13 Aprile 2022
Giulio Regeni (LaPresse)
I presunti killer di Giulio Regeni hanno un volto: il prossimo passo è la rogatoria agli Stati Uniti per continuare il processo. Passo dopo passo, tassello dopo tassello, il procedimento a carico dei presunti assassini di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso al Cairo nel 2016, non si ferma. Quasi sei mesi dopo l'inizio del processo che coinvolge quattro uomini dei servizi di sicurezza egiziani, tre di loro hanno anche un volto: si tratta di Husan Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Non si hanno fotografie, invece, dell'ultimo imputato, Tariq Sabir. I loro nomi erano noti da tempo ma il processo è andato avanti con molte difficoltà soprattutto per l'ostruzionismo dell'Egitto, che ha archiviato il procedimento in patria e non comunica gli indirizzi degli imputati.
Nonostante il muro egiziano, i carabinieri del Ros non si sono arresi e cercando sui social hanno individuato alcuni profili riconducibili agli uomini che hanno sequestrato, torturato e infine ucciso Giulio nel gennaio di sei anni fa. Per risalire attraverso questi profili agli indirizzi degli imputati serve però una rogatoria formale agli Stati Uniti, affinché i provider americani forniscano "le informazioni anagrafiche e i log files associati agli account di interesse", come si legge nell'informativa degli inquirenti.
I risultati sono appesi a un filo: anche nel caso in cui gli Stati Uniti collaborassero, potrebbe essere necessario passare dal Cairo per "ottenere l'associazione degli ip alle utenze telefoniche e quindi alla residenza degli utilizzatori". E in questo caso la risposta egiziana è scontata, visto che la giustizia locale considera chiuso il caso. Come ha comunicato il ministero della Giustizia italiano, infatti, la procura egiziana ha archiviato il caso più di un anno fa, nel dicembre 2020, e la decisione non è più impugnabile. Non si può tornare indietro.
In ogni caso il tentativo si farà. Risalire agli indirizzi dei quattro uomini sarebbe una vera e propria svolta. Senza, agli imputati non può essere notificato l'avvio del processo e quest'ultimo non può partire in base al nostro ordinamento, come ha stabilito la Corte di Assise di Roma, che ritiene imprescindibile questo istituto di garanzia.
Il nome di uno dei coinvolti, Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, è stato inserito nel sistema Schengen, in modo tale da permetterne l'individuazione nei 26 paesi parte dell'area comune. Per gli altri tre questo non è stato possibile perché non si hanno a disposizione i loro dati anagrafici certi.
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