15 Giugno 2020
Di Giovanni Cagnoli
La crisi sanitaria generata dal coronavirus può dirsi quasi archiviata, ora bisogna affrontare una nuova drammatica emergenza, quella economica. L’aspetto più preoccupante della situazione italiana è l’assenza di consapevolezza sulla reale portata del patto intergenerazionale di lungo termine che sembriamo colpevolmente ignorare. Le persone tra 50 e 60 anni che saranno beneficiarie nei prossimi 20 anni di welfare e trasferimenti per il loro mantenimento dopo essere usciti dal mondo del lavoro sono circa 10 milioni. Le persone tra 15 e 25 anni che entreranno nel mondo del lavoro sono 6 milioni circa. C’è un abisso e una vera e propria bomba demografica in arrivo. La società italiana deve farsi carico di questa emergenza demografica conclamata che nei successivi 10 anni (dal 2030 al 20409 peggiora ancora di più. Nei prossimi 20 anni il nostro paese “perde” circa 7,2 milioni di cittadini (cioè il 20% del totale) in età lavorativa (da 20 a 65 anni) con conseguenze catastrofiche sul pil, sulla generazione di risorse fiscali per pagare le pensioni e della stabilità stessa del nostro stesso patto sociale.
Per capire la portata di tutto ciò a parità di partecipazione al lavoro è necessario che la produttività cresca del 20% e cioè dell'1% all’anno per ottenere crescita del pil pari a… 0%. Se il pil cresce 0% pero il nostro debito è assolutamente insostenibile e quindi bisogna che la produttività cresca molto di piu dell’1% oppure che la partecipazione al lavoro salga drasticamente. La sfida tremenda da superare è molteplice. Per riferimento nel lungo periodo 2003-2017 (dati ocse) la crescita della produttività del lavoro in Italia è stata inferiore allo 0,1% all’anno cioè 1/10 di quanto necessario nei prossimi 20 anni per avere crescita zero. Tremendo. La crescita della produttività richiede investimenti infrastrutture, digitalizzazione, riduzione della burocrazia e degli adempimenti improduttivi cioè l’agenda dichiarata e mai realizzata delle riforme negli ultimi 30 anni. La differenza oggi è che se non lo facciamo davvero dovremo distruggere progressivamente il nostro stato sociale e ridurre il livello di benessere di tutta la comunità. Senza appello e senza scorciatoie perché la possibilità di fare debiti ulteriori dopo la stagione sciagurata dell’indebitamento 1980-95, dopo la stagione del mancato risanamento 1995-2020, e dopo il covid è totalmente preclusa.
Non potremo più vivere sopra i nostri mezzi e se non miglioriamo drasticamente la produttività del lavoro e la partecipazione al lavoro soprattutto al Sud e delle donne vivremo molto peggio. Il covid non ha fato altro che rendere evidente e drammaticamente immediato ciò che era già scritto tra 5 anni. La sveglia è suonata in modo fragoroso ma gran parte del mondo politico percepisce l’opposto e cioè la capacita di “spendere in deficit” senza più vincoli europei, senza comprendere che dall’anno prossimo questo ipotetico lusso sarà trasformato nell’opposto e cioè la urgente necessita del rientro. A me ricordano i suonatori sul Titanic, ma l’immagine è forse troppo cruda.
Le azioni urgenti anzi urgentissime. I piani sono tutti condivisibili. Bisogna però darsi scadenze temporali urgenti precise e numeriche. Le azioni di investimento, aumento della partecipazione al lavoro, svilupp del Sud, miglioramento delle infrastruttura, stimolo della famiglia e della natalità, sburocratizzazione, digitalizzazione vanno documentate, calendarizzate e realizzate immediatamente. Conta molto di più il quando del come. Bisogna avere scadenze precise, programmi di realizzazione vincolanti e capacita di esecuzione di programmi complessi eccellente. Vogliamo confrontare i risultati sul tema finanziamento alle imprese, cassa integrazione, inps, mascherine e quant’altro? Solo quello che ci attende è tremendamente più complesso di questi compiti che erano abbastanza semplici da realizzare concretamente.
Il disastro covid sembra essere ormai archiviato nelle conseguenze sanitarie. Adesso dobbiamo combattere una battaglia ben più ardua e cioè la sopravvivenza del nostro tessuto economico e sociale così come lo conosciamo, la prospettiva di vita e di benessere dei nostri giovani e soprattutto la difesa del ruolo nel mondo della nostra comunità nazionale per non diventare tra 20 anni un paese in ritardo cronico sull’innovazione, con un livello di benessere ormai non più di eccellenza ma di secondo piano . Insomma dobbiamo fare in modo che il paese vivace e florido che ci hanno lasciato i nostri genitori non si trasformi in un posto dove fare le vacanze a basso costo per chi altrove ha saputo crescere innovare intraprendere. Non ce lo meritiamo proprio ma bisogna anche essere onesti. Dobbiamo guadagnarlo centimetro per centimetro in una lunga rincorsa. Con tanto lavoro, capacita e serietà, mettendo a governarci che è capace e non chi trova lo slogan migliore. Dipende alla fine da tutti noi e se una comunità non trova al suo interno la forza per rinnovarsi e sostenersi … allora è giusto che il declino la renda meno prospera e meno attrattiva. Non è colpa dei politici o di chicchessia. È colpa nostra se non riusciamo a trovare le forze per eleggere ottimi politici, creare aziende eccellenti, avere giovani che lavorano con produttività elevatissima dopo un’istruzione ottima, pagare le giuste tasse e avere la spinta ideale a essere migliori di quanto siamo stati in passato. Proviamoci almeno.
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