04 Marzo 2023
Maurizio Dalloccho, fonte: imagoeconomica
Assolti sia Maurizio Dallocchio che Leonardo Zongoli. È questa la decisione della Corte dei Conti che assolve sia il primo, dell'Università Bocconi di Milano che il secondo, ex consigliere del CdA e direttore generale dell'Enpam. Un processo che dura da 11 anni e che nell'ultima sentenza scagiona i due. Enpam è condannata a pagare 30.000,00 euro di spese legali oltre oneri fiscali e previdenziali e spese generali. Questa la decisione della Corte dei Conti che ha riformato la sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, la quale aveva "riconosciuto la responsabilità del prof. Maurizio Dallocchio e del dott. Leonardo Zongoli per aver fatto ingiustamente sostenere alla Fondazione Ente Nazionale Previdenziale e Assistenziale dei Medici e degli Odontoiatri (ENPAM) le spese per la “ristrutturazione” dei titoli finanziari derivati (c.d. CDO) acquistati dall’Ente negli anni dal 2004 al 2007".
Nei giudizi in materia di responsabilità iscritti al n.59164 del Registro di segreteria, promossi da DALLOCCHIO Maurizio (c.f. DLLMRZ58D12F205U), nato a Milano il 12.04.1958 ed ivi residente, rappresentato e difeso, giusta procura agli atti, dall’avv. prof. Guido Doria (pec: guido.doria@brescia.pecavvocati.it) del Foro di Brescia, dall’avv. prof. Vincenzo Mariconda (pec: avvvincenzomariconda@milano.pecavvocati.it) del Foro di Milano, dall’avv. Francesca Pace del Foro di Milano (pec: francesca.pace@milano.pecavvocati.it), dall’avv. prof. Antonio Palmieri (pec: antonuopalmieri@ordineavvocatiroma.org) del Foro di Roma, dall’avv. prof. Aldo Travi (pec:aldo.travi@busto.pecavvocati.it) del Foro di Busto Arstizio e dall’avv. Manuela Piazza (pec: manuela.piazza@milano.pecavvocati.it) del Foro di Milano, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via AndreaVesalio, n.22, presso lo studio dell’avv. prof. Antonio Palmieri appellante principale ZONGOLI Leonardo (c.f. ZNGLRD41H28I674E), nato a Sesana (TS) e residente a Roma, rappresentato e difeso, giusta procura agli atti, dall’avv. Salvatore Mileto (pec: salvatore mileto@ordineavvocatiroma.org) del Foro di Roma ed elettivamente domiciliato presso lo studio del difensore, in Roma, alla via degli Scipioni, n.268/a appellante incidentale contro
- Procura Generale della Corte dei conti;
- Procura regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio e nei confronti di Fondazione Ente Nazionale Previdenziale e Assistenziale dei Medici e degli Odontoiatri – ENPAM (c.f. 80015110580), con sede in Roma, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, giusta procura agli atti, dall’avv. prof. Angelo Piazza (pec: angelo.piazza@legalmail.it) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma, alla piazza San Bernardo, n.101 appellato/interveniente in primo grado avverso e per la riforma della sentenza n. 644/2021 resa dalla Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio in data 29 luglio 2021 e notificata in data 6 agosto 2021. Visti gli atti di appello;
Esaminati gli ulteriori atti e documenti del giudizio;
Uditi, alla pubblica udienza del 20 gennaio 2023, con l’assistenza del segretario dott.ssa Maria Vittoria Zotta, il relatore consigliere Carmela de Gennaro, gli avv.ti Aldo Travi e Vincenzo Mariconda per l’appellante principale, l’avv. Salvatore Mileto per l’appellante incidentale, l’avv. Annunziata Abbinente per la parte interveniente e il V.P.G. Marco Smiroldo per la Procura generale, come da verbale d’udienza
Con la sentenza n.644/2021, la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio ha riconosciuto la responsabilità del prof. Maurizio Dallocchio e del dott. Leonardo Zongoli per aver fatto ingiustamente sostenere alla Fondazione Ente Nazionale Previdenziale e Assistenziale dei Medici e degli Odontoiatri (ENPAM) le spese per la “ristrutturazione” dei titoli finanziari derivati (c.d. CDO) acquistati dall’Ente negli anni dal 2004 al 2007, condannandoli, in via solidale, alla refusione della somma complessiva di euro 39.479.541,60 (da intendersi comprensiva della rivalutazione), oltre gli interessi legali e le spese di giudizio.
La sentenza ha disposto, inoltre, che, con esclusivo effetto nei rapporti interni rimanesse a carico del prof. Dallocchio la somma di euro 23.687.724, 86 e a carico del dott. Zongoli la minore somma di euro 15.791.816,64.
Secondo la prospettazione accusatoria, accolta dal Giudice di primo grado, il prof. Dallocchio ed il dott. Zongoli, nella rispettiva qualità, all’epoca dei fatti, di consigliere del Consiglio di Amministrazione (il primo) e di Direttore generale dell’ENPAM fino al 2005, nonché di consulente esterno fino al 2007 (il secondo), avrebbero indotto in errore i componenti del Consiglio di Amministrazione dell’Ente previdenziale, convincendoli ad investire, negli anni dal 2004 al 2007, parte consistente del capitale sociale in una serie di obbligazioni strutturate, le cosiddette Collateralized Debt Obligation (CDO), senza rappresentare agli stessi i rischi correlati a tali titoli di debito. Tale acquisto, peraltro, attesa la ritenuta rilevante rischiosità dei titoli, sarebbe stato effettuato in violazione dello Statuto dell’Ente e dei criteri stabiliti dallo stesso C.d.A. in materia di investimenti mobiliari.
Detto rischio si sarebbe, poi, concretizzato nel periodo della crisi finanziaria degli anni 2007-2008, con il pericolo di una significativa diminuzione del valore complessivo del portafoglio dei CDO, tanto che, nel 2010-2011, l’Ente previdenziale ha attuato una complessa operazione di ristrutturazione dei menzionati strumenti finanziari derivati, proprio al fine di evitare il rischio di perdite del capitale investito.
Ai fini della citata operazione di ristrutturazione, l’Ente ha sostenuto ingenti costi, pari a complessivi euro 65.799.236,00, rappresentanti il danno contestato dalla Procura regionale nell’atto di citazione, e ripartiti come segue:
- euro 43.678.532,00 a titolo di commissioni liquidate agli advisors per i titoli CDO;
- euro 761.109,38 a titolo di spese legali per la rinegoziazione dei titoli CDO;
- euro 3.148.985,82 a titolo di spese legali inerenti alle azioni di rivalsa nei confronti delle banche emittenti i titoli CDO;
- euro 17.590.641,74 a titolo di minusvalenza realizzata in bilancio a seguito della dismissione dei titoli Safir e del titolo Anthtracite;
- euro 619.967,06 a titolo di spese legali attinenti alla negoziazione dei titoli Lehman Brothers.
Per i medesimi fatti veniva promosso anche procedimento penale a carico sia del Dallocchio e dello Zongoli, che di altri soggetti coinvolti nella vicenda a vario titolo, ai quali veniva contestata la truffa aggravata nonché il delitto ex art.2638 c.c. Il procedimento penale si concludeva con la sentenza n.15312 del 18.11.2018 con la quale il Tribunale di Roma dichiarava il non doversi procedere per il reato di truffa per intervenuta prescrizione, mentre per le ulteriori imputazioni assolveva il prof. Dallocchio “perché il fatto non costituisce reato” ed il dott. Zongoli “per non aver commesso il fatto”.
All’esito del giudizio contabile di primo grado, la Sezione giurisdizionale per il Lazio, ritenendo che il 10% dell’importo di danno contestato dalla Procura fosse da imputare ai componenti del Comitato per gli investimenti, i quali avrebbero potuto chiedere maggiori informazioni sui titoli in questione e agli organi di controllo interno, e che il 30% fosse da imputare alla crisi del 2008 che, seppure non prevedibile, aveva comunque contribuito ad aumentare i rischi di perdita del capitale investito, imputava a carico del prof. Dallocchio e del dott. Zongoli solo la restante quota del 60% (euro 39.479.541,60).
In relazione alla vicenda, la Procura regionale ha anche chiesto il sequestro conservativo ante causam dei beni mobili ed immobili del prof. Dallocchio e del dott. Zongoli, fino alla concorrenza di euro 65.799.236,00: il sequestro, disposto con decreto Presidenziale dell’11 giugno 2018, è stato, però, revocato dal Giudice designato con ordinanza n.147 del 13 luglio 2018, confermata in sede di reclamo.
Avverso la sentenza n.644/2021 della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, in data 7 agosto 2021, ha proposto appello (principale) il prof. Maurizio Dallocchio deducendo i seguenti motivi di gravame.
1.Con il primo motivo l’appellante censura la sentenza n.644/2021 nella parte in cui essa ha ritenuto che i CDO fossero dei titoli “rischiosi e senza reale garanzia di rimborso del capitale” sostenendo, a contrario, che si trattasse di meri titoli obbligazionari il cui acquisto risultava perfettamente compatibile con i caratteri di un istituto previdenziale quale è Fondazione ENPAM.
2. Con il secondo motivo contesta l’omessa considerazione, da parte del Giudice, delle procedure adottate da ENPAM per gli investimenti sostenendo l’erroneità della sentenza nella parte in cui gli viene attribuita la responsabilità dell’acquisto dei titoli in questione e l’omessa segnalazione delle relative caratteristiche.
3. Con il terzo motivo, l’appellante ritiene errata la sentenza impugnata per aver affermato la sussistenza di un danno erariale conseguente all’acquisto di CDO quando, a suo parere, i titoli si sarebbero rivelati solidi, nonostante quanto verificatosi nei mercati finanziari a decorrere dal settembre 2008. Rileva, inoltre, la insussistenza di qualsiasi nesso di causalità fra l’eventuale danno patrimoniale prodottosi e la condotta serbata nella viceenda.
4. Con il quarto motivo contesta la quantificazione del danno erariale disposta in sentenza e reitera le istanze istruttorie disattese dal Giudice di prime cure.
5. Con il quinto ed ultimo motivo il prof. Dallocchio censura la sentenza nella parte in cui ha escluso la maturazione della prescrizione atteso che, a suo parere, il dies a quo per il decorso della stessa dovrebbe farsi coincidere con le date di acquisto dei titoli, non potendosi configurare nella vicenda alcun occultamento doloso.
Conclude, quindi, per l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, il rigetto della domanda proposta dalla Procura regionale con ogni statuizione conseguenziale, anche in merito alle spese processuali. Con atto del 29 ottobre 2021 ha proposto appello (incidentale) anche il dott. Leonardo Zongoli censurando la sentenza n.644/2021
per i seguenti motivi ovvero:
- per nullità della sentenza per difetto di motivazione o motivazione apparente, in relazione alla asserita mancata valutazione delle difese svolte dalle parti in primo grado, all’omesso confronto tra le allegazioni dell’accusa e delle difese, all’omessa esplicitazione delle ragioni che hanno indotto il Giudice di prime cure a preferire le conclusioni delle consulenze di parte versate in atti dal pubblico ministero contabile;
- per aver respinto l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per sostanziale difformità rispetto all’invito a dedurre;
- per aver respinto l’eccezione di prescrizione e avere, quindi, ritenuto che nel caso de quo sussista una ipotesi di occultamento doloso del danno, con decorrenza del termine prescrizionale dalla data di rinvio a giudizio in sede penale;
- per non aver deciso in ordine all’eccezione di difetto di nesso causale. A parere del dott. Zongoli, il danno di cui è causa sarebbe stato conseguenza, non delle proprie condotte, bensì della decisione, adottata da altri nel 2010, di ristrutturare i titoli in questione;
- per aver ritenuto che i titoli acquistati dalla Fondazione fossero rischiosi e che la relativa decisione fosse in contrasto con la normativa interna all’Ente previdenziale;
per aver ritenuto che il C.d.A. fosse all’oscuro della rischiosità dei titoli proposti laddove le testimonianze rese dai consiglieri in sede di giudizio penale dimostrerebbero come costoro fossero perfettamente in grado di rendersi conto dei rischi conseguenti all’operazione finanziaria che andavano ad autorizzare;
per non aver considerato che l’appellante era cessato dalla carica di Direttore generale il 30 novembre 2005 e che, quindi, si era occupato di un unico acquisto di titoli CDO, avvenuto nel 2004;
per non aver considerato la responsabilità di altri soggetti non evocati in giudizio, quali il Direttore generale e il Responsabile del Servizio investimenti e gestione finanziaria nel periodo successivo al novembre del 2005.
Conclude, quindi: in via preliminare, per l’accoglimento delle eccezioni di nullità della sentenza e/o per la dichiarazione di prescrizione dell’azione di responsabilità; nel merito, per il proscioglimento da ogni addebito;
in subordine, per una diversa ripartizione del danno che tenga conto della corresponsabilità di altri soggetti nella vicenda e per l’esercizio, nella misura più ampia possibile del potere riduttivo.
La Procura generale con memoria in data 23 dicembre 2022, ha contrastato le pretese avversarie e concluso per il rigetto dell’appello, nei seguenti termini.
-
-
-
-
-
A parere della Procura generale, alcun fondamento avrebbe la censura mossa al Giudice di primo grado per omessa valutazione delle allegazioni difensive di contenuto tecnico atteso che costui, nella sentenza impugnata ha indicato le fonti del proprio convincimento e le ragioni per le quali ha considerato le consulenze di ufficio attendibili e preferibili a quelle di parte, nonché conclusive rispetto ai fatti contestati. Ne sarebbe prova la circostanza che le censure mosse dagli appellanti attingono tutti i passaggi motivazionali della sentenza impugnata.
Né, a parere della Procura generale, può trovare accoglimento l’eccezione di nullità dell’atto di citazione per asserita difformità rispetto all’invito a controdedurre in fase preprocessuale sollevata dall’appellante incidentale, atteso che dal confronto dei due atti, risulterebbe che gli elementi essenziali dei fatti esplicitati nell’invito a dedurre e gli ulteriori elementi di conoscenza acquisiti all’esito delle deduzioni siano tutti rappresentati nell’atto di citazione.
Parimenti, ritiene non fondata l’eccezione di prescrizione sollevata da entrambi gli appellanti, atteso che il termine prescrizionale risulta interrotto dall’ENPAM nel 2014 con la costituzione di parte civile nel processo penale.
Nel merito, poi, sottolinea che i titoli CDO non sono obbligazioni, bensì strumenti derivati che comportano livelli di rischio differenti da quelli delle ordinarie obbligazioni e dei Titoli di Stato, per cui il particolare profilo di rischio li pone fuori dai margini ordinamentali dell’operatività dell’ENPAM, risultando, perciò, irrilevante il grado di rating del soggetto emittente e rilevante la valutazione della solvibilità dei soggetti che hanno emesso i titoli posti a garanzia dell’adempimento dei CDO.
Di tale rischio, gli appellanti non avrebbero, in alcun modo, informato i componenti del Consiglio di Amministrazione almomento dell’acquisto dei titoli in questione.
La ristrutturazione dei CDO, i cui costi rappresentano il danno patrimoniale di cui è causa, si sarebbe, quindi, resa necessaria proprio per evitare le perdite conseguenti alla decisione di investire in CDO, titoli ritenuti altamente rischiosi. Da qui l’evidente insorgenza di un nesso causale fra le condotte degli appellanti ed il danno conseguito ad ENPAM in relazione alle spese sostenute per la ristrutturazione dell’investimento.
Conclude, quindi, per il rigetto degli appelli (sia principale che incidentale) e la conferma della sentenza n.644/2021 con condanna alle spese del presente grado di giudizio.
In data 2 gennaio 2023 si è costituita anche la Fondazione ENPAM, quale interveniente ad adiuvandum della Procura regionale nel giudizio di primo grado che, dopo aver contrastato i motivi di gravame degli appellanti, con motivazioni pressoché analoghe a quelle della Procura generale, ha concluso per il rigetto degli appelli e la conferma della sentenza impugnata. Con vittoria di spese, diritti ed onorari del doppio grado di giudizio.
All’udienza pubblica del 20 gennaio 2023 le parti hanno illustrato le contrapposte tesi insistendo per l’accoglimento delle rispettive richieste.
La causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente le impugnazioni indicate in epigrafe (principale ed incidentale) devono essere riunite, ai sensi dell’art.184 c.g.c., in quanto
esperite avverso la medesima decisione.
2. La progressione logica delle questioni da trattare segue il criterio delineato dall’art.101, comma 2, c.g.c., con conseguente disamina prioritaria delle questioni pregiudiziali di rito, delle preliminari di merito e, infine, del merito in senso stretto (cfr. Cass. civ. SS.UU. n.26242/2014 e n.29/2016).
3. Deve affrontarsi, in primo luogo, il motivo di gravame con il quale l’appellante Zongoli eccepisce la nullità della sentenza n.664/2021 perché ritenuta viziata da “motivazione apparente”.
Il motivo di gravame risulta infondato.
La “motivazione apparente” si realizza quando la motivazione si estrinsechi in argomentazioni del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi del provvedimento impugnato, come, ad esempio, nel caso in cui il Giudice pur avendo indicato gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento, tuttavia li abbia indicati senza una approfondita disamina logica e giuridica, ovvero in modo tale da renderli fra loro logicamente inconciliabili o, comunque, obiettivamente incomprensibili (c.d. motivazione perplessa), di modo che sia impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del proprio ragionamento.
La giurisprudenza ritiene, infatti, che il vizio di motivazione apparente sussista allorquando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il Giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade nell’ipotesi in cui non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (ex multis, Corte Cass. n.3819/2020).
Il Collegio deve anche osservare che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. I, n.323/2021), ha chiarito che la conformità della sentenza al modello di cui all’art.39 c.g.c. e l’osservanza degli artt.94 e 95, c.g.c., non richiede che il giudice di merito dia conto dell’esame di tutte le prove prodotte o, comunque, acquisite, ovvero l’esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio posti a base della decisione o di quelli nonritenuti significativi. Al fine di soddisfare l’esigenza di un’adeguata motivazione, la giurisprudenza ritiene sufficiente che il raggiunto convincimento risulti da un riferimento logico e coerente a quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze vagliate nel loro complesso, che siano state ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo, in modo da evidenziare l’iter seguito per pervenire alle assunte conclusioni, disattendendo, anche per implicito, quelle logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. civ. Sez. III, n.26843/2017; Cass. civ. Sez. V, n.26184/2019).
Orbene, nel caso di specie, il Giudice di primo grado ha ben indicato nella sentenza penale e nella documentazione del relativo processo (versata agli atti del giudizio contabile) le fonti del proprio convincimento e le ragioni per le quali le ha considerate ammissibili, attendibili, preferibili e conclusive rispetto alle consulenze delle parti convenute; così come nella sentenza impugnata è riportata l’indicazione di un confronto tra la consulenza del dott. Fiorella (c.t. Enpam) e quella del dott. Brugger (c.t. Dallocchio) con autonoma valutazione delle stesse.
L’esternazione, da parte del Giudice di primo grado, delle ragioni poste a fondamento del dispositivo, peraltro, trova conferma proprio nelle argomentate deduzioni impugnatorie, le quali attingono tutti i passaggi motivazionali della sentenza n.644/2021.
4. Con altro motivo di gravame, l’appellante incidentale (dott.Zongoli) eccepisce la nullità dell’atto di citazione per asserita sostanziale difformità dello stesso rispetto all’invito a controdedurre in fase preprocessuale.
Come già eccepito nel giudizio di primo grado, il dott. Zongoli ha sottolineato di aver rivestito il ruolo di Direttore generale dell’ente previdenziale solo fino a novembre 2005 e che l’invito a dedurre non aveva riguardato il periodo successivo quando costui, nei due anni successivi (fino a novembre 2007), aveva assolto all’incarico di consulente esterno.
L’eccezione è infondata. La giurisprudenza di questa Corte dei conti, con indirizzo ormai consolidato (ex multis, Sezioni Riunite n.7/QM/98, n.14/QM/98, n.1/QM/2005 e n.1/QM/2007, Sez. II app. n.682/2018, Sez. I app. n.54/2020, Sez. III app. n.320/2022) ha affermato che l’invito a dedurre è un atto di natura preprocessuale che assolve ad una duplice funzione: per un verso, di assicurare la massima completezza all’attività d’indagine della Procura regionale sotto il profilo fattuale e giuridico, per altro verso, di consentire all’indagato l’esposizione delle proprie difese, anche al fine di ottenere la definizione di detta fase preprocessuale in tempi ragionevolmente brevi e comunque certi.
Tanto premesso, è principio altrettanto pacifico, in base alla citata giurisprudenza, l’esclusione della necessità di una totalecorrispondenza tra l’invito a dedurre e la citazione, essendo ben possibile che dopo la notifica del primo atto preprocessuale possano essere acquisiti elementi probatori in aggiunta a quanto appurato nell’istruttoria che lo ha preceduto; elementi che possono indurre il requirente a rivedere la posizione del presunto responsabile sotto tutti i profili e gli elementi essenziali della responsabilità amministrativa.
Peraltro, dovendo l’invito a dedurre svolgere una funzione di garanzia nei confronti dell’incolpato, lo stesso non può che logicamente contenere un’ipotesi di addebito esclusivamente finalizzata a far conoscere il nucleo essenziale della causa petendi e del petitum tipizzanti la fattispecie dannosa contestata con la citazione. Tale corrispondenza tra i due atti, tuttavia, non può essere interpretata in termini di identico contenuto, bensì, come chiarito dalla citata giurisprudenza, in termini di “quadro generale”, al fine di assicurare che l’addebito risulti “rispettato nella sua essenza tipica di modo che la citazione stessa sia pur sempre ricollegabile alla fattispecie contestata”. Tant’è che “una citazione che fosse in tutto e per tutto vincolata al contenuto dell’invito finirebbe per snaturare la funzione dello stesso e renderlo, in sostanza, in tutto o in parte inutile o inutilizzabile” (Corte dei conti, SS.RR. n.7/QM/98).
Ne consegue che la nullità della citazione possa ravvisarsi soltanto quando il suo contenuto “decampi totalmente anche dal nucleo essenziale della causa petendi e petitum tipicizzanti la fattispecie dannosa ipotizzata nell’invito di modo che non possa più ad essa ricondursi ed in essa riconoscersi” (Corte dei conti, SS.RR. n.7/QM/98).
Sul punto, è stato anche affermato che “ne deriva pertanto che il procuratore regionale, che già dispone degli elementi essenziali della fattispecie, nei suoi aspetti oggettivi e soggettivi, avendo un “danno” da comunicare al ” presunto responsabile” non può poi esimersi dal formulare nell’atto di invito a dedurre la ipotesi di imputazione (che potrebbe muovere all’indagato con l’atto di citazione), la quale a questo punto del procedimento assumerà le sembianze di una provvisoria (essendo solo ipotizzata) azione e qualunque sia il modo in cui verrà espressa conterrà quegli elementi che definiscono il petitum e la causa petendi, se non come aspetti strutturali di un figura giuridica ben determinata come la citazione a giudizio, certamente come elementi descrittivi di un ipotetico futuro addebito per danno erariale”
(Sez. II app., sent. n.189/2005 richiamata in sent. 328/2019).
Alla luce di quanto sin qui esposto, si deve conclusivamente osservare che, sia pure in termini ancora provvisori ed ipotetici, il requirente ha in fattispecie chiaramente delineato nell’invito a dedurre sia l’elemento oggettivo, sia la condotta causale con prospettazione del tutto ricollegabile a quella contenuta nell’atto di citazione.
Dal confronto tra l’atto di citazione e l’invito a dedurre emerge, infatti, che gli elementi essenziali della vicenda, indicati nell’invito a dedurre, e tutti gli ulteriori elementi di conoscenza acquisiti all’esito delle deduzioni, sono rappresentati nell’atto di citazione che, di conseguenza, non è affetto dalla nullità prevista dall’art.87 c.g.c..
5. Entrambi gli appellanti, censurano la sentenza n.644/2021 anche nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione che viene, in questa sede, nuovamente proposta.
In particolare, il prof. Dallocchio, dopo aver contestato che nella vicenda possa configurarsi una ipotesi di “occultamento doloso del danno”, rileva che, poiché la sentenza identifica come fatto dannoso l’acquisto dei titoli CDO da parte di Enpam, il dies a quo, ai fini del decorso della prescrizione, vada fatto risalire agli anni 2004-2007 e, per conseguenza, l’interruzione della prescrizione disposta nel 2014 dalla costituzione di parte civile di Enpam nel giudizio penale, risulterebbe tardiva.
Il dott. Zongoli, sostiene, invece, che ammettendo che si verta in ipotesi di “occultamento doloso”, la scoperta del danno sarebbe avvenuta, da parte di Enpam nel periodo fine 2008 – inizi 2009 allorquando “con la crisi dei mercati finanziari di fine 2008, il valore di questo portafoglio era sceso di oltre il 70% per cui nel 2008-2009 il Comitato Investimenti Mobiliari aveva deciso di instaurare un c.d. tavolo tecnico al fine di contattare le controparti per chiedere una ristrutturazione dei prefati titoli ad alto rischio”.
Orbene, in merito all’istituto della prescrizione, questo Collegio può osservare, in via preliminare, che l’individuazione dell’exordium praescritionis, anche nel caso della responsabilità amministrativa, è significativamente condizionato dal concreto atteggiarsi degli specifici fatti di causa e, in particolare, dai modelli procedimentali normativi attraverso i quali l’azione amministrativa dannosa si è realizzata.
In generale, le regole che attengono alla corretta individuazione del termine d’esordio della prescrizione rinvengono dal collegamento operativo tra le norme contenute negli artt. 2935 e 2947 c.c. e nell’art.1, comma 2, della legge n.20/1994 e dall’interpretazione sistematica che di tali discipline ha fornito la giurisprudenza.
Può rilevarsi, quindi, anche sulla scorta degli approdi interpretativi della giurisprudenza civile, partendo dalla considerazione che “il danno non è una mera lesione di un dritto, ma la lesione di un diritto dalla quale siano derivate conseguenze pregiudizievoli oggettivamente apprezzabili” (Cass. SS.UU. sentt. nn.26972-26975 del 2008), che la giurisprudenza contabile concorda oggi nell’affermare che l’exordium praescritionis nel caso di danno all’erario va individuato nel momento in cui il danno si “esteriorizza”, ossia diviene percepibile non soltanto come modificazione patrimoniale negativa, ma anche riconoscibile come ingiusto, completandosi, in tal modo, la nozione giuridica di fatto dannoso per l’erario (ex multis, Sez. I^ n. 365/2018 e n.8/2019; Sez. II^ n. 891/2016, n.129/2017 e n.182/2019; Sez. III^ n.303/2017 e n.170/2019).
Al riguardo è stato ulteriormente precisato che tale percepibilità e riconoscibilità vanno riscontrate alla stregua di parametri oggettivi che impongono, ai fini del giudizio di “conoscibilità obiettiva del danno”, l’accertamento dell’osservanza di canoni di ordinaria diligenza da parte del danneggiato (Cass. n.5913/2020).
L’individuazione del termine d’esordio della prescrizione di danno erariale risente, inoltre, come detto, del modelloprocedimentale che conforma l’azione amministrativa nell’ambito della quale si realizza il danno. Così la giurisprudenza ha individuato criteri oggettivi, di natura presuntiva fondati essenzialmente su quello dell’id quod plerumque accidit, in base ai quali stabilire i termini di esordio della prescrizione delle varie forme di manifestazione della responsabilità amministrativa.
In varie occasioni, infatti, le Sezioni Riunite (sentenze n.7/2000/QM, n.5/2007/QM, n.14/2011/QM) hanno affermato che, in via generale, il dies a quo della prescrizione dell’azione di responsabilità va individuato nella data del pagamento (o di ciascun
pagamento o esborso in caso di pagamenti frazionati o periodici), in quanto solo da questo momento consegue un danno azionabile, in quanto conoscibile (art.2935 c.c.), con il correlativo sorgere dell’interesse ad agire, salvo il rilievo dell’occultamento doloso o l’incidenza di procedimenti strumentali o di controllo che conformano il procedimento di spesa.
Deve, infatti, rilevarsi che, ai sensi dell’art.1, comma 2, della legge n.20/’94, “il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso”.
La disposizione individua, quindi, il termine di decorrenza del computo prescrizionale al verificarsi del “fatto dannoso”, inteso quale sintesi tra fatto (doloso o colposo) ed evento (dannoso). Pertanto, ai fini della individuazione del dies a quo, oltre che il compimento della condotta illecita deve anche essersi prodotto l’evento dannoso avente i caratteri della concretezza e della attualità e quindi essersi concretamente realizzata la diminuzione del patrimonio dell’entedanneggiato.
Per consolidata giurisprudenza, quindi, il dies a quo, coincide con l’esborso del relativo titolo di pagamento: infatti, solo con l’emissione del titolo di pagamento l’Amministrazione viene a subire un’oggettiva “deminutio patrimonii” avente le caratteristiche della certezza, della concretezza e dell’attualità, che legittimano il P.M. contabile ad esercitare l’azione di responsabilità amministrativa a carico dell’autore del danno (ex plurimis, Corte dei conti, SS.RR.n.14/2011/QM).
Questo Collegio non può che evidenziare che il Giudice di primo grado, con la sentenza impugnata, accogliendo la prospettazione accusatoria del Procuratore regionale, ha individuato il danno subito dall’ Enpam nelle seguenti voci:
- commissioni liquidate agli advisors per la rinegoziazione dei titoli CDO (euro 43.678.532,00) pagate a seguito di fatture emesse tra il luglio 2015 ed il marzo del 2016;
- spese legali per la rinegoziazione dei titoli CDO (euro 761.109,38) pagate a seguito di fatture emesse nei mesi di marzo e luglio 2010;
- spese legali inerenti alle azioni di rivalsa nei confronti delle banche emittenti i titoli CDO (euro 3.148.985,82) pagate a seguito di fatture emesse tra il mese di giugno del 2012 ed il mese di ottobre 2016;
- minusvalenze realizzate in bilancio a seguito della dismissione dei titoli Safir e del titolo Anthtracite (euro 17.590.641,74) accertate nel mese di ottobre 2011;
- spese legali attinenti alla negoziazione dei titoli Lehman Brothers (euro 619.967,06) pagate a seguito di fatture emesse tra il mese di dicembre 2009 e quello di ottobre 2015.
Il danno patrimoniale, alla cui restituzione sono stati condannati gli odierni appellanti con la sentenza impugnata, si è perciò verificato, divenendo attuale e concreto, nel momento in cui vi è stato l’esborso patrimoniale connesso alle voci di spesa sopra elencate ovvero nell’ampio arco temporale intercorrente tra il mese di dicembre 2009 ed il mese di ottobre 2016.
Ne consegue, quindi, che il Procuratore regionale ha esercitato l’azione risarcitoria, nel rispetto del termine quinquennale previsto dall’art.1, comma 2, della legge 20/1994 atteso che il relativo termine prescrizionale, dagli atti versati in giudizio, risulta essere stato tempestivamente interrotto, una prima volta, dalla costituzione di parte civile dell’Enpam nel giudizio penale (ottobre 2014) e, una seconda volta, dalla notifica dell’invito a dedurre (11 giugno 2018) da parte del Procuratore contabile.
6. Con riferimento alle argomentazioni impugnatorie mosse nel merito, questo Collegio evidenzia, in primo luogo, che entrambi gli appellanti censurano la sentenza di prime cure per aver ritenuto sussistente un nesso di causalità fra il danno contestato dalla Procura ed in relazione al quale sono stati condannati in primo grado e le condotte dai medesimi serbate nella vicenda, ovvero l’aver prospettato al C.d.A. l’acquisto dei titoli CDO.
A parere degli appellanti, infatti, poiché il danno patrimoniale, di cui è causa, è da ricondursi alle spese sostenute dall’Enpam per l’operazione di ristrutturazione dell’investimento effettuato nei titoli CDO (per convertirlo in altri titoli), la responsabilità dello stesso non può che essere imputata al Consiglio di Amministrazione che ha assunto tale ultima decisione; decisione rispetto alla quale essi risultano del tutto estranei.
Il motivo di gravame risulta fondato per i motivi che seguono.
La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione civile ha avuto modo di ribadire, in più occasioni, il netto distinguo tra la regola applicabile nell’accertamento del nesso eziologico tra condotta ed evento (dannoso) per l’affermazione della responsabilità civile per danno – valevole anche con riguardo alla responsabilità amministrativo-contabile – rispetto a quella rilevante a fini penalistici.
Il Giudice della legittimità ha evidenziato, dando costante continuità al principio enunciato a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite n.576/2008 che “nell’accertamento del nesso causale in materia civile vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che non”, mentre nel processo penale vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio. (cfr. ex multis, Cass. 16123/2010 ed in termini, Cass. 12686/2011, Cass. 6698/2018)”. (Cass. Sez. III, 27 marzo 2019, n.8461).
Anche la giurisprudenza contabile ha, quindi, chiaramente individuato il discrimine tra il regime probatorio applicabile, in ragione dei differenti valori sottesi ai due processi, posto che l’autonomia dei medesimi si fonda anche sulla diversa regola di giudizio che conforma la costruzione del convincimento del giudice. Il giudice penale affermerà l’esistenza di un fatto qualora la prova ne fornisca la relativa evidenza “oltre il ragionevole dubbio” (cfr. Cass. pen. SS.UU. 11 settembre 2002, n.30328), il giudice contabile procederà secondo la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non” (Cass. civ. Sez. III n.346/2018; Corte conti, Sez. II app. n.1101/2016, Sez. III app. n.475/2018).
La recente giurisprudenza, sul punto (cfr. Cass. SS.UU.n.12445/2020), ha confermato il proprio orientamento per cui, muovendo dalla considerazione che “i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt.40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale, salva la differente regola probatoria che in sede penale è quella “dell’oltre ogni ragionevole dubbio” mentre in sede civile ”del più probabile che non”, hanno poi ulteriormente precisato che la regola della “certezza probabilistica” non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza nell’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto” (c.d. probabilità logica, Cass. SS.UU. n.581/2018); ciò comporta “un’analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, nella loro irripetibile unicità, con la conseguenza che la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione della specificità del caso concreto, senza potersi fare meccanico e semplicistico ricorso alla regola del 50% plus unum” (ex multis, Cass., Sez. III n.122/2020).
Ne consegue che la prova in ordine al nesso causale in materia civilistica “non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativo-statistica delle frequenze delle classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascaliana), che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana). Nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità delle ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma (c.d. evidence and inference nei sistemi anglosassoni)”; aggiunge la Suprema Corte che “esigenze di coerenza e di armonia dell’intero processo civile comportano anche che tale principio della probabilità prevalente si applichi anche allorché vi sia un problema di scelta di una delle ipotesi, tra loro incompatibili o contraddittorie, sul fatto, quando tali ipotesi abbiano ottenuto gradi di conferma sulla base degli elementi di prova disponibili. In questo caso la scelta da porre a base della decisione di natura civile va compiuta applicando il criterio della probabilità prevalente. Bisogna, in sede di decisione sul fatto, scegliere l’ipotesi che riceve il supporto relativamente maggiore sulla base degli elementi di prova complessivamente disponibili. Trattasi, quindi, di una scelta comparativa e relativa all’interno di un campo rappresentato da alcune ipotesi dotate di senso, perché in vario grado probabili, e caratterizzato da un numero finito di elementi di prova favorevoli all’una o all’altra ipotesi” (Cass., Sez. III, n.10285/2009).
Alla luce del quadro giurisprudenziale così ricostruito, il Collegio ritiene fondata la prospettazione degli appellanti, risultando la ricostruzione dei fatti proposta dal giudice di prime cure non aderente all’orientamento interpretativo fatto proprio dalla costante giurisprudenza di legittimità e contabile sopra richiamata, avendo il medesimo escluso l’efficienza causale preponderante delle condotte di coloro che, nel 2010, hanno deciso la ristrutturazione dei titoli CDO invece che attenderne la naturale scadenza (anno 2016), rispetto al prodursi del contestato danno.
Come sopra ricordato, il Giudice di prime cure, condividendo la prospettazione del Procuratore regionale, ha ritenuto di imputare la responsabilità del danno conseguito alla onerosa operazione di ristrutturazione dei CDO agli odierni appellanti per avere, costoro, indotto il Consiglio di Amministrazione di Enpam ad investire nei citati titoli. Secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, infatti, “Proprio la criticità nella composizione dei titoli sottostanti avevacomportato la necessità della loro ristrutturazione da parte di Enpam” e la loro sostituzione con altri titoli.
A parere degli appellanti, a contrario, tale ristrutturazione non sarebbe stata affatto “necessaria” stante la natura dell’investimento e l’elevato rating dei titoli che ne garantiva la solidità e la acclusa garanzia di restituzione del capitale alla scadenza. Poiché la scelta di effettuare la ristrutturazione dell’investimento non si sarebbe posta quale scelta “necessitata”, bensì quale libera ed autonoma volontà dei vertici di Enpam di modificare il portafoglio degli investimenti, non condizionata da alcun imminente rischio di perdita del capitale investito, gli appellanti ritengono che debba essere esclusa la configurabilità di un qualsiasi nesso di causalità tra il danno patrimoniale prodottosi (le spese connesse alla ristrutturazione dei CDO) e le condotte dai medesimi serbate nella vicenda (la proposizione dell’investimento in titoli CDO).
Sul punto, questo Collegio rileva che, come confermato dalle consulenze tecniche acquisite agli atti, l’investimento in titoli CDO si sostanziava, invero, in un investimento in obbligazioni con rimborso del capitale alla scadenza, garantito da una pluralità di emittenti, in funzione di un rating assai elevato (AA+ e AAA), cui andava ad aggiungersi un rendimento annuo, la cui misura percentuale dipendeva dall’andamento di indici o titoli sottostanti. (cfr. consulenza prof. Brugger)
Come evidenziato anche nelle relazioni dei consulenti tecnici del P.M. penale, acquisite agli atti del giudizio di primo grado, le CDO in questione erano state appositamente realizzate per Enpam, unico sottoscrittore, e godevano di una sorta di “cuscinetto di protezione” che garantiva il rimborso integrale del capitale anche nell’ipotesi in cui i diversi titoli contenuti nel “paniere” fossero stati colpiti da default.
Orbene, in disparte il rendimento prodotto annualmente dai titoli in questione, la documentazione versata agli atti del giudizio, compresa quella proveniente dalla stessa Fondazione Enpam (cfr. doc. n.14.10 del giudizio di primo grado) conferma, in modo inequivocabile ed incontestato, che i titoli strutturati di cui è causa, al momento della loro scadenza (quasi tutti l’anno 2016), non solo non hanno prodotto perdite, ma hanno addirittura generato rendimenti positivi.
A tal fine, a parere di questo Collegio risultano rilevanti le conclusioni contenute nella consulenza del prof. Antonio Salvi del 29 aprile 2019 (v. pagg.67 ss.) laddove, sulla base dell’effettiva evoluzione della prestazione dei titoli CDO, risulta dimostrato che se Enpam avesse tenuto gli stessi fino alla loro naturale scadenza, non solo avrebbe guadagnato 6,1 milioni di euro, ma avrebbe anche incassato le cedole annuali per un importo complessivo di 30,3 milioni di euro.
Tali conclusioni, peraltro, non risultano validamente smentite né dai consulenti del P.M. penale (proff. Alessandro Carretta e Lidia d’Alessio) né da quello di Enpam (prof. Antonio Fiorella).
Ne consegue, perciò, la validità sotto il profilo logico-giuridico della tesi sostenuta dagli appellanti ovverosia che, se l’Ente previdenziale avesse mantenuto i citati titoli nel proprio portafoglio fino alla loro naturale scadenza (anno 2016), invece che procedere, con notevole anticipo, alla loro ristrutturazione (rectius: sostituzione), l’ingente danno patrimoniale, oggetto del presente giudizio contabile, non si sarebbe verificato. Come dimostrato dal consulente prof. Antonio Salvi, infatti, tutti i titoli, nonostante le sopravvenienze sfavorevoli verificatesi nei mercati finanziari internazionali a partire dal 2008, se la ristrutturazione non avesse avuto luogo, sarebbero stati integralmente rimborsati alla loro naturale scadenza e avrebbero generato anche un rendimento positivo, compresi i tre titoli collocati da Lehman Brothers (i due titoli Saphir ed il titolo Anthracite); titoli sui quali il Giudice di primo grado si è soffermato in modo particolare per ergerli a paradigma della rischiosità dell’investimento effettuato da Enpam negli anni 2004- 2007.
Questo Collegio deve, quindi, osservare che, alla luce dei fatti appena esposti, non possa condividersi quanto affermato dal consulente di Enpam e fatto proprio dal Giudice di prime cure in merito alla migliore soluzione per ridurre il profilo di rischio dei CDO presenti nel portafoglio dell’Ente, ovvero che “... è di tutta evidenza che, rispetto all’ipotesi di lasciare i CDO nel portafoglio fino a naturale scadenza o a quella di cederli a prezzi di mercato -ipotesi che avrebbero esposto l’ente, la prima, al rischio di default ed accettando la potenziale perdita di parte o tutto il capitale prodotto, e la seconda, ad una perdita certa ed immediata -, la scelta del consiglio di porre in essere operazioni di ristrutturazione (o di riorganizzazioni) ha rappresentato non solo un obbligo per l’organo amministrativo di un ente pubblico – che non poteva certo permettersi, nell’interesse dei propri iscritti, di perdere il capitale investito – ma anche la scelta più prudente”
In realtà, Enpam avrebbe dovuto ponderare con maggiore attenzione e prudenza la decisione di procedere alla ristrutturazione dei CDO, tanto più che nel 2010 il termine di scadenza risultava ancora lontano (oltre un quinquennio) e che verosimilmente, stante anche la ciclicità degli andamenti dei mercati finanziari, sussistevano ancora ampi margini di recupero delle eventuali perdite (come poi di fatto avvenuto).
Alla stregua delle sopra esposte considerazioni questo Collegio, dissentendo da quanto affermato nella sentenza impugnata, ritiene che l’operazione di ristrutturazione dei CDO, cui è conseguito l’ingente danno patrimoniale subito da Enpam, non fosse affatto necessaria e che, per conseguenza, sia da escludersi qualsiasi nesso di causalità tra il danno di cui è causa, per come contestato dal Procuratore regionale, e le condotte serbate dagli odierni appellanti, i quali non possono, perciò, essere chiamati a risponderne.
In definitiva, restando assorbite tutte le altre questioni, argomentazioni ed eccezioni, le quali vengono ritenute non rilevanti ai fini della decisione o comunque inidonee a sostenere conclusioni di tipo diverso, gli appelli proposti dal prof. Maurizio Dallocchio e dal dott. Leonardo Zongoli vanno accolti.
L’accoglimento nel merito degli atti di gravame degli appellanti comporta l’obbligo, ex art.31, co.2, c.g.c., di rimborsare nei confronti di questi ultimi le spese legali affrontate nel giudizio che si liquidano in complessivi euro 30.000,00 (trentamila/00), oltre oneri fiscali e previdenziali e spese generali.
La Corte dei conti, Sezione Prima Centrale d’Appello definitivamente pronunciando sui giudizi iscritti al n.59164 del ruolo generale, previa riunione degli stessi ai sensi dell’art. 184 c.g.c., li accoglie e per l’effetto dispone la riforma della sentenza della Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio n.644/2021, depositata il 29 luglio 2021, nei termini di cui in motivazione.
Le spese legali si liquidano, in favore delle parti appellanti, nella misura complessiva di euro 30.000,00 (trentamila/00), oltre oneri fiscali e previdenziali e spese generali.
Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 gennaio 2023.
Maurizio Dalloccho, nato a Milano il 12 aprile 1958, è Professore Ordinario di Finanza Aziendale e membro della Giunta del Dipartimento di Finanza presso l'Università Commerciale Luigi Bocconi di Milano. È anche docente presso la Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi, di cui è stato direttore del Master in Corporate Finance. È membro del Comitato Editoriale della rivista Corporate & Business Strategy Review e del Comitato Scientifico del Centro Studi Economia Applicata (CSEA) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Nel corso della carriera è stato per 17 anni consulente finanziario dell'Enpam e visiting professor presso alcune delle più rinomate scuole mondiali come New York University, London Business School, IMD Lausanne. È l’autore di un centinaio di pubblicazioni, incluso “Corporate Finance” (Ed. Wiley & Sons, 5th ed., 2018, with P.Quiry, A.Salvi and Y.Le Fur) testo adottato a livello mondiale nel corsi MBA e MSc in finance.
Leonardo Zongoli è l'altro soggetto assolto del processo Enpam. Di lui si sa poco tranne che è stato direttore generale con delega alle attività finanziare fino al 2005 e poi consulente fino al 2007 dell'ente.
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia