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Queen Elizabeth, tutte le canzoni dedicate alla Regina spiegate: dai Beatles ai Sex Pistols

La regina Elisabetta ha, nel corso della sua vita, dato adito a dozzine di canzoni a lei dedicate, vuoi per il fascino romantico della sua figura, vuoi per polemizzare. Vediamo assieme le più importanti

09 Settembre 2022

Beatles, Sex Pistols, The Smiths, Pet Shop Boys: solo alcuni grandi nomi di musicisti che hanno voluto dedicare una canzone alla regina. Si spazia da brani onirici e surreali, legati all'alone romantico che aleggia sulla figura di sua maestà, a feroci tirate antimonarchiche, come quella - mitologica - dei Sex Pistols. Ripercorriamo la storia di una regina che, nella sua vita, ha avuto davvero tanto a fare con i musicisti.

Tutti i capolavori rock ispirati dalla regina Elisabetta

1) Her Majesty - The Beatles (1969). Il primo brano che analizzeremo, avanzando in ordine cronologico, è quello dei Beatles. Come è universalmente noto, i ragazzi di Liverpool erano considerati un vero e proprio orgoglio nazionale; non solo un band dall'incredibile successo commerciale, ma anche in grado di influenzare il pensiero musicale di un'intera generazione, sintetizzando e rendendo accettabili al grande pubblico gli aspetti stravaganti e sperimentali del rock psichedelico. La Regina aveva dunque deciso di nominarli baronetti nel 1965, generando scandalo e sorpresa. La cerimonia fu bizzarra e surreale, come lo è la - brevissima - canzone che i Beatles le dedicarono quattro anni dopo. Her Majesty chiude lo storico album Abbey Road; è una delle prime ghost track della musica moderna, e dura soli 25 secondi. È una breve ballata fiabesca, senza pretese, il cui elemento più surreale sta forse nel fatto che Queen Elizabeth vi appare ritratta come una ragazza assolutamente normale: "Sua Maestà è una ragazza piuttosto carina / anche se non ha molto da dire"... Paul McCartney aggiunge che "cambia ogni giorno", e anche se è ubriaco "un giorno la farò mia". Un tributo curiosamente umile, giocoso, romantico. La regina evidentemente apprezzò, perché molti anni dopo, nel '95, gli conferì l'investitura di cavaliere.

2) God save the Queen - Sex Pistols (1977). Il contrasto tra Her Majesty e il l'anthem generazionale dei Sex Pistols God Save the Queen non potrebbe essere più stridente, ed esemplifica il cambio di mentalità generazionale che passa da una band fondamentalmente conformista come i Beatles, alla energia ubriaca e "cazzona" della Punk Generation. Rilasciata durante il Giubileo d'Argento della regina del 1977, è un feroce inno antimonarchico, che mette a nudo l'ipocrisia dell'istituzione della monarchia inglese. "God save the Queen / and her fascist regime" il memorabile attacco: il verso "cause tourists are money" ironizza sul tipico argomento che la monarchia è giustificata perché "porta tanto turismo". John Rotten deride amaramente la "parata assurda" della storia inglese, basata su crudeltà e ingiustizie, e ironizza sul fatto che "non ci sono peccati se non c'è futuro". L'outro, urlato, ripete "no future, no future"; l'inno di una generazione nichilista che non era più disposta credere nella fiaba della monarchia. Le reazioni all'uscita del brano furono durissime: Rotten subì un tentativo di accoltellamento, e la BBC bandì il pezzo, che raggiunse comunque la prima posizione in classifica. Molti invece lo adorarono, tra di loro lo scrittore William Burroughs che spedì una lettera di congratulazioni alla band.

3) The Queen is dead - The Smiths (1986). Un altro inno cinico che deride la fascinazione bambinesca verso la monarchia, citando vecchie ballate anteguerra e chiedendo al principe Carlo se non fantastichi di prendere il posto della madre, mettendosi il suo "vestito da sposa". Morrisey immagina di parlare con la regina, che gli dice "che non sa cantare", per poi passeggiare assieme parlando "amore, povertà, legge e altre cose che mi uccidono". Altre prese in giro a Carlo: "è difficile parlare di castrazione / quando sei appiccicato al grembiule di tua madre". Infine, la notizia della morte della regina, e la presa di coscienza cupa della solitudine: "Life is very long, when you're lonely". Un brano surreale che racconta la disillusione della società britannica, la fine di certi ideali di cui è rimasto solo un rimasuglio ridicolo, come appunto (secondo Morrisey) la monarchia; racconta anche le delusioni della band nello show-business, il desiderio di Morrisey di essere altrove. Una hit cupa che riflette tutta l'anemia e la disillusione del mondo post-punk, che dall'epoca dei Pistols ha ereditato "lo scazzo" ma non l'energia.

4) Elizabeth my dear - The Stone Roses (1989). Un'altra canzone molto breve, e un'altra tirata molto violenta contra la monarchia. Sulle note leggiadra della ballata Scarabough Fair, la band alternative-rock declama strofe: "Fammi a pezzi e fai bollire le mie ossa / non mi fermerò finché le non perderà il trono / il mio scopo è sincero / il mio messaggio chiaro / è il momento di chiudere le tende / mia cara Elisabetta". Dall'album The Stone Roses, una sorta di parodia o inversione della leggiadra ballatella dei Beatles.

5) Dreaming of the Queen - The Pet Shop Boys (1993). Un pezzo dagli arrangiamenti onirici e magici nello stile dei Pet Shop, in cui l'autore si immagina di essere visitato in sogno dalla regina Elisabetta e da Lady Diana; e con loro intrattiene una struggente conversazioni sull'amore. "I'm aghast / Love never seems to last / However hard you try", dice desolata la regina, mentre Lady Diana conferma che "tutti gli amanti sono morti". Una metafora della condizione degli omossessuali decimati dall'AIDS e dalla discriminazione. Prima di svegliarsi sudato, Christopher Lowe si immagina di trovarsi nudo in mezzo alla folla a firmare autografi, mentre la Regina lo guarda con disapprovazione.

Dunque la regima come bersaglio polemico, ma anche come fascinosa vestigia di un passato favoloso e perduto. Possiamo solo sperare che, nel bene e nel male, Queen Elizabeth continui a ispirare i musicisti, che sia per ballate poetiche, visite in sogno o feroci invettive.

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