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"La libertà innanzi tutto e sopra tutto"
Benedetto Croce «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Benedetto Croce: "La libertà innanzitutto e soprattutto", tratto da «Il Giornale d'Italia» (10 agosto 1943)

Sulle pagine de Il Giornale d'Italia datata al 10 agosto 1943 Benedetto Croce scrisse sul valore per lui più importante: la libertà

12 Novembre 2022

Caro Bergamini,

Il rapidissimo mutamento per la caduta del ventennale regime che si vantava così saldo e così sicuro, induce non pochi a ripetere i consueti banali aforismi sulla levità dei popoli, e il non meno banale deplorare le diserzioni  dalle sventolate bandiere e gli istantanei trapassi dall'un partito all'altro opposto.

Ebbene no: questa volta c'è,  si sente che c'è, di là da questi fatti volgari, qualche cosa di più serio e degno e confortante. C'è l'anima dell'Italia che compie il Risorgimento nazionale con la virtù della libertà, che dalla libertà fu governata e con essa progredì  e prosperò fino a partecipare con gli altri popoli d’Europa all'opera della civiltà nell'Africa, fino a raggiungere i suoi confini naturali in una grande e vittoriosa guerra. Quest'anima prorompe ora non spenta,  non spezzata, non cangiata nel suo intimo dal regime, che nell'esterno la premeva, la stordiva con le fragorose parole, l'abbagliava con le vistose parate, la falsificava nell'apparenza coi frequenti suoi comandati “raduni”, come li chiamava. Così, dopo Termidoro, in Francia si tornò in folla alle antiche chiese e rifiorirono in gioia i vecchi costumi e le vecchie canzoni .

Quando, nel periodo di anni ora  chiuso, mi si domandava: - che cosa credete che l'Italia vorrà, anzitutto, alla caduta del presente regime ?- io, che sono impaziente  del giuoco delle previsioni, davo una risposta che non era una previsione ma una osservazione, per così dire, fisiologica. - Non mi par dubbio che chiederà e vorrà quell'alimento necessario, quel cibo elementare,  di cui più a lungo è stata priva e che più a lungo ha bramato: la libertà.  – E  quando mi si domandava se c'era rischio che la libertà d'Italia uscisse indebolita delle vicende accadute rispondevo : - per contrario, sarà diventata più stretta perché l'Italia, dalle Alpi al capo Passaro avrà avuto non, come ai tempi del Risorgimento una varia qualità di gradazione di oppressori o di avversarii, austriaci e borbonici e granducali e papalini e separatisti e municipalisti,  provocanti vari e misti sentimenti, ma un unico oppressore e un unico nemico, da tutti  parimenti odiato e contro cui tutti si saranno ribellati, nascendo a nuova vita.

Nondimeno mio caro Bergamini, poiché chi ama teme e avverte o sospetta pericoli e contro di essi si mette in guardia, io non so togliermi dalla mente un'immagine: quella della Spagna dopo la caduta del regime dittatoriale di Primo de Rivera, e dell'esultanza e del sentimento  di fiducia e di fratellanza che infiammò allora tutto quel popolo. Bastava leggere giornali e libri o incontrare qualche spagnolo per avere innanzi questo spettacolo di simbolo e di gaudio. Ricordo ancora il volto raggiante di un illustre letterato mio amico, che vidi a Berlino dove da insegnante all'università era stato innalzato ad ambasciatore.  –  E’ la prima volta - mi diceva soddisfatto -  che il popolo spagnolo si stringe attorno ai suoi uomini di pensiero e di cultura. Io stesso ebbi cortesi inviti di recarmi là per tenervi conferenze ( il che non feci per la mia inettezza a partecipare a cerimoniali e ad oratorizzare). Carlo Sforza, che aveva raccolto quegli inviti, mi scriveva: - vieni in Ispagna e vedrai l'Italia del 1848. - Ma che cosa tutte queste speranze e questa balda fiducia misero poi capo è purtroppo noto; e il nostro cuore ancora sanguina al pensiero di quelle lotte orrende e di quella ricaduta sotto un più duro regime che non fosse la dittatura di un Primo de Rivera.

"La Spagna volle abbracciare tutti insieme problemi di diversa natura (...) su ciò il suo popolo si divise"

Ora io so bene che l'Italia non è la Spagna, cioè (perché non si dia a questa mia parola un senso, lontanissimo dal mio animo, di poca stima verso quel popolo)  che la storia d'Italia non è stata la storia della Spagna, ma assai più di questa, ricca di esperienze democratiche e di spiriti laici e con una grande tradizione di pensiero indipendente e umanistico, e una letteratura  e perfino una classica poesia di elevato tono civile. Ma questo, se tempera il pessimismo delle immaginazioni, non deve farci dimenticare il pericolo nel quale la Spagna cadde e si sommerse,  e nel quale noi anche possiamo incorrere. La Spagna, tendendo a libertà, volle allora abbracciare tutti insieme problemi di diversa natura, dalla lotta contro il clero alla questione agraria;  e su ciò il suo popolo si divise in guerra civile e le sue terre furono bagnate da fiumi di sangue fraterno. Non già che essa non dovesse trattare e risolvere quelli ed altri problemi; ma volle ciò fare prima che la libertà fosse stata assisa veramente nei cervelli e nei cuori del suo popolo, assodata,  garantita,  diventata la piattaforma comune,  e da tutti alla pari rispettata nelle particolari contese.

Ora io, per l'ufficio che mi è toccato di esercitare di scrittore politico,  non mi sono stancato di insistere, negli ultimi anni,  su questo punto: che la ricostruzione e l’assicuramento della libertà precede ed è fondamentale e non bisogna mescolare e controllare i suoi problemi con gli altri di carattere variamente particolare, ne’ illudersi che si possa,  con gli allettamenti di particolari riforme e di vantaggi economici attirare a quella, giacchè, con procedimenti siffatti (del caso, non la libertà ma la vana sua apparenza, la retorica democratica o piuttosto demagogica, rumorosa e vacua, energica a parole e debole nel fatto, è tale da crollare al primo urto. Perciò volli tenere nettamente distinto il problema morale  (o etico politico come lo definiì in termini dottrinali) dai problemi economici, non già per indifferenza o tepidezza verso questi problemi,  ma anzi per la chiara visione che essi possono essere veramente proposti e risoluti solo quando si osservi la sopraddetta distinzione. Confusion Mater errores e, purtroppo,  non di errori soltanto teorici. Come potrebbe il liberalismo essere tenuto indifferente ai problemi economici, se esso sa che l'economia è la materia che dovrà foggiare e se, col dar libero campo a tutti i partiti, col proteggerli tutti, dà a tutti il modo di propugnare e far valere le loro richieste concretando in tal guisa la politica nell'economia? Ma questo modo non deve incidere sulla consistenza stessa della libertà.

E chiaro? A me pare chiaro e perché non vi siano intorno a ciò equivoci mi piace rammentare che già da una quindicina  di anni svincolai, nei miei lavori filosofici, il liberalismo (politico)  da liberismo (economico) né più né meno da come lo svincolai dal protezionismo, dal comunismo e da qualsiasi altra tendenza. Comunismo e liberismo e le altre tendenze hanno del pari diritto di lottare e riportare vittorie l'una sull'altra e divenire tra loro, come usano, a transazioni e ad accordi; ma nessuna d’esse deve chiedere il soccorso della violenza (o come si dice eufemisticamente, della provvisoria dittatura o dell'autorità) perdere così per la vita la causa stessa della vita cioè la libertà.

Uniamo dunque, tutti, di tutti i partiti, formati o in formazione, le nostre forze per dar forza al comune nostro fondamento  la libertà¸e stiamo vigili contro le deviazioni che possano essere prodotte  dai nostri  particolari affetti i quali per troppo desiderio di attuarsi prontamente, finirebbero per distruggere, insieme con essa, se medesimi.

La libertà deve essere negli animi una religione, col sublime delle religioni, col loro rigore e i loro scrupoli; e se questa religione per mezzo dell'oppressione sofferta, metterà in Italia più larghe e più profonde radici che non avesse in passato, anche quell’oppressione non sarà stata invano.

Mi abbia con cordiali saluti

Suo aff.mo

Benedetto Croce

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