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Raid USA nei Caraibi: tre morti in un attacco anti–narcotraffico che accende la tensione con Caracas

Un’operazione americana contro una nave sospettata di traffico di droga riapre lo scontro geopolitico tra Washington e il Venezuela. Maduro invoca Mosca e Pechino, mentre cresce la tensione nel Mar dei Caraibi.

13 Novembre 2025

Trump, Maduro

Trump, Maduro, fonte: Wikipedia

L’attacco nel Mar dei Caraibi: tre vittime e un messaggio politico

Un nuovo raid dell’aeronautica statunitense ha colpito, sabato scorso, un’imbarcazione sospettata di trasportare stupefacenti al largo del Mar dei Caraibi, causando la morte di tre persone. L’operazione – confermata dal Segretario alla Guerra Pete Hegseth tramite un post sul social X – sarebbe stata direttamente autorizzata dal presidente Donald Trump e condotta in acque internazionali. Secondo le dichiarazioni ufficiali, il battello “era noto per il trasporto di droga lungo una rotta di contrabbando” e le vittime sarebbero state “narcoterroristi noti all’intelligence americana”. Tuttavia, l’assenza di prove pubbliche alimenta dubbi sulla legittimità del raid e sulla sua reale natura.

L’ombra di una nuova escalation militare

Dall’autunno 2025, Washington ha intensificato le operazioni militari nel quadrante caraibico, dispiegando oltre 4.500 soldati e una task force di caccia F-35 nelle vicinanze delle acque venezuelane. L’obiettivo dichiarato: smantellare le reti del narcotraffico che, secondo la Casa Bianca, finanziano organizzazioni criminali e gruppi armati nel continente. Ma Caracas denuncia l’iniziativa come una “provocazione diretta”, accusando gli Stati Uniti di usare la lotta alla droga come pretesto per una campagna di pressione militare volta a destabilizzare il regime di Nicolás Maduro. L’esercito venezuelano ha risposto ponendo le proprie forze in “massima allerta”, mentre anche Trinidad e Tobago ha richiamato le truppe nelle caserme temendo un effetto domino regionale.

Il dilemma giuridico: la War Power Resolution

La War Power Resolution del 1973 impone al presidente americano di ottenere l’autorizzazione del Congresso per qualsiasi impiego prolungato delle forze armate all’estero. Tuttavia, l’amministrazione Trump non ha chiesto alcun via libera parlamentare, sostenendo che le operazioni anti–narcotraffico non rientrano nella definizione di “azioni di guerra”. Il capo dell’ufficio legale del Dipartimento della Giustizia, Elliot Gaiser, ha ribadito che i raid “contro i narcotrafficanti internazionali” sono operazioni di sicurezza nazionale, e quindi autonome rispetto ai vincoli della risoluzione del ’73. Una posizione che molti giuristi considerano rischiosa, perché ridefinisce il confine tra operazioni di polizia e azioni di guerra, aprendo la strada a nuovi interventi militari senza controllo congressuale.

La risposta di Caracas: tra propaganda e diplomazia

Il presidente Nicolás Maduro ha reagito con toni durissimi, accusando Washington di portare avanti una “guerra psicologica e mediatica” contro il Venezuela. Durante il suo programma settimanale Con Maduro+, il leader socialista ha annunciato che due aerei legati al narcotraffico sono stati abbattuti dalle forze armate venezuelane, sottolineando la capacità del Paese di “difendere la propria sovranità”. Maduro ha inoltre rivelato di aver chiesto supporto militare a Russia, Cina e Iran, cercando di costruire un contrappeso strategico all’influenza statunitense nella regione. Da Mosca, il portavoce Dmitrij Peskov ha confermato “contatti costanti” con Caracas, lasciando intendere una possibile cooperazione tecnico–militare. Un messaggio che preoccupa i comandi americani, timorosi che il Mar dei Caraibi diventi un nuovo teatro di confronto multipolare.

Un contesto regionale sempre più instabile

Il nuovo raid è solo l’ultimo tassello di una campagna militare che ha già causato oltre 60 vittime in pochi mesi. Sedici imbarcazioni sospettate di trasportare droga sono state affondate da droni o missili statunitensi, spesso senza verifiche indipendenti sulla natura dei bersagli. Le autorità colombiane e messicane hanno espresso preoccupazione crescente per l’uso unilaterale della forza da parte di Washington, mentre la Commissione Interamericana dei Diritti Umani ha chiesto chiarimenti sull’impatto delle operazioni sui civili. Anche l’ONU segue con attenzione la situazione, ricordando che le acque internazionali non sono uno spazio di impunità militare.

Una “guerra alla droga” che diventa geopolitica

L’operazione nei Caraibi segna il passaggio da una strategia di interdizione del traffico a una dottrina di attacco preventivo, dove la distinzione tra narcos, pirati e nemici dello Stato appare sempre più sfumata. Per Washington, la lotta al narcotraffico è ormai una questione di sicurezza nazionale, mentre per i governi sudamericani rappresenta un’invasione della sovranità regionale. La guerra alle “drug boats” si trasforma così in una nuova frontiera della competizione geopolitica tra Stati Uniti e potenze emergenti, con il rischio di riaccendere tensioni che ricordano la logica della Guerra Fredda.

Il mare come nuovo campo di battaglia

Dietro il raid di sabato si intravede un conflitto strategico più ampio: la ridefinizione del potere statunitense nell’emisfero occidentale. Il Mar dei Caraibi, crocevia di traffici e rivalità, torna a essere un laboratorio della forza americana, ma anche un test della sua legittimità internazionale. Mentre Trump esulta per i “successi operativi”, cresce il timore che l’America stia imboccando una deriva militare senza mandato, dove la “guerra alla droga” diventa guerra di potenza. E in questa partita, il Venezuela – sostenuto da Mosca e Pechino – potrebbe non restare più solo spettatore.

 

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