24 Settembre 2023
Napolitano e Gheddafi
Re Giorgio santo subito, ma non si può dimenticare che fu proprio Napolitano a suonare la carica per bombardare la Libia. Il vero plotone di esecuzione, prima di quello che ha "fucilato" il Cavaliere, è stato schierato contro il colonnello Muammar Gheddafi. Giorgio Napolitano, presidente della Repubblica nel 2011, spingeva al massimo l'intervento in Libia: "Non lasciamo calpestare il Risorgimento arabo". Dodici anni dopo il risultato è sotto gli occhi di tutti con un impatto diretto sull'Italia fra migranti (oltre 35mila solo quest'anno) e contratto sfumati già firmati fra l'Eni e Gheddafi.
Il momento chiave è stata la riunione improvvisata, la sera del 17 marzo 2011, al teatro dell'Opera di Roma per i 150 anni dell'Unità d'Italia. Il maestro Riccardo Muti dirigeva il Nabucco quando a New York l'Onu votava la risoluzione per intervenire in Libia. Le spinte di francesi, inglesi e americani erano fortissime. In tutta fretta si organizzò un vertice informale a teatro con il capo dello Stato, il premier Berlusconi, il suo consigliere diplomatico Bruno Archi, Gianni Letta e il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Il responsabile degli Esteri Franco Frattini era collegato da New York. Allora l'attuale ministro della Difesa, Guido Crosetto, sottosegretario dello stesso dicastero, era fermamente contrario a bombardare la Libia. E non solo lui. Berlusconi ripeteva: "Ho dato la mia parola a Gheddafi, che non l'avrei attaccato. E poi non ha fatto niente, niente". Napolitano con la risoluzione dell'Onu appena approvata e i caccia francesi già in volo insisteva sulla guerra. Archi faceva notare che l'Italia non poteva chiamarsi fuori dalla decisione dell'Onu, ma la cancelliera tedesca, Angela Merkel, non ha partecipato a bombardamenti rimanendo neutrale fin dall'inizio.
L'ultimo a cedere fu Berlusconi nonostante le ritrosie della Lega sempre contraria a bombardare Gheddafi. Il capo dello Stato poteva contare su una sfilza di scudieri del Pd in Parlamento. Pierluigi Bersani sosteneva di avere le idee chiare: "Non siamo bellicisti, andiamo lì per evitare il massacro. Tutto il resto si risolve con la democrazia". E fece votare una mozione che in pratica obbligava il governo all'intervento. Pure Dario Franceschini soffriva sul fuoco a favore della primavera araba. Un'altra pro bombe era Anna Finocchiaro. La capogruppo Pd al Senato suonava la carica: "L'intervento è necessario perché senza un cessate il fuoco delle truppe fedeli al Rais nessuna transizione democratica può avviarsi". Abbiamo visto come è andato a finire il più grave errore strategico dell'Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Fonte: IlGiornale.it
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