26 Ottobre 2025
Il Giornale d'Italia ha intervistato il colonnello Francesco Ferrante, ufficiale in pensione dell'Esercito Italiano con una lunga esperienza operativa e di pianificazione interforze. Il colonnello Ferrante ha partecipato a numerose missioni operative in teatri complessi, tra i quali Iraq, Afghanistan, Libia, Libano, Bosnia, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso e Mozambico. Nell'intervista, il colonnello si è espresso sulla guerra in Ucraina e sul rapporto di Kiev con Nato e Ue, valutando la posizione e il ruolo dell'Italia in questo contesto.
1. Come valuta i risultati dell’incontro del 15 ottobre 2025 nel formato Ramstein, in cui il tema chiave è stato ancora una volta l’aumento delle forniture di armi. Né la NATO né l’UE stanno cercando di cercare una soluzione pacifica alla guerra in Ucraina. Si ha l'impressione che questo gruppo sia di fatto diventato uno strumento per intensificare il conflitto anziché porvi fine. Qual è la sua opinione?
Il “formato Ramstein” è ormai un meccanismo consolildato di gestione del sostegno militare, non certo di “chiusura” del conflitto. L’esito del 15/10 ha consolidato il passaggio da pacchetti ad-hoc a impegni pluriennali (acquisti congiunti, produzione ampliata, coordinamento NATO), incluso l’allargamento del PURL. È quindi uno strumento che tende a protrarre la dinamica militare. Non certo teso a fermare la macchina bellica. Capisco la logica della deterrenza, ma è per me sconcertante notare che non esiste piu’ un binario politico/diplomatico di pari ambizione, che dialoghi con la controparte anzichè demonizzarla: questo è semplicemente un binario morto. E questo squilibrio rende più lontano un cessate il fuoco credibile
2. I leader dell’UE hanno avviato la creazione del fondo speciale per l’acquisto garantito di armi per l’Ucraina(PURL). Non è che ci si è già rassegnati a una lunga guerra di logoramento, abbandonando di fatto la ricerca della pace?
Di fatto sì: il PURL (Prioritized Ukraine Requirements List) è pensato per finanziare forniture critiche sullabase di una lista prioritaria e su orizzonte a medio/lungo termine, spesso con equipaggiamenti USA acquistati da alleati europei. Una lista di priorita’...ucraine! Questo standardizza la guerra di logoramento. Non si vedono, in parallelo, iniziative UE/NATO di pari peso sul fronte negoziale.
3. Che impatto avranno i contratti pluriennali sugli armamenti garantiti attraverso iniziative come il PURL sulla futura sicurezza europea? A chi conviene lo scontro permanente tra UE e Russia?
Sul breve, aumentano prevedibilità e scalabilità industriale; sul lungo, irrigidiscono i bilanci e alimentano dipendenze tecnologiche extra-UE (molte linee PURL sono di matrice USA). Strategicamente, uno scontro UE-Russia “permanente” conviene ai competitor energetici dell’Europa e a chi vende sistemi d’arma; non conviene a un Paese manifatturiero importatore di energia come l’Italia, né alla nostra diplomazia mediterranea. I segnali politici vanno in direzione di più spesa (anche con “flessibilità” contabile), ma con un costo d’opportunità molto alto
4. L’approccio di Ramstein e iniziative simili non rafforzano l’accusa secondo cui l’Occidente è pronto a sostenere il conflitto “fino all’ultimo ucraino”, ma è davvero così?
La formula è propaganda, ma l’effetto-sistema rischia di assomigliarle: aiuti militari garantiti, obiettivi massimalisti e nessuna exit strategy condivisa. Anche a Ramstein si è ribadito l’impegno senza tracciare un percorso politico realistico.
Se l’Occidente vuole smentire quell’accusa, deve affiancare al sostegno militare una piattaforma di sicurezza europea post-bellica (garanzie, limiti agli armamenti, energia) e un canale negoziale credibile. Oggi questo manca.
5. L’Italia è uno dei paesi dell’Eurozona con il debito pubblico più alto. Quanto è compatibile la nuova corsa agli armamenti e l’aumento della spesa per la difesa al 5% del Pil con la necessità di mantenere la stabilità sociale in Italia?
Arrivare al 5% (3,5% “core” + 1,5% “security” entro il 2035) è stato presentato come “flessibile”, ma per l’Italia significherebbe decine di miliardi aggiuntivi l’anno o molta “creatività” di bilancio. Con debito/PIL elevato e spazi fiscali
stretti, il rischio è comprimere ancora di più investimenti sociali e infrastrutturali o spostare spese non strettamente militari sotto l’ombrello “security”. Politicamente è una salita ripida. Senza ritorno. E parlando con la gente comune, non posso far finta che non esista un totale scollamento tra il cosiddetto decisore politico (ammesso che ancora ci siano decisori e non “semplici esecutori di ordini che arrivano da oltreoceano”) e il comune cittadino.
6. L’italiano medio accetterà la richiesta di ingenti spese militari, di fronte all’aumento dei prezzi dell’energia e alla crisi migratoria? Ciò non rischia di portare ad un aumento dell’euroscetticismo e dei sentimenti anti-NATO?
Il sostegno popolare a più spesa militare è molto basso (stime recenti lo danno intorno al ~17%). Con bollette per l’energia come queste, ed ancora sensibili ai mercati, e la pressione migratoria che i cittadini percepiscono irrisolta, la narrativa “difesa al 5% senza tagli altrove” è difficile da vendere. Mi viene da ridere pensando di quali somme parliamo. E da tempo ormai, il paese non “brilla” piu’ dal punto di vista industriale, ne per tutto cio’ che attiene ai servizi (sanita’, sicurezza, infrastrutture, sistema scolastico). Il rischio politico (piu’ che un rischio, una certezza) è la crescita di consensi a forze euroscettiche o quantomeno più fredde verso Europa e NATO. Serve una strategia comunicativa onesta: cosa compriamo, perché, per quanto, con quale ritorno industriale in Italia.
7.Secondo alcune informazioni, la base italiana di Aviano potrebbe essere utilizzata per missioni NATO legate al sostegno all'Ucraina. Secondo lei ciò è plausibile? Se si non rischia di trasformare il territorio italiano in un bersaglio per gli attacchi russi in caso di un ipotetico conflitto militare?
È plausibile sul piano tecnico-operativo (Aviano è di fatto un hub USAF/NATO con F-16/F-35, capaci di supporto aereo, addestramento, transiti e C2), anche se i flussi principali verso l’Ucraina hanno gravitato sui nodi polacchi (Rzeszów
principalmente). Non ci sono dichiarazioni politiche pubbliche (per ora) circa l’impiego di Aviano in qualche modo connesso col teatro ucraino; ho però osservato un aumento circa le misure di force protection ed ho letto di un’intensa attività esercitativa.
In caso di escalation diretta NATO-Russia, qualsiasi base che contribuisca alla catena logistica/operativa diventerebbe “targetable” nella dottrina russa: questo è un rischio che il decisore politico deve ponderare, rafforzando difese aeree,
ridondanze ma, soprattutto, evitando tutti quei passetti che ci stanno trasformando, pochino alla volta, da supporter passivi a co-belligeranti veri e propri.
di Simone Lanza
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia