11 Maggio 2023
In verità, in varie occasioni ho visto dal vivo praticamente molte opere conosciute di Masaccio: la sua prematura scomparsa ci ha effettivamente privato di chissà quali altre straordinarie suggestioni!
L’altro giorno è stata, però, la prima volta che mi capitava di contemplare da vicino la magnifica “Crocifissione” concepita dall’Artista (foto 1).
L’opportunità di osservarla così come ho potuto fare durante la presentazione organizzata per il suo arrivo al Museo Diocesano Carlo Maria Martini, mi ha peró consentito di apprendere particolari sulla sua storia che non conoscevo e perfino di poter ascoltare le vicende virtuose che ora l’hanno portata fino a Milano. Tutto ció mi ha indotto a parlarne io stesso se non altro per convincere tutti coloro che non hanno ancora vinto la loro legittima pigrizia nel venire a vederla, a fare un’eccezione: non se ne pentiranno davvero!
Torniamo al capolavoro arrivato da Napoli (dove di norma si trova presso il Museo e Real Bosco di Capodimonte): oggettivamente si tratta di una delle meraviglie che, annualmente, le “donne del Diocesano“ (così io chiamo famigliarmente le brave Nadia Righi, direttore del Museo, e Alessia Devitini, conservatore curatrice) riescono a portare nella nostra cittá per quel rito ormai consolidato inventato ai tempi dall’amico Paolo Biscottini e perfino emulato successivamente da altre istituzioni (come, ad esempio, dal Comune di Milano).
Guardiamo assieme l’opera.
Poiché questa Crocifissione doveva essere vista dal basso verso l’alto, Cristo è visto un poco di scorcio (1): lo sfondo d’oro nel quale Egli è immerso secondo le logiche medioevali anche se giá fortemente rinascimentale, lungi dallo smaterializzarsi in uno stucchevole stemperamento statico, sembra sottolineare e quasi accentuare la solenne fisica compostezza della tragedia che ha portato alla nostra Salvazione.
Analogamente agli altri dipinti lasciatici dal grande maestro del Rinascimento, la Crocifissione appare anch’essa da subito come una scena fortemente essenziale senza inutili fronzoli decorativi; in essa sono evidenti sia il significato sintetico dell’insieme che quello specifico rappresentato da ogni persona nel suo ruolo simbolico più estremo.
Effettivamente, ciò che mi ha sempre colpito nelle opere del grande Autore rinascimentale sono la concisione e la nitidezza del messaggio poetico; basti pensare, ad esempio, a come sono rappresentati Adamo e, soprattutto, Eva cacciati dall’Eden, nell’affresco alla Cappella Brancacci.
Nel dipinto esposto al Diocesano, mi colpisce lo strazio assoluto della Madre che urla la perdita del figlio.
Solidamente ammantata di blu, alla sua destra, la Madre non sa capacitarsi della gravità cosmica dell’evento nel cui gorgo è piombata ; di profilo, stringendo le nocche delle mani, sembra quasi chiedersi il perché di tutto ciò. Sembra inoltre gridare tutto l’amore che non era riuscita a dargli in vita.
Alla sua sinistra, il prediletto Giovanni, anch’esso con le mani giunte, guarda nel vuoto, sconvolto dall’immensa, incomprensibile vicenda: la sua solitudine lo mostra chiuso in sé stesso mentre interiorizza amaramente il suo dolore.
La scena si sarebbe forse conclusa con queste tre emblematiche figure ma, in corso d’opera, il sommo artista aveva intuito che mancava un elemento non solo concettuale ma perfino spaziale che restituisse allo spettatore la sensazione e la convinzione di essere lui stesso parte dell’evento, di esserne come coinvolto: e qui l’artista ha superato ogni più consolidato stereotipo di tutti i tempi precedenti.
La bionda Maddalena, ammantata di una tunica rosso vermiglio, è ritratta curiosamente di spalle, con le sue braccia disperatamente aperte verso Gesù; la sua figura rammaricata, convulsa e piena di tensione, non solo collega (cioè lega fra loro) le figure di questo intensissimo teatro di sofferenza ma rende perfettamente circolare il racconto dei diversi ruoli rappresentati (foto 2).
L’occhio dell’osservatore (che, come ho detto, si sente particolarmente rappresentato dalla redente peccatrice) è subito attratto dal colore eclatante del suo abito e dall’atteggiamento drammaticamente scomposto ma è altresì indotto a spostarsi incessantemente dall’una all’altra persona come per comprendere progressivamente un dolore sostanzialmente infinito.
Nota.
Nella sistemazione presso il Museo Diocesano, infatti, con un Videomapping le parti superstiti del polittico di Pisa sono state ricostruite per rendere conto della corretta altezza da cui si vedeva la Crocifissione nella chiesa pisana, a circa 5 metri da terra, per fare capire lo scorcio prospettico perfetto e magistrale di Masaccio (foto 3).
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