07 Agosto 2025
In copertina, Cervo di San Giuliano (2019), opera dello scultore Dario Ghibaudo
Una precoce genialità ci rincuora, alimenta la speranza in un futuro migliore. Sentimenti che affiorano spontanei mentre leggiamo il saggio Nel velo virtuale. L’esistenza ai tempi della società dello spettacolo (Arca Edizioni, Collana Impavida, Milano, 2025), tesi di laurea del giovane filosofo pavese Pietro Cattana. Per certi versi un emulo quindi di Louis-Ferdinand Céline che, con il cameo letterario Il dottor Semmelweiss, nel 1924 suggellò il proprio dottorato in medicina.
L’attacco che Pietro Cattana sferra contro il virtuale muove da vaste e solide basi filosofiche, intreccia riflessioni di ordine storico, economico, sociologico, ideologico, psicologico... E si fonda su una visione di ampio respiro, lucida, coraggiosa, libera dalle pastoie del politicamente corretto.
Frasi brevi, metafore vibranti, una naturale inclinazione all’aforisma, il culto per l’etimo e un’ironia graffiante concorrono a garantire chiarezza espositiva e aggiungono smalto allo stile.
L’uso magistrale della logica e la densità di ragionamento si coniugano qui a un raro acume critico. Ne scaturisce un atto d’accusa impietoso, ben argomentato. Poco confortanti, in compenso, le conclusioni. L’autore considera con amarezza come l’Occidente abbia voltato le spalle al concetto heiddeggariano di “essere nel mondo” e si sia consegnato a un’esistenza consumata fra le sbarre di uno schermo, in una condizione talmente alienante che “lo spirito prende commiato dal Reale”.
Secondo Cattana, la caleidoscopica girandola di suoni, immagini in movimento e surplus di luminosità – che fa capolino dai display accesi giorno e notte – ha l’obiettivo finale di distrarre i popoli dalla battaglia per la difesa dei propri interessi. A tal proposito, Cattana ricorda come il filosofo Han abbia addirittura parlato di “tramonto del cittadino”. Siamo di fatto bersagliati da una quantità inverosimile di informazioni spesso inutili, false, da contenuti tossici, ansiogeni, che cannibalizzano il tempo e prosciugano energie mentali. Il silenzio, la concentrazione, e persino la noia, in quanto terreno di potenziale produzione del pensiero, e perciò ritenuti sovversivi dai padroni del discorso, risultano neutralizzati in un colpo solo: il dolore di vivere stemperato in una soddisfazione artificiale, la sete di conoscenza placata dall’oracolo di Google, il principio di realtà soppiantato dal bambinesco “tutto/qui/ e subito”, i sentimenti autentici annegati in una melassa planetaria di like, l’immaginazione demandata a una macchina, i testi elaborati da Chat GPT, le conversazioni intavolate con Chatbot, la sfera privata abolita dalla compulsione a condividere, le convinzioni modellate da algoritmi, il senso dell’orientamento sostituito dal navigatore, gli avatar a nutrire velleità schizofreniche, i corpi smaterializzati in vista del transumanesimo, il digitale spacciato come un divertimento, una comodità, una necessità, quando viceversa rappresenta un’arma subdola, una droga micidiale.
Il capitalismo, puntualizza Cattana, riduce l’individuo a una merce, e l’esistenza del singolo a un dato oggettivo, misurabile, quantificabile, etichettabile. Con l’aggravante che il costante desiderio di emulare il prossimo scatena una conflittualità esasperata, che erode la società dall’interno e, nel privarla del suo significato profondo, la mina in radice.
Se l’uomo fosse immortale, i culti che promettono una vita nell’Aldilà forse non esisterebbero nemmeno. E Cattana suggerisce che il virtuale, in quanto garanzia di “un’immortalità terrena a buon mercato”, potrebbe infine sbaragliare le religioni. L’autore fa inoltre notare come l’upload della memoria abbia ormai reso quasi impossibile distinguere il profilo di una persona viva da quello di un defunto. Se insomma l’obiettivo era esorcizzare la morte, il digitale ha centrato il bersaglio.
I dispositivi collegati alla rete, sorta di bracciali elettronici di cui ci dotiamo deliberatamente e per l’acquisto dei quali siamo oltretutto disposti a sborsare cifre esorbitanti, servono però anche a indottrinare, monitorare e condizionare orientamenti e gusti della popolazione. L’umanità viene eterodiretta, le coscienze plasmate da remoto, le opinioni costruite a tavolino, i desideri e i bisogni indotti subdolamente. Tanto che l’autore definisce gli utenti del web “sonnambuli digitali”. In ultima analisi il virtuale si pone quale strumento di controllo del neo-capitalismo tecnologico, arma del neuro-marketing e della neuro-biopolitica, “riduce il Mondo a spettacolo”, l’altro a “fantasma informatico”, l’io a un manipolo di follower.
Per fabbricare consenso e stimolare la vitalità del mercato, il potere s’ingegna a celare le sue vere intenzioni, opera una seduzione occulta, tende “imboscate estetiche”, sbriciola il senso del bello, sovverte i valori tradizionali, azzera il comune buon senso, usa la lusinga, esaudisce all’istante qualunque capriccio, veicola scenari da sogno, perversioni estreme, stimoli forti, di fronte ai quali la realtà impallidisce, e svapora. Di conseguenza – spiega Cattana – “Quel dispositivo che abbiamo attivato per sfuggire alla noia paradossalmente rende ancora più noiosa la vita.” Il virtuale “promette di liberarci” e invece ci incatena, giacché ci aliena dalla realtà, dagli altri, da noi stessi, con l’effetto di una “frattura ontologica” che stravolge l’essenza umana.
La curiosità patologizzata prodotta dal bombardamento digitale prende il nome di FOMO (acronimo di “fear of missing out”, ovvero “paura di essere tagliati fuori”) e innesca un circolo vizioso dove lo hikikomori che si nasconde dentro ognuno di noi viene colpito da “esaurimento cognitivo”. Con l’effetto paradossale che “nel tentativo di vedere tutto, non vediamo nulla, o meglio vediamo solo la scorza dei fenomeni”. Si tratta perciò di uno svelamento fasullo, insignificante, tradotto in formule superficiali, semplicistiche, sorde alla sostanza e frutto di un “ambiente informazionale controllato”, dove l’episteme ha abdicato in favore della doxa. “L’argomento scomodo viene bannato.” – continua Cattana – “Il gregge digitale bela online, privo di alcuna rilevanza onto-politica e, (…) in un simile scenario, parlare di democrazia diventa assurdo, una beffa.” Il potere è invisibile eppure vede, sa e controlla tutto. Al contrario, noi comuni mortali – rimarca Cattana – “più vediamo meno sappiamo”, dal momento che non è la quantità ma la qualità delle informazioni a determinare il valore del sapere. Attraverso il monopolio dei media e delle piattaforme social, gli oligarchi distolgono le masse da ciò che accade veramente e ne indirizzano le opinioni nella direzione per loro più conveniente. Ecco perchè – conclude Cattana – i giornalisti liberi vengono esiliati dai media di regime e la censura si fa via via più feroce.
“Ma che ne è allora” – si chiede Cattana – “della nostra capacità di distinguere tra vero e falso?”
Fra le pagine di questo studio fecondo, il lettore troverà questa risposta e molte altre ancora. Potrà così affrontare con maggior consapevolezza la difficile congiuntura storica in cui siamo calati. Anche perché, come ha rilevato Giacomo Maria Prati nella sua luminosa prefazione, Pietro Cattana ha il pregio di esprimere una visione d’insieme capace di superare “i riduzionismi della iper-specializzazione culturale, spesso vanificante”.
Tale processo, ben lungi dall’essere opera del caso, è viceversa frutto di decenni di studi finalizzati a condizionare comportamento e opinioni delle masse. Ricerche sostenute dall’investimento di ingenti risorse e promossi dalle lobby finanziarie cosmopolite che orchestrato dai fautori del Nuovo Ordine Mondiale con lungimiranza, perizia, ferocia e astuzia.
Tante le domande che l’autore si pone: “Siamo ancora umani?”; “Chi ha deciso che questa deve essere la nostra vita, che posso vedere l’altro solo per interposto schermo, che devo lavorare tutto il giorno per padroni invisibili come un algoritmo incarnato, in attesa di disoccupazione?” “Quali sono le cause remote e prossime di questa alienazione?” “Qual è l’impatto di internet e dei social media sull’essere-insieme?” e via dicendo…
Di Lidia Sella
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