16 Dicembre 2025
Donald Trump riesce nell’impresa che pochi osano tentare: trasformare un necrologio in un’autobiografia trionfale con un bel post su X. Si parte con il tono grave, da campane a morto, e nel giro di tre righe siamo già alla diagnosi clinica, alla colpa morale certificata e, naturalmente, all’auto-applauso finale.
Rob Reiner e la moglie muoiono due volte: prima per mano del figlio, poi soccombono alla Trumpologia, materia medica che il Tycoon insegna da solo, si valuta da solo e si premia da solo.
La scena è sempre la stessa: Trump al centro, il mondo intorno che implode perché incapace di reggere la sua grandezza. Le persone non dissentono: si ammalano. Non criticano: impazziscono. Non muoiono: vengono simbolicamente schiacciate dal suo successo cosmico. E mentre parla di pace eterna, riesce a insultare, patologizzare e autocelebrarsi in un unico respiro, che è un talento raro, va detto.
Eppure, nel delirio messianico, c’è qualcosa di quasi infantile. Trump sembra davvero convinto di essere il protagonista buono del film, quello che salva l’America mentre gli altri, cattivi e isterici, scivolano via sullo sfondo. È megalomane, sì. È sguaiato, certo. Ma forse, nel suo universo parallelo fatto di specchi dorati e standing ovation immaginarie, pensa sinceramente di fare del bene. Diversamente non si spiegherebbe quando scrive "...una malattia che paralizza la mente nota come SINDROME DA DERANGIAMENTO DI TRUMP, talvolta chiamata TDS".
Il problema è che nel suo mondo ogni tragedia è colpa dell’anti-Trump, ogni successo è merito suo e ogni funerale diventa un comizio. Non è cinismo: è fede assoluta in se stesso. E alla fine, più che paura, suscita una risata incredula. Perché solo Trump riesce a dire “riposa in pace” mentre si incorona Imperatore del Tempo.
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