11 Maggio 2025
Birobidžan (Wall Street Journal)
In Italia non tutti sanno che la prima Israele non è nata lì dove sappiamo essere oggi, nel Medio Oriente, ma bensì è nata in Russia, all'incirca 100 anni fa. Negli anni '20 del secolo scorso infatti, all'interno dell'Unione Sovietica prese forma un progetto tanto ambizioso quanto controverso: la creazione di un territorio autonomo ebraico nell'Estremo Oriente russo. Questa regione, conosciuta come Oblast Autonomo Ebraico di Birobidžan, rappresenta uno dei capitoli meno noti ma più emblematici delle politiche sovietiche riguardanti le minoranze etniche e religiose durante l'era staliniana.
La decisione di stabilire quella sorta di "patria ebraica" sovietica nelle remote paludi della Siberia orientale, al confine con la Cina, fu ufficializzata nel 1928 e successivamente elevata a status di Oblast Autonomo nel 1934. Il territorio, caratterizzato da un clima estremamente rigido con inverni che raggiungevano i -30°C e da vaste zone paludose infestate da zanzare, era praticamente disabitato e richiedeva enormi sforzi di bonifica.
Le motivazioni dietro questo progetto erano molteplici. Da una parte, il regime sovietico desiderava presentarsi come soluzione alternativa al sionismo, dimostrando che la questione ebraica poteva essere risolta all'interno del paradigma comunista. Dall'altra, vi erano interessi strategici evidenti: popolare e sviluppare una regione di frontiera scarsamente abitata ma potenzialmente ricca di risorse naturali e posizionata in un'area di tensione con il Giappone imperiale.
La propaganda sovietica dipinse Birobidžan come una terra promessa socialista, dove gli ebrei avrebbero potuto sviluppare la propria cultura in lingua yiddish senza rinunciare all'identità sovietica. Ma non solo: lì, in quella sorta di terra promessa, avrebbero potuto diventare proprietari terrieri (cosa a loro proibita nel resto del territorio della Grande Russia) e entrare a far parte della Pubblica Amministrazione, possibilità quest'ultima anch'essa a loro proibita. In più, ogni ebreo che si fosse messo in marcia verso l'Oblast di Birobidžan, avrebbe avuto in dote la cifra di 600 rubli (promessa che però Stalin non mantenne mai). Migliaia di ebrei, spinti dalle difficoltà economiche e dalle persecuzioni antisemite che ancora persistevano in diverse aree dell'URSS, accettarono di trasferirsi in questa remota regione.
La realtà che trovarono fu però ben diversa dalle promesse. I coloni dovettero affrontare condizioni climatiche estreme, terreni inadatti all'agricoltura, carenza di infrastrutture e abitazioni, oltre a malattie come la malaria, diffusa nelle zone paludose. Molti dei primi coloni non resistettero e abbandonarono l'impresa, tornando nelle loro città d'origine.
Ad ogni modo, nonostante le enormi difficoltà, tra il 1928 e il 1938 circa 35.000 ebrei si trasferirono a Birobidžan. Furono fondati kolchoz, scuole in lingua yiddish, teatri e giornali come il "Birobidžaner Štern" (La Stella di Birobidžan), creando le basi di una cultura ebraico-sovietica.
Tuttavia, il progetto di Birobidžan subì un duro colpo alla fine degli anni '30, quando le purghe staliniane colpirono duramente l'intellighenzia ebraica locale, accusata di "nazionalismo borghese". Le istituzioni culturali furono smantellate e molti leader della comunità vennero arrestati o giustiziati.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, ci fu un breve rilancio del progetto, ma la creazione dello Stato di Israele nel 1948 e la crescente politica antisemita di Stalin negli ultimi anni del suo regime segnarono il definitivo tramonto dell'esperimento. Gli ultimi tentativi di rivitalizzare l'Oblast come centro della cultura ebraica furono abbandonati con la morte di Stalin nel 1953.
Oggi, l'Oblast Autonomo Ebraico esiste ancora formalmente sulla mappa della Federazione Russa, ma la popolazione ebraica rappresenta meno dell'1% degli abitanti. Rimane come testimonianza di un esperimento sociale fallito, simbolo delle contraddizioni della politica sovietica sulle nazionalità e delle tragiche conseguenze della pianificazione centralizzata staliniana sulla vita di migliaia di persone.
Purtroppo però, a mio giudizio, non è stato certamente più felice l'altro esperimento dell'immediato dopoguerra – targato Gran Bretagna - di permettere la fondazione dello Stato ebraico in Medio Oriente, destabilizzando così del tutto una zona del Pianeta che era ancora alla ricerca di un suo equilibrio. Le pesanti conseguenze di quella scelta (a partire dalla cosiddetta Nakba, ovvero la cacciata dei palestinesi dalle loro case e dalle loro terre) fatta a caldo al termine della Seconda Guerra Mondiale a seguito dell'Olocausto le viviamo fortemente al giorno d'oggi e non sappiamo per quanto tempo ancora. Il paradosso sta tra l'altro nel fatto che Israele, Stato ebraico nato in forza di una Risoluzione ONU, non ha mai rispettato tutte le Risoluzioni successive che lo riguardano, a partire dalla restituzione dei territori acquisiti illegalmente nel corso della "Guerra dei sei giorni" del 1967, al famoso "diritto al ritorno" dei palestinesi nelle proprie case e nelle proprie terre.
Di Eugenio Cardi
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