20 Febbraio 2023
Un fotogramma da "Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato" (1971). Fonte: Twitter
Niente più "grasso" e "brutto" nei libri di Roald Dahl: la censura da politically correct fa questa volta una vittima illustre. I testi più famosi del romanziere britannico sono stati oggetto di una rappresaglia culturale da parte della casa editrice, Puffin Books, che ha strappato il consenso agli eredi dello scrittore scomparso nel 1990.
Quello che oggi rappresenta il primo caso di cancel culture editoriale a sollevare una giusta dose d'indignazione, come spesso accade, è pubblicizzato come un'iniziativa nata sotto la buona stella del progresso inclusivo: "Vogliamo assicurarci che le meravigliose storie e i personaggi di Roald Dahl continuino ad essere apprezzati da tutti i bambini di oggi" assicura un portavoce della Roald Dahl Story Company, che poi si porta sulla difensiva: "Eventuali modifiche apportate sono state piccole e attentamente considerate".
Dettagli, direbbe qualcuno. Sta di fatto che milioni di lettori oggi non leggeranno più che Augustus Gloop, il paffuto antagonista di Charlie ne La Fabbrica di Cioccolato, è "enormemente grasso". Gloop è ora, semplicemente, "enorme". Così come tutti i personaggi che, negli altri titoli, sono descritti con lo stesso aggettivo. Altra "piccola modifica" riguarderebbe Le Streghe: la protagonista, una donna dai poteri soprannaturali con una vita ordinaria, potrebbe non essere più una "cassiera o segretaria", ma una "scienziata di punta o una manager d'alto profilo". Nemmeno gli animali, poi, sembrano immuni al delirio censorio. In Furbo, il Signor Volpe, i terribili trattori che perseguitano la simpatica famiglia di mammiferi non saranno più "neri", ma soltanto "mostri brutali e assetati di sangue".
Tutti questi aggiustamenti non sono, però, (o non sono venduti come) mere questioni di principio. C'è tanto di quel lavoro che si nasconde dietro un colpo di gomma! In terra britannica, infatti, già da anni gli editori si appoggiano a figure professionali note come "sensivity readers", specializzati nel vaglio dei contenuti e delle espressioni dei testi in ossequio al valore universale dell'inclusività. Così hanno fatto anche i vertici di Puffin Books, cooperando con alcuni specialisti di Inclusive Minds, agenzia con alte qualifiche in «inclusione e accessibilità nella letteratura per bambini».
Piccoli o meno, però, gli aggiustamenti nei testi non sono passati inosservati. Salman Rushdie, paladino e (quasi) martire della libertà d'espressione in letteratura, parla di "assurda censura", e altrettanto allarmato si mostra il saggista David Baddiel, autore peraltro del recente best-seller sull'antisemitismo Jews don't count: "Se cominci a sventrare un testo alla fine non ti resta in mano niente, ti resta una pagina bianca". "Rischiamo di distorcere l'opera di grandi autori e di offuscare quella lente essenziale che la letteratura offre sulla società": dura è stata la replica anche di Suzanne Nossel, direttrice esecutiva e portavoce di PEN America, un collettivo di 7500 scrittori impegnati nella difesa della libertà d'espressione.
Per gli appassionati di dietrologie, poi, la vicenda offre appetitosi appigli ulteriori. Nel 2020, i diritti su alcune delle opere di Roald Dahl, insieme a tutta la Roald Dahl Story Company, sono stati acquistati da Netflix in vista della realizzazione di nuovi adattamenti televisivi. Che sia tutta questione di buoni principi?
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