28 Novembre 2020
La manifattura italiana, così come quella degli altri paesi, ha subito un forte shock che probabilmente continuerà a condizionarne i comportamenti per un tempo ancora impossibile da determinare. Carlo Bonomi, Presidente di Confindustria, apre il convegno "Scenari industriali CSCS: Manifattura mondiale colpita dallo shock pandemico" tenutosi questa mattina in modalità virtuale. "Con l’esplodere della pandemia - afferma Bonomi - è cambiato l’ordine delle priorità e i governi si sono orientati verso politiche interventiste tralasciando le politiche economiche. Tuttavia, l’attenzione per problemi congiunturali rischia di farci perdere di vista le esigenze che gli impetuosi cambiamenti impongono".
"Nonostante il sistema industriale italiano abbia mostrato resilienza e abbia contribuito al rialzo del terzo trimestre, a causa della seconda ondata di contagi parleremo di ripresa per il 2022" prosegue il Presidente di Confindustria. "Occorre un forte recupero, altrimenti l’Italia rischia di non riuscire a sfruttare pienamente le opportunità offerte dal Next Generation Eu".
Interviene, durante il convegno organizzato dal Centro Studi Confindustria, il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli che afferma: “Tenterò di far cambiare idea al Presidente Bonomi che dice che non c’è un piano di sviluppo per il post pandemia. Non posso non fare il punto della situazione in atto. Il lavoro fatto con Confindustria e con le parti sociali durante il lockdown ci ha portato ad affrontare la seconda fase con più forza e continuare a produrre". "È tuttavia chiaro - prosegue il Ministro - che la domanda è molto bassa poiché chiediamo ai cittadini di stare fermi e anche la parte industriale ne risente ".
"Il rimbalzo che c’è stato dopo il crollo del secondo trimestre è stato più alto delle aspettative. Credo che tutti i paesi hanno avuto le medesime difficoltà ad affrontare la seconda ondata per quanto fosse stata prevedibile. La realtà ci mostra che nonostante la seconda ondata sia stata molto forte siamo stati resilienti. Abbiamo contenuto i danni al di là del necessario intervento sul blocco dei licenziamenti" .
"Anticipo - afferma il Ministro Patuanelli - che tra oggi e domani convocheremo un Consiglio dei Ministri in seguito al quale emaneremo un decreto che sospende tutte scadenze fiscali da qui a fine anno per tutti e cerca di dare ulteriore sostegno alle imprese".
"Ovviamente abbiamo affrontato questo periodo di emergenza con gli strumenti che avevamo, qualche errore è stato fatto perché è stata situazione senza precedenti e non avevamo il libretto delle istruzioni. Il presidente Bonomi ha ragione, dobbiamo pensare a ciò che accadrà favorendo il processo di trasformazione della globalizzazione in campo digitale altrimenti l’Europa rischia di essere un vaso di coccio tra due colossi che si muovono: Stati Uniti e Cina" .
"Ho incontrato Bruno Le Maire, Ministro dell’economia e delle finanze francese, con cui ho parlato di quanto sia fondamentale garantire le indipendenze produttive europee e il rapporto tra Italia, Francia e Germania, in tal contesto e a tal fine, deve essere di stretta collaborazione".
"Dobbiamo avere la capacità di individuare le filiere portanti e trainanti dell’Europa e favorirle. Sarà inoltre centrale superare gli egoismi dei singoli paesi e capire a livello europeo dobbiamo dare una risposta comune. Questo nuovo modo di pensare la globalizzazione deve farci riflettere su quattro temi: capacità di analizzare i mercati con flessibilità, innovazione su ricerca e sviluppo e flessibilità nell’organizzazione aziendale".
"Il piano nazionale industria 4.0 presenta una discontinuità rispetto a 4.0 precedente. Si tratta di un pacchetto che ha capacità più ampia per le imprese che vogliono investire. Rafforza tutte le aliquote e aumenta i massimali e che interviene certamente su parte 4.0 con focus specifico e cerca di sostenere imprese che vogliono investire".
"Tuttavia, bisogna garantire a impresa sostenibilità ambientale ma anche economica. Noi dobbiamo accompagnare transizione verde garantendo che gli asset industriali del nostro paese non siano distrutti da questa transizione. Lo stato non può essere assente rispetto a questo processo di transizione che deve essere fatto in maniera graduale e consapevole. Quando abbiamo presentato il piano di incentivazione del fotovoltaico, non ci siamo preoccupati di garantirci la creazione di un asset industriale fotovoltaico nel nostro paese. Abbiamo dunque sostenuto l’asset industriale di altri paesi e non il nostro e questo non deve più accadere. Sul tema Idrogeno, dobbiamo avere le forze di creare risorse per la sua creazione in maniera autonoma".
"Inoltre, Non dobbiamo dimenticarci che il trasferimento tecnologico funziona nel momento in cui esiste una rete in cui tali competenze si incontrano. Abbiamo mappato tutto ciò che c’era e ci siamo resi conto della frammentazione tra digital innovation, commercio, centri di trasferimento tecnologico. Questi settori non hanno mai fatto rete, non hanno compreso esigenza di collaborare. Stiamo intervenendo con progetti specifici" .
"Bisogna intervenire su capitale umano dal momento che rischiamo che lo di tecnologie emergenti sia più veloce del processo con cui formiamo persone che poi devono lavorare con queste tecnologie. Oltre ciò dobbiamo rendere più attrattivo il nostro paese. Le nostre imprese spostano talvolta la produzione altrove. Non possono mancare elementi di supporto a chi vuole riportare la produzione nel nostro paese. Lavoriamo inoltre sul rafforzamento patrimoniale delle nostre imprese" .
"Credo che tutto questo rappresenti un nuovo modello di sviluppo per il nostro paese con un forte focus su digitalizzazione, sostenibilità e formazione. In questo quadro di incertezza, i vaccini danno la prospettiva di un approccio al problema sanitario che non avrà durata infinita ma che probabilmente produrrà effetti verso l’estate. Oggi non è possibile la programmazione di ciò che accadrà" .
"Apprezzo la coraggiosa scelta di porre immediatamente, nella parte iniziale del rapporto, l’accento sull’importanza del cambiamento climatico" afferma Gian Maria Gros-Pietro, Presidente del Consiglio di Amministrazione di Intesa Sanpaolo. "Il Ministro Patuanelli - prosegue Gros-Pietro - ha giustamente ricordato che l’Italia è il settimo paese manifatturiero mondiale e il secondo europeo. La posizione delle associazioni imprenditoriali europee è stata a lungo quella di negare importanza del cambiamento climatico. Il rapporto riconosce esplicitamente origine antropica del cambiamento climatico in atto, cita il picco raggiunto rispetto agli ultimi 800mila anni e riconosce che cambiamenti che si produrranno potranno essere irreversibili. La lotta al cambiamento climatico è una sfida rispetto alla quale la pandemia è qualcosa di assai meno minaccioso perché la pandemia sarà superata e non sarà irreversibile" .
"L’Italia ha sempre avuto industria strutturalmente poco energy intensive e questo significa che noi abbiamo un vantaggio competitivo: siamo in grado di subire meno il costo della transizione. Possiamo anche affermare che i combustibili fossili vanno eliminati, ma se non abbiamo prodotto un sostituto non funziona. Chi gestisce una banca e decide quali investimenti finanziare il problema se lo pone in termini di rendere praticabile il passaggio da assetto produttivo ad altro".
"L'Italia è un paese che ha non solo grande capacità manifatturiera ma anche grande capacità esportativa. Nostro saldo è fortemente positivo mentre fortemente negativo per spagna Francia Inghilterra e USA. Questa è una posizione su cui possiamo contare e che va difesa, la difficoltà è mantenere un raggio di esportazione elevato. L’Italia è inoltre uno principali paesi produttori di macchinari".
"Le imprese italiane - prosegue il Presidente del Consiglio Amministrativo di Intesa Sanpaolo - si sono rafforzate dal punto di vista finanziario negli ultimi anni. Si sono preparate bene al cambiamento reso necessario da trasformazione dei mercati finanziari che avevano accettato alti gradi di indebitamento negli anni 2000. Con l’inizio della crisi sanitaria i depositi hanno registrato forte aumento in Europa che si è dimostrato maggiore per le imprese rispetto alle famiglie hanno timore per futuro e quindi risparmiano. Parte del risparmio è dovuto al fatto che molti consumi non sono disponibili (viaggi). Le Imprese hanno aiutato provvedimenti governo. Le banche possono fare molto per aiutare le imprese e favorirle, il mondo non si è fermato e non si fermerà per la pandemia e continuerà rapidissimo spostamento verso digitalizzazione e sostenibilità" .
Nel guidare le imprese, credo si debba guardare all’insieme di questi problemi. Non è più sufficiente per un'impresa essere sana finanziariamente ed economicamente. Cambiamento necessario perché abbiamo toccato il limite dell’espansione di economia mercato con libera impresa, ma questo sistema deve farsi carico di esigenze ambientali e sociali senza le quali il sistema potrebbe essere messo in discussione”.
Maurizio Marchesini, vice presidente Confindustria per le filiere e le medie imprese, intervenendo durante la presentazione, afferma: "La crisi economica, che sappiamo tutti essere strettamente correlata a quella sanitaria, si risolverà solo intervenendo su crisi sanitaria. Tutti sappiamo che la crisi è temporanea, ma quando durerà questo 'temporaneo'? Nessuno può saperlo. Ciò che è certo che questa crisi, assolutamente esogena rispetto all’economia, è violenta e transitoria e lascerà delle tracce profonde" .
"Nonostante tutto - prosegue Marchesini - l’Italia mantiene il settimo posto a livello mondiale. Direi che partiamo da questa buona notizia e da questi dati positivi per provare a comprendere quale sia il futuro dell’impresa manifatturiera del nostro paese". La guerra commerciale prima e la pandemia poi hanno bloccato processo di fornitura a livello globale. Vedremo una globalizzazione più attenta al mercato interno e l’Europa e anche la produzione cambierà. Sicuramente ci sarà accorciamento della catena di valore, ma quale sarà il ruolo dell’Italia e del suo apparato produttivo in questa complessa situazione?
Abbiamo una struttura industriale agile e veloce, abbiamo dimostrato di saperci adattare al cambiamento. Il ruolo dell’impresa italiana è da sempre quello di produrre cose complicate e di qualità che altri territori non sono in grado di fare. Questa è la nostra vocazione, ma basterà per entrare nelle catene di valore? Le sfide che abbiamo davanti richiedono capitali. In questa situazione dovremo favorire la possibilità di collaborazioni con società estere che portino le nostre imprese nel mondo. Necessitiamo di formazione adeguata perché siamo di fronte a un paradosso: disoccupazione giovanile da un lato e imprese che non riescono a trovare personale specializzato. Questo è uno dei problemi che sta frenando la crescita italiana" .
La manifattura mondiale è tuttora sotto lo scacco della pandemia, dopo aver subito un forte shock che seguiterà a condizionare i comportamenti per un tempo ancora indeterminato. Secondo le attese, nessuna tra le principali aree industrializzate del pianeta sarà in grado di evitare nel 2020 una forte contrazione del valore aggiunto, ad eccezione della Cina, che registrerà una moderata espansione (+2,1%, il tasso comunque più basso da oltre tre decenni. Il 2020 dovrebbe chiudersi con una crescita negativa del 5,1%, non lontana da quella osservata nel 2009 (-6,0%). Negli anni a venire l’architettura internazionale della produzione subirà cambiamenti importanti, che comporteranno una ridislocazione dei flussi commerciali e di investimento. In prospettiva la “soluzione del problema produttivo” è destinata ad assumere contemporaneamente forme differenziate, tra cui la possibile re-importazione (re-shoring) di fasi produttive già affidate a fornitori esteri o una loro ridislocazione a scala continentale (near-shoring).
L’Italia compare ormai stabilmente al settimo posto della graduatoria mondiale dei principali produttori manifatturieri, con una quota del 2,2%, davanti alla Francia (1,9%) e al Regno Unito (1,8. E compare tra gli esportatori mondiali con la performance migliore: secondo il trade performance index elaborato da wto e unctad occupa le prime tre posizioni al mondo in otto raggruppamenti settoriali su dodici, subito dietro la Germania.
L’impatto della pandemia sui livelli di attività della manifattura italiana è stato immediato e violento. Nei due mesi di lockdown (marzo e aprile) la produzione è diminuita mediamente di oltre il 40%, anche se con un profilo fortemente disomogeneo a livello settoriale (dal -92,8% della produzione di prodotti in pelle al -5,5% del farmaceutico). Il recupero dei livelli produttivi da maggio è stato pressoché istantaneo, così che nel giro di quattro mesi il livello di produzione è tornato intorno ai valori di gennaio con un incremento del 76% rispetto al minimo toccato in aprile. Ma le prospettive per i mesi autunnali sono tornate negative.
Il rallentamento produttivo dell’Italia non costituisce una anomalia nel confronto internazionale. Nel confronto con altre grandi economie europee l’Italia mostra anzi una contrazione dei tassi di crescita relativamente contenuta, oltre che una maggiore reattività allo shock pandemico.
Il deficit di crescita è però ormai strutturale. Agisce su di esso – oltre a una incertezza divenuta ormai permanente – la graduale erosione della domanda interna, che limita la possibilità per i produttori nazionali di trovare spazio sul mercato domestico. Spicca in questo ambito il crollo della componente pubblica degli investimenti (in costante flessione dal 2011), mentre la componente privata si è risollevata (anche grazie agli effetti positivi del Programma “Industria 4.0).A partire dal 2014 si è registrata una fase di ripresa dei flussi di investimento (che ha riguardato i soli investimenti privati), arrivata fino al 2018 (tra 2014 e 2018 si registra una variazione positiva di quasi il 13%, ma il livello raggiunto è inferiore di quasi 20 punti percentuali rispetto al picco del 2007).
Il progressivo assottigliarsi dei livelli di attività non poteva essere privo di conseguenze sulle dimensioni stesse dell’apparato produttivo. Una stima prudenziale della variazione cumulata del saldo per i soli anni 2017-2020 indica una contrazione del numero delle imprese superiore alle 32mila unità. Ilnumero degli entrate di nuove imprese sul mercato è divenuto di gran lunga inferiore a quello delle uscite, ovvero i processi di formazione di nuove imprese non sono più in grado – diversamente dal passato – di garantire l’espansione della base produttiva.
L’uscita dalla pandemia coinciderà con cambiamenti importanti negli stessi driver dello sviluppo, nell’ambito dei quali la transizione green svolgerà un ruolo importante. L’industria italiana affronta la sfida della sostenibilità ambientale competitiva potendo contare su un vantaggio strategico da first mover rispetto a molti dei suoi partner internazionali, avendo già da tempo introdotto un approccio “responsabile” alla produzione e al consumo di risorse. Presenta infatti un ridotto impatto in termini di rifiuti solidi prodotti, grazie ad un approccio circolare all’uso delle risorse (grazie alle attività di riciclo e recupero è stato infatti possibile re-immettere nel sistema economico l’83% circa dei rifiuti speciali prodotti in Italia, contro l’81% registrato in Germania, il 71% in Francia, il 60% del Regno Unito e una media UE del 53%) e un ridotto impatto in termini di emissioni di gas serra prodotti dalle attività di trasformazione. Infatti, secondo le stime del Centro Studi Confindustria, la manifattura italiana si colloca al quarto posto tra le principali economie globali, al terzo nella UE, per minor intensità di CO2 (CO2 in rapporto al valore aggiunto), su livelli equivalenti a quelli registrati dalla manifattura tedesca. Rispetto alla media UE, l’intensità delle emissioni di CO2 della manifattura italiana è inferiore del 31%. La bassa impronta di carbonio della manifattura italiana nel confronto internazionale è spiegata soprattutto da livelli di efficienza ambientale dei processi industriali tra i più elevati al mondo
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