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Gaza: il business degli "aiuti umanitari" divide e affama i palestinesi attraverso militarizzazione di GHF da parte di Israele, che continua a arricchirsi

La politica israeliana punta da sempre alla distruzione non solo fisica, ma anche morale dei palestinesi: non un fatto casuale, ma un lucido perseguimento di strategie politico-militari

06 Luglio 2025

La farsa umanitaria della GHF: quando l’aiuto diventa un’arma letale, a Gaza Israele può impunemente sperimentare i limiti della disumanità

Fonte: BBC

Non è una novità che la politica israeliana punti da sempre, oltre che alla distruzione fisica, a quella morale del popolo palestinese: il quotidiano stillicidio di decine e decine di civili sistematicamente uccisi non è quindi un fatto casuale.

Non sono perciò i “danni collaterali” di una guerra moderna – si tratta del lucido perseguimento di una precisa strategia politico-militare.

Gaza: il business degli "aiuti umanitari" divide e affama i palestinesi attraverso militarizzazione di GHF da parte di Israele, che continua a arricchirsi

Nella striscia di Gaza, infatti, Israele non ha esitato ad organizzare e armare gruppi di delinquenti comuni, come quello di Yasser Abu Shabab, contrabbandiere di sigarette e poi trafficante di droga, per questo condannato da Hamas a 25 anni di carcere, dal quale è potuto uscire solo grazie all’attacco israeliano che gli ha aperto le porte della prigione in cui era rinchiuso.

Ora il gruppo capitanato da Abu Shabab, al servizio delle forze armate dello Stato di Israele, è divenuto uno dei più attivi nel saccheggiare sistematicamente gli aiuti internazionali, spalleggiando l’IDF nel bersagliare la popolazione inerme, affollata nei centri di distribuzione in cerca di cibo e acqua. Di gruppi come questo, Israele si è servito anche per tentare di far passare, attraverso i media occidentali, l’idea che a Gaza vi sia un’opposizione ad Hamas da parte della popolazione: capiamo bene ora chi fossero in realtà gli uomini che nei nostri telegiornali dovevano impersonare l’opposizione ad Hamas!

Ma Israele opera anche per creare una frattura permanente fra i Palestinesi di Gaza e quelli della Cisgiordania: basti ricordare il fatto che le forze di polizia della cosiddetta Autorità Palestinese di Abu Mazen hanno attivamente collaborato con le forze israeliane, quando queste hanno attaccato militarmente i gruppi vicini ad Hamas in Cisgiordania. L’Autorità Palestinese è del resto arrivata ad espellere i giornalisti di Al Jhazeera, che, unici presenti sul territorio, testimoniavano dell’incrudirsi della repressione israeliana, delle aggressioni armate dei coloni in Cisgiordania, denunciando la collaborazione degli uomini di Abu Mazen con l’occupante israeliano.

Come se non bastasse, lo stesso Abu Mazen, lo scorso 25 giugno 2025 si è esibito in una lettera a Donald Trump, nella quale esprimeva «la sua profonda gratitudine ed il suo apprezzamento per gli sforzi profusi dal Presidente degli Stati Uniti nel raggiungere un cessate il fuoco tra Israele e Iran», come se questo risultato non fosse stato raggiunto dopo un bombardamento aereo su di uno Stato sovrano, esaudendo uno dei desiderata di quell’Israele che da decenni occupa la Cisgiordania in spregio a tutte le norme del diritto internazionale.

Nemmeno si può trascurare la trasformazione che ha assunto il concetto stesso di “aiuto umanitario”, proprio grazie alla felice combinazione delle politiche di Netanyahu e Trump: vale a dire, la militarizzazione degli interventi “umanitari, che, secondo una delle clausole degli accordi sponsorizzati dal “pacificatore” Donald Trump, permettono oggi al governo israeliano di gestire proprio quegli aiuti, attraverso un meccanismo di scatole cinesi, i cui dettagli sono davvero singolari.

Infatti, l’organizzazione cui gli israelo-statunitensi hanno affidato la gestione “umanitaria” della popolazione della striscia di Gaza è la Gaza Humanitarian Foundation (GHF): organizzazione “indipendente” e “neutrale”, guidata a quanto pare da Jake Wood, ex-marine statunitense, fondatore nel 2010 di Team Rubicon, organizzazione di ex-veterani statunitensi, che intende favorire il loro rientro nella società civile impiegandoli nel soccorso in caso di disastri naturali e di conflitti, come avvenuto dopo il terremoto di Haiti.

La GHF ha delegato l’attività sul campo ad almeno due società di sicurezza private americane: Safe Reach Solutions e UG Solutions. Sono infatti queste a gestire i cosiddetti Secure Distribution Sites (SDS) di Gaza, i luoghi appunto dove avvengono così frequentemente le sparatorie su civili inermi.

Safe Reach Solutions LLC è stata fondata nello stato del Wyoming, USA, nel novembre 2024, cioè proprio alla vigilia dell’apertura dei negoziati per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas: formalmente si presenta come una società di comodo di un’altra società, localizzata nella stessa sede in Wyoming, la Two Ocean Trust, società di gestione patrimoniale, a sua volta costituita da un’assai più consistente azienda, la Teton Corporate Services, anch’essa basata nello Wyoming, che realizza grandi progetti infrastrutturali, con un gruppo direttivo nel quale si trovano nomi importanti del mondo finanziario statunitense.

Non è difficile supporre che, proprio attraverso questi complessi intrecci di scatole cinesi societarie, arrivino i finanziamenti, come i 100 milioni di dollari provenienti da ignoti donatori, che membri della Knesset israeliana, come Avigdor Lieberman e Yair Lapid, fanno risalire allo stesso Stato di Israele, che in tal modo controlla entrambi le tenaglie dell’annientamento di Gaza: quella militare e quella “umanitaria”.

Il modello GHF sembra essere parte integrante del piano, dichiarato da Israele, di rioccupare il 75% della Striscia di Gaza, costringendo i palestinesi affamati e senza tetto in quelle che il suo esercito ha definito per l’appunto isole umanitarie, progettate per dividere e governare l’enclave decimata dal massiccio ed indiscriminato intervento militare.

Si tratta poi di sostituire in questo modo operativamente l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite, che dal 1949 si occupa dei bisogni della popolazione rifugiata di Gaza, che nel 2024 le Knesset di Israele ha definito organizzazione terroristica.

Anche per tale ragione, la GHF non può quindi che operare in diretta dipendenza dall’ufficio COGAT, organismo del ministero della difesa israeliano, che, diretto da un alto ufficiale dell’IDF, oggi presiede alla rioccupazione di Gaza, così come avvenuto dal 1967 in avanti in tutti i territori militarmente controllati dallo Stato ebraico.

Secondo alcuni osservatori, in questa operazione di ripresa del controllo totale israeliano sulla Striscia, sembra sia attivo anche l’imprenditore israeliano Liran Tancman, fondatore e amministratore della società di cybersicurezza Rezilient, descritto in un rapporto come “un riservista dell’unità di intelligence delle comunicazioni 8200 dell’IDF”, che avrebbe ottenuto l’impiego di sistemi di identificazione biometrica all’ingresso dei centri di distribuzione “umanitari, appunto per modernizzare, diciamo così, le modalità di controllo della popolazione palestinese rinchiusa nella Striscia di Gaza.

Approfondendo le protagoniste nominalmente statunitensi della gestione “umanitaria” di Gaza, osserviamo che Safe Reach Solution è guidata da un personaggio certamente non comune: Philip F. Reilly, il quale viene infatti presentato così nel sito della società di cybersecurity Garrison, ora parte del gruppo specializzato nella sicurezza informatica militare Everfox: "funzionario senior dei servizi di intelligence, con 29 anni di esperienza nel National Clandestine Service (CIA/NCS) della Central Intelligence Agency, Reilly ha svolto numerosi incarichi in patria e all’estero, in zone di guerra e in aree di conflitto. Possiede una vasta conoscenza degli ambienti stranieri, dell’interoperabilità tra i membri della comunità di intelligence statunitense e di tutti gli aspetti della comunità delle operazioni speciali militari statunitensi. Attualmente lavora come consulente senior per Boston Consulting Group, e vanta una solida esperienza nella presentazione di nuove tecnologie ai decisori"

Reilly è stato anche vice-presidente, dall’ottobre 2014 al febbraio 2016, del gruppo Constellis, creato nel 2010, che fornisce al Ministero della Difesa Usa, cosiddetti “Servizi di Protezione Globale”, vale a dire personale militare privato (un tempo definiti mercenari), aggiudicandosi solo pochi giorni fa un contratto di 10,3 mld di dollari per i prossimi 10 anni, da parte dello U.S. Army Contracting Command di Rock Island.

Anche UG Solutions merita un po’ di attenzione: si presenta anch’essa, in un sito assai scarno, come una società che fornisce sicurezza operativa, diretta da Jameson Govoni, ex-appartenente ai Berretti Verdi, le truppe speciali statunitensi.

Interessante il fatto che UG Solutions pubblichi in questi mesi annunci di lavoro per assumere “cecchini con “precedente esperienza in zone di combattimento”, “massimo livello di competenza nell’uso delle armi” e “abilità di combattimento avanzate” in grado di “operare efficacemente in ambienti ad alto rischio”. Sarà data preferenza a “personale qualificato delle forze speciali” e a “personale con esperienza nel campo dell’OSINT/intelligence”.

Niente male davvero per una società che deve assicurare servizi “umanitari” destinati alla popolazione civile. Non sorprende tuttavia questo tipo di competenze, visto che abbondano online foto di giovanotti pesantemente armati che soprintendono alle operazioni di distribuzione degli aiuti “umanitari”.

Un documento della GHF, distribuito ai media all’inizio di maggio 2025, elencava infine una serie di alti rappresentanti del mondo aziendale ed ex funzionari statunitensi come membri del suo consiglio di amministrazione, e vantava partnership con istituzioni finanziarie piuttosto note, come Goldman Sachs.

Nel suo consiglio di amministrazione si evidenziava la presenza ad esempio di Raisa Sheynberg, ex funzionaria del Dipartimento del Tesoro, che ha fatto parte del team del progetto di cripto-valuta Libra di Meta, e David Beasley, ex governatore della Carolina del Sud ed ex capo del Programma alimentare mondiale.

Come si vede, con una siffatta gestione “umanitaria”, in un territorio nel quale regna solo fame, morte e distruzione, dove non c’è protezione per i civili inermi, né garanzie per loro, un regime di occupazione basato sul puro esercizio della forza può anche diventare un buon affare per qualcuno.

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