20 Settembre 2025
Mostra Mario Schifano
Il museo SCHAUWERK Sindelfingen (Sindelfingen) dedica per la prima volta in Germania una mostra museale a Mario Schifano (Homs, 1934 – Roma, 1998), tra i principali protagonisti dell’arte italiana della seconda metà del XX secolo. La retrospettiva "When I remember", che inaugura domenica 19 ottobre 2025 alle ore 11.30 con ingresso libero ed è visitabile fino al 21 giugno 2026, rappresenta anche la prima grande esposizione europea fuori dall’Italia dedicata all’artista negli ultimi trent’anni. Un progetto ambizioso che intende restituire al pubblico la complessità di un percorso creativo lungo quasi quattro decenni, attraverso un corpus di oltre 80 opere, tra pittura, collage, disegno, film e fotografia.
Che Schifano sia una delle personalità più graffianti dell’arte contemporanea, lo dicono in tanti, ma occorre che lo dicano tutti, attuando un paradosso umanistico che è la radice della verità inventiva del suo lavoro pittorico che ha preso e prende, quello che tutti noi pensiamo, ma non sappiamo esprimere; ebbene, tutto questo lo troviamo nel suo lavoro e ne dà testimonianza la mostra di Sindelfingen. Si avverte la sua presenza nell’impalpabile fantasma che accompagna le sue opere e le rende visibili, richiamando alla mente i tanti aneddoti della sua biografia intellettuale, tutta giocata su grandi slanci e distaccate ironie, argomentata con consapevolezze stilistiche e con lunghe degenze negli stati dell’incoscienza e dell’allucinazione.
Questa carrellata di opere fa da detonatore ad una storia scomoda, turbolenta, tempestosa, proiettando il film della modernità italiana, dove in tanti siamo immersi come comparse di una tragedia, che è commedia insieme, che è una grande incompiuta, che si chiama sperimentazione, dove può entrarci tutto e di tutto, dal ricordo della classicità ai segnali della qualità che non è quella di una volta, alle citazioni immaginarie dell’universo dei media.
Definire Mario Schifano, inquadrarlo con precisione storica non è ancora possibile, perché è ancora troppo vivo in mezzo a noi, con la sua voce sfarzosa e il suo sguardo tagliente, il suo atteggiamento canzonatorio. Tutta una maschera che non ha mai dismesso, per custodire un’inquieta erraticità, l’estendersi di un desiderio d’appartenenza, ma anche di teatrante stupore per il colpo di scena, che in ogni quadro è dato dall’emozionalità del momento, dalla gioia o dalla disposizione nel dipingere. La scelta che qui è stata compiuta è fatta di rarità, di interpretazioni aristocratiche e sottili, anche quando i rimandi possono fare pensare ad una grossolanità romanesca.
Non dobbiamo dimenticare che c’è fuori, tra mercanti e mercanti, uno Schifano fatto in fretta e furia che pone problemi di omologazione che non possono essere liquidati con una farisaica formula di “mancanza di caratteristiche per l’archiviazione”, come spesso vengono liquidate troppe opere. Occorre che il saper vedere che è scrupolosamente applicato in questa snella e qualificata carrellata, sia applicato sempre, anche in ciò che è meno metafisico e più fisico, come la sua pennellata espressiva, bella, forte, capace di rifare i baffi alla Gioconda, ma anche di sancire cromaticamente ogni sbavatura dell’immaginario, che è per lui un grande specchio frantumato, che non è possibile ricomporre, ma di cui è possibile scegliere un frammento piuttosto che un altro.
Ed è quello che Schifano ha fatto, prendere da tutte le parti, nomade ante litteram, attento a tutto quello che succedeva per contrapporgli, a sorpresa, la mossa del cavallo parafrasando l’impresa scacchistica, con gli aggiramenti delle sue continue dislocazioni che fanno dei monocromi degli anni Sessanta, una specie di piattaforma di azzeramento di tutte le precedenti suggestioni figurative e naturalistiche, proiettandolo in un universo carico di attrattive e di seduzioni, che viene dal boom economico, italiano, in cui finalmente l’avere non è più un desiderio consentito a pochi. Il riferimento alla modernità eccellente, irrefrenabile è confacente alla sua psicologia di seduttore e dissipatore, quello dei futuristi, ma più dei personaggi che delle opere, dell’essere signori del doppiopetto, come lui non era mai in apparenza e signori di una rivoluzione culturale a tutto tondo, più del cubismo e del dadaismo, di cui si pone anche cronologicamente in mezzo, tra la conservazione mentita di un certo brivido della tradizione e la ricerca spasmodica della società dello spettacolo. Siamo, così, nel pieno della sua luminosa avventura che lo conduce a ritrovare il paesaggio, che chiamerà anemico, anche se sfavillante di colore, a raccontare delle storie, ad incontrare visioni dei pittori impressionisti, che diventano metafore del suo disincantato incantato, tipico di coloro che vogliono nascondere il loro animo sensibile, per paura di essere considerati inabili alla scorza dura che vogliono sempre mostrare. Lo si è definito variamente da anti Guttuso a padre indiretto della transavanguardia e protettore di tutti i metropolisti e gli sperimentatori virtualisti, ma tutto questo, che è in larga misura vero, è un effetto indesiderato dallo stesso autore che non era felice di nessun accomunamento, compreso il Franco Angeli e il Tano Festa con cui diede vita al felice accostamento di Piazza del Popolo.
Schifano tratta tutto, ogni cosa, come se fosse un brogliaccio, una brutta copia, sia se ci fosse un de Chirico preso a pretesto o l’immagine di uno show da strapazzo, tutto messo sullo stesso piano, trattando l’alto e il basso solo come metafore della società dello spettacolo, dove vige il quantitativo e non possono esserci spazi vuoti da occhi che scrutano, da oggetti che incombono, da manifesti, film, pubblicità, da sensualità del consumo. Sta appunto in questo, la sua particolarità, il segno della sua precisa istanza creativa, che è quello di prendere quid dappertutto con la consapevolezza di poter compiere la tramutazione, per farli esistere oltre la loro eternità, oltre la loro finitezza.
Di Pasquale Lettieri
Il Giornale d'Italia è anche su Whatsapp. Clicca qui per iscriversi al canale e rimanere sempre aggiornati.
Articoli Recenti
Testata giornalistica registrata - Direttore responsabile Luca Greco - Reg. Trib. di Milano n°40 del 14/05/2020 - © 2025 - Il Giornale d'Italia