27 Agosto 2025
La vita straordinaria del grande santo del salento Giuseppe da Copertino, il santo ignorante e che lievitava, è sempre stata una fertile ossessione per Carmelo Bene. Lo citava spesso quale esempio di grazia celeste, di "mondo altro" congiunto con l'ignoranza, con il "non saper stare al mondo" che per l'artista pugliese era una grande virtù esistenziale ed artistica. Ne scrisse una bozza di sceneggiatura, che Bompiani ha pubblicato insieme a tutte le sue opere ma non ne fece nulla, come per il Tamerlano, altra occasione mancata. Ora il controverso Franco Maresco (quello di Cinico TV su Blob) ha avuto la geniale intuizione (che ebbi anch'io anni fa) di farne un film. Il trailer è stupendo. Un film che va visto come atto etico e atto dovuto se non altro in rapporto alla memoria di un artista straordinario quale è Carmelo Bene. E anche per ricordare la sua versione mitopoietica e trasfigurante di un santo eccentrico e pazzesco, ingiustamente dimenticato. Un santo che sembrava corrispondere al gusto beniano per gli eccessi del Barocco eterno che lui venerava: estrema semplicità dell'uomo ed estremo misticismo. Bene era attratto dagli eccessi e amava i santi estremi, leggendo ad esempio l'infuocata Angela da Foligno che beveva i liquami dei lebbrosi per umiliarsi e la veggente Maddalena de'Pazzi che usciva dal mondo in lunghe estasi. Una frase diceva spesso Carmelo riferita a San Giuseppe da Copertino: "occorre tagliare lo filo" in riferimento alla necessità spirituale ed artistica di spezzare la prigionia esistenziale del "burattino umano" per uscire da se stessi superando il mondo nell'Arte. San Giuseppe era per lui la metafora e l'esempio di un Salento infuocante e folle, secco e accalorato, nomade e randagio dove palpitava l'essenza del Barocco: quell' "abbandono" de-pensante che generava forme curve (celebrate dall'amico Deleuze nel saggio "La piega") attorno al nucleo oscuro e irraprensentabile della monade di Leibniz. Carmelo ha inseguito tutta la vita ossessivamente quello stato di grazia che l'Arte talvolta svela, manifesta, slatentizza, per un aionico attimo. Ho molti dubbi sull'esperimento di Maresco in quanto penso sia molto difficile andare oltre il grottesco e il macchiettistico (di cui è maestro) pur affrontando temi profondi per la vita e l'arte come fa in questo originale film. Ma nonostante questo questo film va visto perchè agitando il "fantasma C.B." ci interpella sui fondamenti della generazione dell'Arte. Anche l'idea di un "film cantiere su un film", che continua a fallire e a scivolare alla Buster Keaton (altra passione di C.B.) mi sembra fertile, acuta, geniale. Forse oggi ci rimane questo in Italia: il surreale, il fastidioso, la recita che si involve su se stessa, il grottesco, il picaresco. E certamente Maresco su questi toni vince sempre la sfida non avendo la spocchia finta-intellettuale di un Sorrentino ma sapendo sporcarsi le mani, pur in una versione fetish e trash dell'ombra del grande maestro di Campi Salentina.Certamente quindi un film de-genere. se in senso beniano o in senso di bruttezza, vedremo. In ogni caso Maresco mi sembra ci abbia azzeccato e alla grande nel non lasciare tranquillo il fantasma dell'unico filosofo-poeta-artista che ancora aleggia su un'Italia de-vitalizzata e sterilizzata e ci azzecca anche nel gusto del "non finito", dell'inconcludenza, della recita quale mezzo amletico di sopravvivenza dentro il non-senso del mondo e quale tecnica per velare una sostanziale estrema e non recitante autenticità...
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