17 Luglio 2023
Autore: Ted Aytan
È la prima volta che accade in Italia, ma in molti ritengono che il caso del 53enne di Erice riconosciuto come donna dal tribunale di Trapani, senza neanche aver fatto operazioni chirurgiche o terapie ormonali, abbia appena aperto una porta che molto difficilmente potrà essere chiusa.
L’uomo di 53 anni è, stando a quanto lui stesso afferma, da 20 anni in lotta per essere riconosciuto come donna. Nessuna operazione chirurgica, da parte sua, né terapie ormonali: la semplice volontà di essere una donna, ed essere considerato tale, è stata sufficiente per il Tribunale di Trapani per autorizzare il cambio di nome e l’identità di genere all’anagrafe. Lo stato, in poche parole, considera il 53enne, che si chiama ora Emanuela, una donna a tutti gli effetti.
A spiegare la decisione del Tribunale, l’avvocato Marcello Mione: “Il principio espresso dalla Cassazione è che l'intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali non incide sulla fondatezza della richiesta di rettifica anagrafica, con la conseguenza che, nei casi in cui l'identità di genere sia frutto di un processo individuale serio e univoco, l'organo sessuale primario non determina necessariamente la percezione di sé”.
Il transgender ha commentato: “Non avere l'organo sessuale femminile non compromette il modo in cui mi percepisco, le mie sembianze non offuscano la mia identità femminile”.
Non mancano ovviamente numerose critiche, con più di un osservatore che sottolinea la pericolosità di lasciare la scelta del proprio genere ad una semplice volontà individuale. Moltissimi i dubbi che fioriscono dalla vicenda, dal più banale, ma non per questo meno importante, riguardo alla libertà di accesso di un uomo biologico di 53 anni, dichiarato ufficialmente donna solo dalla decisione di un tribunale, ai luoghi riservati al genere femminile (dai bagni pubblici agli spogliatoi), fino a domande più ironiche, eppure reali, come quella di quanti si chiedono se Emanuela, ora, goda potenzialmente del diritto al congedo di maternità ma non, non più, di quello di paternità.
Oltre a queste domande, infine, molti si chiedono quali potrebbero essere le conseguenze per l’apparato sociale di una realtà nella quale gli elementi di definizione degli individui siano frutto della volontà personale, e quindi non riconoscibili né comprensibili dall’esperienza dell’altro. Difficile, commenta qualcuno, per un’entità collettiva (che può tanto essere lo stato quanto la comunità) determinare la serietà e l’univocità di un processo di identificazione che, lo stesso avvocato Mione lo ammette, è per sua natura individuale.
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