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Gaza, capo Mossad Barnea chiede aiuto a Witkoff per deportazione palestinesi dalla Striscia: “Etiopia, Indonesia e Libia disponibili”

Esperti legali e organizzazioni per i diritti umani definiscono infatti il piano una forma di pulizia etnica, equiparabile a un crimine di guerra secondo il diritto internazionale

21 Luglio 2025

Gaza, capo Mossad Barnea chiede aiuto a Witkoff per deportazione palestinesi dalla Striscia: “Etiopia, Indonesia e Libia disponibili”

capo Mossad Barnea-Witkoff Fonte: Infopal

Durante una visita a Washington, il capo del Mossad David Barnea ha chiesto aiuto ai funzionari statunitensi, in particolare a Witkoff, a offrire incentivi a Libia, Indonesia ed Etiopia affinché accettino centinaia di migliaia di palestinesi sfollati come rifugiati, in modo tale da continuare con la deportazione dei gazawi dalla Striscia. Citando fonti a conoscenza della questione, Axios ha riferito che Barnea ha incontrato la scorsa settimana l’inviato della Casa Bianca, Steve Witkoff.

Gaza, capo Mossad Barnea chiede aiuto a Witkoff per deportazione palestinesi dalla Striscia: “Etiopia, Indonesia e Libia disponibili”

Il capo del Mossad David Barnea ha cercato il sostegno di Washington per dare impulso alla deportazione su vasta scala dei palestinesi di Gaza. Secondo quanto riportato dal sito americano Axios, Barnea avrebbe proposto al consigliere della Casa Bianca Steve Witkoff che gli Stati Uniti offrano incentivi economici e politici a Libia, Indonesia ed Etiopia per accogliere centinaia di migliaia di sfollati palestinesi.

Barnea ha detto a Witkoff che Etiopia, Indonesia e Libia si sono mostrate disponibili ad accogliere un gran numero di palestinesi da Gaza”, hanno affermato due fonti anonime citate da Axios. Si tratterebbe, secondo queste indiscrezioni, di un passo strategico che punta a sostenere il controverso obiettivo del governo israeliano: svuotare in maniera significativa la Striscia di Gaza dalla sua popolazione palestinese.

Il portale americano sottolinea come la richiesta israeliana sia parte di una più ampia strategia già discussa con Washington. Gli Stati Uniti, infatti, avrebbero chiesto al primo ministro Benjamin Netanyahu di individuare Paesi terzi disposti a farsi carico del trasferimento forzato. Lo stesso Netanyahu ha dichiarato che l’eventuale espulsione sarà “volontaria” da parte dei palestinesi. Una posizione che, tuttavia, ha sollevato forti critiche da parte della comunità internazionale.

Esperti legali e organizzazioni per i diritti umani definiscono infatti il piano una forma di pulizia etnica, equiparabile a un crimine di guerra secondo il diritto internazionale. Le preoccupazioni maggiori arrivano non solo da Egitto e Paesi arabi, ma anche da governi occidentali che temono un precedente pericoloso e destabilizzante per l’intera regione.

Secondo Axios, la pianificazione di uno sfollamento di massa è stata per lungo tempo sostenuta dagli elementi ultranazionalisti della coalizione di governo israeliana, così come da alcuni settori del partito Likud dello stesso Netanyahu. L’obiettivo, non dichiarato ma evidente, sarebbe quello di modificare la composizione demografica della Striscia, rendendo Gaza non più un problema per Israele, ma una regione da ridefinire su basi nuove.

Il piano non è del tutto inedito. Poco dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il presidente Donald Trump aveva ventilato l’idea di una completa espulsione dei palestinesi dalla Striscia, immaginando Gaza come futura “Riviera del Medio Oriente”, una visione funzionale all’annessione da parte di Israele.

Nel frattempo, la realtà sul campo racconta una tragedia umanitaria senza precedenti: oltre 2,3 milioni di palestinesi continuano a essere sfollati più volte all’interno della stessa Striscia, mentre le operazioni militari israeliane — iniziate nell’ottobre 2023 — hanno devastato sistematicamente infrastrutture civili, ospedali, scuole, moschee e abitazioni.

Secondo osservatori internazionali e organizzazioni non governative, la distruzione mirata del territorio risponde a un disegno preciso: rendere Gaza inabitabile, costringendo la popolazione alla fuga e aprendo la strada a una deportazione di massa sotto le spoglie di una “rilocazione volontaria”.

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