08 Settembre 2020
Donna afghana (fonte LaPresse)
Con l'arrivo dei Talebani nel 1996, le donne afghane erano state private di tutti i diritti raggiunti in anni di battaglie: non potevano più frequentare la scuola, l'università e gli uomini diventavano la loro fonte di sostentamento, padroni della loro identità.
Nonostante alcune vittorie raggiunte dopo la caduta dei Talebani, in Afghanistan la condizione sociale delle donne rimane ancora molto precaria. La mentalità conservatrice del Paese, che ancora le relega in una condizione subalterna a quella dell'uomo, non le ha comunque scoraggiate. Unite sotto l'hashtag #whereismyname? le donne afghane hanno combattuto per ottenere il diritto di avere il proprio nome sui loro documenti e, ora, la battaglia sembra vinta.
Partito dalla città di Herat, il movimento 'Whereismyname?' ('Dov'è il mio nome?'), nato su Facebook grazie all'attivista per i diritti delle donne Tahmina Arian, ha conquistato, con il passare del tempo, sempre più consensi dentro e fuori il paese. "Il cambiamento al sistema di identificazione riguarda il ripristino del diritto più fondamentale e naturale delle donne, un diritto che viene loro negato. Stampando il suo nome, diamo alla madre il potere, e la legge le conferisce determinate autorità per essere una madre che può, senza la presenza di un uomo, ottenere documenti per i suoi figli, iscrivere i suoi figli a scuola, viaggiare", aveva dichiarato Laleh Osmany, attivista tra le capofila del movimento.
Ora che è stata approvata una proposta di modifica della legge sul censimento per includere il nome della madre sulla carta d’identità dei figli, le donne afghane hanno la certezza di non aver combattuto invano. Sarà il Parlamento del Paese a decidere di approvare l'emendamento con la firma del Presidente.
Se la legge per il riconoscimento dell'identità fosse approvata, le donne afghane non sarebbero più costrette ad essere definite in base al grado di parentela che hanno con un uomo e per la prima volta il loro nome comparirebbe sulle loro lapidi, al posto di "la figli di", "la madre di", "la cugina di". La loro identità non verrebbe più omessa nei certificati di nascita dei loro figli e negli inviti di nozze ci sarebbe anche il loro nome.
La modifica di legge ci fa ben sperare, ma in una società conservatrice e patriarcale come quella afghana, le vecchie usanze sono dure a morire. Forse, nella vita di tutti i giorni, le donne afghane continueranno ad essere chiamate dagli uomini con epiteti disumanizzanti quali "la mia gallina", "la mia oca", ma intanto avranno un documento che attesta che loro esistono e che hanno un nome.
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