popolare, quel "tetto comunale sopra la testa" che, ancora nella lettera del 2016 al maresciallo dei Carabinieri, così descriveva: "Guadagnato niente po po di meno che con il mio sudore, la mia fame, i miei bruciori di stomaco e la mia storia".
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