19 Giugno 2023
I balordi dell’impresa sociale volta a fare soldi ammazzando gente a caso, travolta dal bolide guidato abusivamente, hanno tolto alcuni video compromettenti prima di congelare l’intrapresa in sé. Hanno fatto bene, sono cresciuti i seguaci, è cresciuto il traffico social e loro ci hanno guadagnato altre migliaia di euro. Forse ha ragione chi dice che quello del “creatore” digitale è un duro lavoro, anche se consiste nel mandare al Creatore gli altri. Un duro lavoro e siamo solo all’inizio: spuntano già le fidanzate, del sodalizio, della cosca giovanile, che, esattamente come quell’altra, la fidanzata del gruppetto pop Maneskin, si mette in mezzo e dice: ah, querelo tutti. Invece di andarsi a nascondere raccattano visibilità minacciando di spolpare a caso. Sempre il caro vecchio soldo che muove il mondo, che legittima tutto. Si apre, voglio dire, un periodo impegnativo per i cialtroni che hanno trucidato Manuel, 5 anni, per il gusto di una “sfida estrema”: centrare macchine così come vien viene. Intanto la commedia del dolore: sono straziato, sono vicino alla famiglia. Anche se sono andati a filmare lo scempio, fatto da loro, e ridevano e dicevano: ma sì, un pacco di soldi ai genitori e tutto si sistema. Poi, sempre in favore di media, la dissociazione: c’ero ma non c’ero, ero lì ma non guidavo, sino al fatidico “gliel’avevo detto di andar piano”. Ancora, la difesa, sul vittimista virtuoso, del posto di lavoro: noi queste cose le facciamo per non pesare sulla famiglia, siamo giovani che intraprendono, non ci divertiamo affatto. Come quegli o quelle influencer, ma più quelle perché i maschi di maschile non hanno più niente, che si fanno fare intervistine e servizi così intitolati: la dura giornata del creatore digitale, e li vedi che masturbano cagnolini, si truccano, si scelgono le pose, partono per Dubai, tornano, passeggiano in corso Como, sorseggiano i cocktail, s’imbucano agli eventi, s’attaccano ai social come protesi di protesi.
No, non si divertivano i quattro o cinque, lasciamola pure fuori la fidanzata di, se no se ne adonta, se no querela, a fare la carambola umana, loro lo facevano come i pendolari che la mattina vanno in fabbrica sul regionale di merda e tornano a sera fatta per infilarsi in un termitaio di disperati come loro. Ma ci sono ancora simili storie proletarie, da secolo passato? Non è che ormai sono tutti creatori, tutti digitali, dediti ai comportamenti più immondi? Il periodo di fuoco continua: adesso è il momento del patetismo, ritirarsi in pausa per farsi cercare, tornare per aumentare i profitti, sentite come annunciano questi quattro ritardati culturali e morali la momentanea cessazione delle attività dopo una settimana passata a raccattare gli ultimi spiccioli: "I TheBorderline esprimono alla famiglia il massimo, sincero e più profondo dolore. Quanto accaduto ha lasciato tutti segnati con una profonda ferita, nulla potrà mai più essere come prima. L'idea di TheBorderline era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo TheBorderline interrompe ogni attività con quest'ultimo messaggio. Il nostro pensiero è solo per Manuel". Non è una lettera personale, è un comunicato che gli avvocati hanno stilato in vece degli assistiti, tutti analfabeti, con cuore di avvocato, una faccenda aziendale. Neanche i nomi, l’enfasi sull’attività social, TheBorderline, tipo brand o band, TheBorderline come i Maneskin, ripetuti tre volte in due righe per chiare induzioni pubblicitarie, il linguaggio asettico, fasullo per non dire: ci stavamo divertendo un sacco delinquendo anche perché facevamo i soldi matti, che sfiga, ma come continuare per ora se la polizia ci sta addosso? E i commenti, subito: nooo, non potete, siete fantastici, bastardi vi hanno ammazzato, come faremo senza di voi. Ma tornano.
Fatto questo, bisognerà decidere come riciclarsi pubblicamente, se in attivisti climatici, coscienze giovanili, gretiani o figli dell’amore eterno; scelte complicate, non si può sbagliare una mossa, è in gioco la fama durevole, fortuna soccorrono le mamme coraggio, anche loro alla tivù del pomeriggio, a scandire le frasi fatidiche: sono i nostri figli, lasciateli in pace. Come dicevano le madri di quelli che hanno ammazzato lentamente Antonio Cosimo Stano, il pensionato invalido di Manduria, o gli altri che lanciavano sassi dai cavalcavia. Tutti hanno una mamma, non è vero? E tutti hanno un papà, magari non sempre come quello del pilota cannarolo e omicida, che si portava il pargolo a correre per Roma come in un filmetto di Antonio Albanese, occhiali scuri, ciuffo ritinto e aura da generone, ahò io conosco er presidente. Er presidente, tra un nastro e una scolaresca, potrebbe pure scomodarsi e dire: io non voglio avere a che fare con simili soggetti. Invece tace lui, tace la politica che vola per cieli alti, cieli europei, e tace tutto sommato la pubblica opinione, stanca, sfibrata, rassegnata. A parte i sostenitori degli assassini che poi sono loro stessi dietro mentite spoglie o i complici. A forza di navigare nella merda non la sentiamo più e neppure diciamo “non fate l’onda non fate l’onda” come quei personaggi delle Sturmtruppen. Curioso però: nella lunga fase eversiva delle istituzioni, nel golpe sanitario a cavallo tra due governi, Conte e Draghi, si sprecavano le dimostrazioni di sensibilità sociale, gli inviti, anche concitati, anche rabbiosi, a star chiusi, mascherati, ipervaccinati, controllati, impediti, per amor del prossimo; gli stessi impulsi deliranti e ansiogeni che si registrano per “il pianeta”, la cui imminente estinzione è una colossale farsa sempre più evidente. Ma la propalano. Bene, per un bambino ammazzato per gioco quelle stesse sentinelle, la pubblica opinione al completo fa silenzio, fa finta di niente, non la riguarda, se la sbrigassero tra loro. Sì, d’accordo, il cordoglio infantile degli orsacchiotti e dei pennarelli, ma quella è pura coreografia, non è sofferenza, non è empatia per un bambino vissuto 5 anni e morto per niente. Non c’è nessuna voglia di sentire davvero. Di soffrire davvero. Nessuno che dica qualcosa sul serio. Anzi vengono a dire al cronista che è esagerato, come se una storia di questo genere lasciasse margini alla discrezione, come se fosse possibile edulcorarne la mostruosità totale, generale, abissale. Ogni giorno che passa sul cadavere di Manuel vengono fuori nuovi orrori, nuove vergogne, e sempre nuova disumanità. Le clip per prendere in giro la madre sconvolta. L’odio verso il padre impazzito di dolore, l'indifferenza quando non fastidio per la piccola vittima. L’esaltazione dei balordi. Il massimo della saggezza affidato ad altri come loro che furbescamente si tirano fuori e spremono acqua calda come la seguente: “Il problema principale è che ci sono personaggi che si ritrovano ad avere un potere enorme. Con un video puoi arrivare a tutto il mondo”. E questo chi sarebbe? Un commesso? Un garzone? No, è “uno con 145mila follower”, quindi il suo fiato è oro frullato. E poi il vantarsi millantato da cautela, da scrupolo di coscienza: “Ah, noi influencer abbiamo un potere enorme, possiamo tutto”. Il sovrumanismo da grandi magazzini che finisce nel lanciare cosmetici, smalti, o la paccottiglia del corpo, culoni, tettone, ascelle non depilate. “Una sì e una no”, come nel film di Verdone. Ma qui siamo alla banalità di tutto, del commercio, del male, del moralismo, dell’analfabetismo. Ha ragione Federico Punzi, direttore di Atlantico: quello di Casal Palocco è stato un deliberato atto criminale per il quale solo la galera può esserci. Ma di galera non parla nessuno, la magistratura non osa, se mai dovesse decidersi vedrete il casino, i garantisti furibondi, scatenati. Per i giovani assassini, mica per il piccolo Manuel. Hanno spiegato a Matteo di Pietro, il pilota: se ti mandano dentro fai il botto, diventi un martire, è come centrare il jackpot e probabilmente ti candideranno, sarai il nuovo Tortora. Hanno ragione, finirà proprio così.
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